16/09/2017 – Vi è danno erariale in caso di esperimento di procedura concorsuale in violazione della mobilità obbligatoria

Vi è danno erariale in caso di esperimento di procedura concorsuale in violazione della mobilità obbligatoria

di Marcello Lupoli – Dirigente P.A.

 

E’ integrata un’ipotesi di responsabilità amministrativa per i danni causati all’amministrazione nel caso di indizione di una procedura concorsuale esperita senza il rispetto del vincolo di cui all’art. 34-bisD.Lgs. n. 165 del 2001, ancorché successivamente oggetto di annullamento in autotutela.

A tale approdo perviene la Sezione Giurisdizionale per la Campania della Corte dei Conti con la sentenza n. 311 del 27 luglio 2017.

Ed invero, i giudici contabili campani sono chiamati a scrutinare la vocatio in ius da parte della Procura regionale territorialmente competente di alcuni dirigenti pro tempore della Regione Campania per sentirli condannare al pagamento del danno erariale cagionato all’amministrazione in relazione all’annullamento in autotutela di un concorso pubblico finalizzato all’assunzione di personale appartenente al profilo di coadiutore amministrativo-B 3, atteso il mancato previo esperimento delle procedure di mobilità contemplate dall’art. 34-bisD.Lgs. n. 165 del 2001.

La doglianza avanzata dall’Ufficio requirente si appunta essenzialmente sul detrimento economico causato in danno dell’amministrazione regionale conseguito all’espletamento delle diverse fasi di una procedura concorsuale, che, invece, ad avviso della parte attrice, non avrebbero dovuto avere avvio.

Dopo aver esaminato e rigettato alcune eccezioni rituali sollevate dalla difesa dei chiamati in giudizio, i giudici contabili campani si soffermano sul merito della res controversa, ritenendo fondata l’azione della Procura regionale, con conseguente affermazione della responsabilità dei convenuti, ancorché differenziata in omaggio al principio di parziarietà della responsabilità erariale, riconoscendo la sussistenza di un danno erariale certo ed attuale, discendente dall’avvenuto annullamento in autotutela della suddetta procedura selettiva.

Una chiara disposizione normativa disattesa ed il nocumento corrispondente all’insieme dei costi (tra i quali quelli affrontati per il pagamento del compenso corrisposto ad una società privata per l’organizzazione delle prove preselettive da parte dei candidati) sostenuti dall’ente per lo svolgimento delle varie fasi della procedura concorsuale, prima che si addivenisse all’annullamento della stessa, costituiscono i “cardini” sui quali viene fondata l’affermazione della responsabilità erariale in capo a quei convenuti in giudizio la cui condotta commissiva od omissiva sia stata riconosciuta causativa del danno arrecato all’amministrazione banditrice della selezione in parola.

Ed invero, nel rinviare alla lettura del chiaro disposto recato dall’art. 34-bisD.Lgs. n. 165 del 2001, è dirimente l’osservazione del collegio nella sentenza in disamina, secondo cui “la disposizione presenta un contenuto vincolante di evidente portata generale, laddove è indirizzata a tutte le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 del T.U. e reca l’inequivocabile espressione “sono tenute a comunicare”, prevedendo altresì una specifica scansione temporale di adempimenti, la cui doverosità ed ineludibilità è sanzionata con la previsione della nullità delle assunzioni che siano effettuate senza rispettarli”. D’altronde – osservano inoltre i giudici contabili campani nella sentenza de qua – né “sul piano della gerarchia delle fonti e dei principi sulla successione delle leggi nel tempo, può dubitarsi che detta disciplina, introdotta con norma statale successiva, nell’ambito del testo unico recante”Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, risulti prevalente rispetto alla regolazione contenuta nella preesistente legislazione regionale”.

La sentenza n. 311/2017 della Sezione Giurisdizionale per la Campania della Corte dei Conti si sofferma anche sulla ratio della disposizione normativa che ne occupa, evidenziando come con quest’ultima “il legislatore nazionale ha regolato una nuova tipologia di mobilità, nell’ordinamento del pubblico impiego, […] al fine di individuare specifici percorsi procedimentalizzati con i quali consentire una migliore gestione dei dipendenti che, in applicazione delle misure riduttive imposte da esigenze varie di contenimento e/o riallocazione degli oneri a carico della finanza pubblica, si trovino in situazioni di eccedenza o sovrannumero nelle amministrazioni di appartenenza” e rammentando i principali elementi distintivi tra le varie figure di mobilità contemplate dal Testo unico del pubblico impiego.

