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Rottamazione reiterata delle cartelle: la spinta gentile a violare le norme

Pubblicato il 17 ottobre 2017 

di Vitalba Azzollini

Egregio Titolare,

qualche giorno fa, mentre si diffondeva la notizia del Nobel a Richard Thaler, il governo anticipava alcuni contenuti del decreto fiscale, poi approvato venerdì scorso: in particolare, la rottamazione bis delle cartelle esattoriali, riedizione di quella varata lo scorso anno. La coincidenza temporale è quanto mai curiosa, poiché nell’ottobre 2016, commentando su questi pixel la rottamazione fiscale precedente, avevo richiamato alcuni principi della teoria per cui l’economista succitato è stato insignito del prestigioso premio.

In quella sede avevo rilevato alcune pecche del nudge de’ noantri praticato dall’allora presidente del consiglio, Matteo Renzi, e rilevato che la rottamazione annunciata avrebbe prodotto gli effetti di un nudge all’incontrario, che “cambia verso”. Infatti, mentre i pungoli descritti da Thaler mirano a indurre comportamenti virtuosi, la sanatoria per chi viola gli obblighi prescritti, traducendosi in una beffa per i cittadini onesti, potrebbe sospingerli al convincimento che tanto vale omologarsi agli evasori. Ai politici nostrani basterebbe imparare dagli errori precedenti, varando misure normative evidence based, cioè fondate sull’esperienza, come il neo premio Nobel insegna. E, invece, niente.

Anche quest’anno, puntuale come le tasse, è arrivato un nuovo “condono” per chi non paga le tasse. Più che il behavioral approach poté l’esigenza di far cassa, potrebbe dirsi parafrasando un noto verso. E, poi, a cosa serve applicare le scienze comportamentali se con qualche frase a effetto si riesce a indurre la persuasione che il recupero di somme sottratte al fisco sia comunque un successo? Basta fare confusionetra contrasto all’evasione e applicazione di sanatorie o altre procedure di conciliazione, mescolare importi effettivamente riscossi con stime di introiti eventuali, usare un piglio convincente arringando platee varie, e il gioco è fatto.

Ebbene, caro Titolare, se la rottamazione dello scorso anno rendeva ancor più dubbia la già scarsa credibilità dei nostri governanti, il sequel di quest’annodimostra che al peggio – e al meno-peggio, come spiegherò oltre – non c’è mai fine. Il decreto fiscale appena approvato, infatti, non si limita alla riedizione della rottamazione precedente, ma va ben oltre: “premia” due volte chi abbia commesso violazioni doppie. Non è uno scherzo: chi avesse violato l’obbligo di pagare le ultime due rate della rottamazione scorsa, cui aveva aderito avendo già violato obblighi fiscali precedenti, potrà rimettersi in regola per la nuova violazione; e chi dalla rottamazione scorsa era stato escluso quale “punizione” per aver violato un piano di rateizzazione di vecchie cartelle, concesso a seguito di una violazione pregressa, quest’anno viene invece “perdonato”, cioè ammesso alla rottamazione rinnovata.

Ho ripetuto all’ennesima potenza la parola violazione – in modo oltremodo fastidioso, lo ammetto – per rendere ancor più fastidioso il concetto di sanatoria “amplificata”. A fronte di violazioni al quadrato, sanatorie al quadrato: lo Stato chiude non uno ma entrambi gli occhi, verso chi si sia dimostrato scorretto doppiamente. Poco importa se ciò contrasta con le teorie del premio Nobel: “pochi maledetti e subito” – gli incassi dal condono, intendo – e se la propensione futura a pagare le tasse risulterà attenuata vi sarà sempre una rottamazione susseguente.

Quali insegnamenti possono trarsi da tutto questo? In primo luogo, in Italia l’inaffidabilità vince a mani basse: che si tratti di governanti, inaffidabili nella tutela della certezza del diritto poiché preoccupati esclusivamente di alimentare i propri sprechi con proventi variamente raccattati mediante “occasioni straordinarie (straordinarie?) per regolare le varie pendenze con il fisco”; o che si tratti di contribuenti, inaffidabili nel rispetto degli obblighi cui sono tenuti poiché ormai certi che a ogni (viol)azione corrisponderà una reazione (sanante) uguale e contraria.

In secondo luogo, la politica del meno-peggio, in voga specie nell’ultimo triennio, produce pessimi effetti. Mi spiego meglio. Esecutivi che – per far cassa – condonano violazioni multiple di chi non paga le tasse appaiono meno-peggio di quelli che – per far cassa – aumentano le tasse. Evasori fiscali che aderiscono a sanatorie per mettersi a posto, e poi evadono nuovamente (e poi chissà quante altre volte), appaiono meno-peggio di chi evade e basta senza alcun tentennamento. Dunque, ecco legittimato un sistema di sanatorie-matrioske, ove la più grande contiene quella precedente.

D’altronde, è illusorio attendersi che un behavioral approach come Thaler comanda venga utilizzato dai nostri governanti: negli ultimi tempi, per dare spintarelle gentili ai governati, non hanno saputo elaborare strategie diverse da incentivi monetari, incentivi che la teoria del nudge non contempla; hanno quindi praticato la politica dei bonus, per pungolare cortesemente a procreare, ad aggiornarsi professionalmente, ad acculturarsi e a molto altro; dei bonus hanno trionfalisticamente vantato la riuscita in termini di quantità di “regali” elargiti, cioè di soldi pubblici erogati (i bonus sono denari graziosamente donati a spese dei contribuenti, meglio non dimenticarlo), anziché di esiti prodotti; si sono, quindi, affrettati a rendere strutturali le misure adottate, senza la sperimentazione necessaria a verificarne gli effetti sulla base di chiari indicatori di risultato.

 

Altro che metodo evidence based, utilizzato nei Paesi ove le scienze comportamentali vengono applicate seriamente. In quei Paesi, watch-dog e cittadini pretendono dai governi trasparenza sugli obiettivi perseguiti e sui risultati ottenuti, dunque la dimostrazione concreta dell’efficacia della spesa pubblica effettuata. In Italia, invece? Elettori pronti a essere incantati dal pifferaio magico di turno ed eletti incapaci di fare valutazioni ex ante ed ex post adeguate non possono che avere relazioni complicate con ogni tipo di “evidenza”: nel nostro Paese la realtà diventa rilevante solo quando ci si sbatte la testa, senza peraltro farne esperienza.

Lascio la conclusione di questo post a un autorevole studioso del diritto tributario che commenta la rottamazione-bis in termini di behavioral approach. Del resto, chi si occupa delle politiche migliori, non di quelle meno-peggio, ha sempre una cultura trasversale. È stato scritto che il premio Nobel a Thaler sancisce “la mancanza di una giustificazione per l’artificiosa separazione tra i settori del sapere. In questo senso, lo sviluppo recente delle neuroscienze cognitive e sociali offre nuovi strumenti per spingere sempre più in là i confini della conoscenza”. Peccato che certi “esperti” nostrani stentino a capirlo: barriere alle contaminazioni culturali non denotano menti aperte.

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