“In particolare – osserva la sentenza in argomento – l’art. 30 prevede la cosiddetta mobilità volontaria, ovverosia il passaggio su base volontaria mediante cessione del contratto di lavoro da un’amministrazione ad un’altra, attuabile anche in forma di interscambio di due dipendenti e che non determina l’immissione di nuove unità di personale nel pubblico impiego”, di guisa che “la mobilità, in questo caso, si sostanzia in uno spostamento a domanda del dipendente, tanto all’interno dello stesso comparto, quanto tra comparti diversi, e non riguarda dipendenti collocati in situazioni di disponibilità”.

Ben diversa, invece, la disciplina recata dagli artt. 34 e 34-bisD.Lgs. n. 165 del 2001, che “regolano la c.d. mobilità obbligatoria e definiscono la procedura che le amministrazioni devono seguire per ricollocare propri dipendenti posti in disponibilità, per carenza di spazi interni ad esse per conservarli nelle proprie dotazioni”. Ed infatti, “in tale ambito vengono ad avere rilievo assorbente le esigenze di rideterminazione organica dell’amministrazione procedente, a fronte delle quali non c’è alcuna componente di volontarietà nello spostamento del personale interessato”, con l’effetto che “nel descritto contesto s’inscrive, coerentemente, la speculare previsione dell’obbligo di comunicare la disponibilità di posti da parte degli enti che abbiano invece necessità di personale: e altrettanto coerente con la vincolatività che si è inteso dare a questo meccanismo di gestione delle crisi di eccedenze, si presenta, altresì, la grave sanzione della nullità delle assunzioni che non lo abbiano osservato”.

Alla stregua delle prefate osservazioni – disattesi gli assunti difensivi secondo cui nella fattispecie concreta l’operato dei convenuti in giudizio sarebbe stato rispettoso della disciplina regionale, che prevedeva comunque l’esperimento di procedure di mobilità – i giudici contabili campani approdano alla conclusione che proprio “l’avvenuto espletamento della procedura concorsuale contestata esclusivamente sulla base della regolazione regionale ne ha determinato un vizio genetico macroscopico ed inescusabile, che si è altresì consolidato nel protrarsi delle fasi della stessa, senza che questo profilo di criticità venisse evidenziato”.

Ulteriori argomentazioni inducono i giudici contabili campani all’affermazione della responsabilità amministrativa nella vicenda portata alla loro cognizione.

Ed invero, non sono di poco momento le circostanze che l’art. 34-bisD.Lgs. n. 165 del 2001 fosse già vigente all’epoca dell’indizione della procedura selettiva in parola e che l’ampio lasso temporale intercorso prima dell’organizzazione della prova preselettiva dei candidati mediante appalto a società privata avrebbe offerto la possibilità di rivisitare le scelte compiute, riconducendole nell’alveo delle vigenti disposizioni normative in materia, così evitando il detrimento economico determinatosi.

Inoltre, la parte motiva della sentenza in disamina si affida, da un lato, anche alla considerazione della necessaria compiuta conoscenza del quadro normativo di riferimento in capo ai dirigenti e, dall’altro, dell'”altrettanto doverosa e fisiologica capacità d’interlocuzione di costoro con gli organi di indirizzo politico, anch’essa rientrante nelle prerogative proprie della funzione dirigenziale, soprattutto laddove si tratti di impostare e sviluppare attività di obiettivo contenuto tecnico- giuridico, quali l’organizzazione di procedure concorsuali per il reclutamento di personale”, costituendo tali aspetti “tratti distintivi del ruolo istituzionale che l’ordinamento affida ai dirigenti e, dunque, non possono non essere parametri di valutazione delle condotte da essi tenute, a maggior ragione ai fini del vaglio di ipotesi di responsabilità erariale […], quante volte siano contestate azioni od omissioni asseritamente foriere di danno pubblico”.

Del pari, le osservazioni che precedono non impediscono ai giudici contabili campani di addivenire, nella res controversa portata al loro vaglio, di poter comunque, acclarata l’esistenza e la consistenza del detrimento economico sofferto dall’amministrazione, scrutinare la posizione dei convenuti in giudizio, avendo riguardo alle funzioni dagli stessi rivestite nel lungo arco temporale in cui si è snodata la procedura concorsuale, “per verificare la sussistenza di una correlazione causale delle loro condotte con il medesimo, nonché l’apporto ascrivibile a ciascuno”.

In conclusione, la pronuncia in commento intende rimarcare come la violazione di una disposizione normativa sanzionata con la nullità dell’assunzione sia fonte di responsabilità amministrativa per danno erariale per non aver tenuto in debito conto il siffatto vincolo, ancorché l’assunzione illegittima non si sia concretamente maturata per intervenuto, ma tardivo, annullamento in autotutela.

Corte dei Conti-Campania, Sez. giurisdiz., sentenza 27 luglio 2017, n. 311

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