09/10/2017 – Anche l’avvio d’ufficio fa partire il calendario del procedimento disciplinare

Anche l’avvio d’ufficio fa partire il calendario del procedimento disciplinare

di Arturo Bianco

 

Il termine per l’avvio del procedimento disciplinare per le violazioni gravi del codice di settore decorre dalla data in cui l’Ufficio per i procedimenti disciplinari è venuto a conoscenza dell’infrazione commessa dal dipendente. Non è condizione obbligatoria per la legittimità del procedimento che il dirigente e/o responsabile del settore in cui il dipendente svolge la sua attività segnali l’infrazione all’Ufficio per i procedimenti disciplinari. Questo può anche provvedere direttamente all’avvio del procedimento. La segnalazione da parte del dirigente/responsabile all’Ufficio per i procedimenti disciplinari non costituisce il momento di avvio del procedimento stesso. Si possono così riassumere le importanti indicazioni contenute nella sentenza della Sezione Lavoro della Corte di cassazione n. 23268/2017.

Il caso e le norme 

La sentenza, che conferma le pronunce di primo e secondo grado e che è riferita a un dipendente del Comune di Roma capitale, si caratterizza per la nettezza con cui vengono fissati i tre principi prima ricordati. Essi traggono dalla stessa un rilievo ancora maggiore e risultano così essere evidenziati in modo ancora più nitido.

Le disposizioni di riferimento sono contenute negli articoli 55 e seguenti del Dlgs 165/2001 e nel contratto collettivo, da ultimo per il personale del comparto Regioni ed enti locali quello dell’11 aprile 2008, disposizioni queste ultime che dalla entrata in vigore del Dlgs 150/2009 (confermate dal Dlgs 75/2017) non possono occuparsi degli aspetti procedurali. Ovviamente la sentenza ricorda che si deve applicare la disciplina in vigore nel momento in cui il fatto è accaduto ed è stato avviato il procedimento disciplinare.

I termini 

Sulla base, in particolare, delle disposizioni dettate dal contratto collettivo, il momento iniziale per il calcolo del decorso dei termini decorre dal momento in cui il dirigente/responsabile del settore in cui il dipendente svolge la sua attività è venuto a conoscenza del comportamento dello stesso per le violazioni meno gravi ovvero dal momento in cui l’Ufficio per i procedimenti disciplinari ne è venuto a conoscenza, per le infrazioni che hanno una maggiore gravità e richiedono la erogazione di sanzioni disciplinari più dure.

La segnalazione 

Il secondo principio dettato dalla sentenza, che riprende precedenti indicazioni della giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, è che la «segnalazione» del dirigente/responsabile all’Ufficio per i procedimenti disciplinari non costituisce l’avvio del procedimento stesso. In capo a tale Ufficio infatti sono attribuiti compiti che possono essere definiti di preistruttoria, cioè la verifica del contenuto delle segnalazioni sia in termini di veridicità sia per la rilevanza disciplinare. Con la contestazione al dipendente si avvia il procedimento disciplinare e si svolgono le necessarie attività istruttorie.

Procedimento d’ufficio 

Il terzo principio fissato dalla sentenza è che non assume un carattere vincolante per l’avvio del procedimento la segnalazione da parte del dirigente/responsabile all’Ufficio per i procedimenti disciplinari. Questo ufficio può avviare il procedimento anche sulla base della segnalazione di altri soggetti, nonché su proprio impulso diretto. La previsione per cui il dirigente/responsabile del settore in cui il dipendente svolge la sua attività debba procedere alla segnalazione del presunto illecito non costituisce una condizione di validità del procedimento: attraverso questa previsione si è voluto sottolineare il “compito istituzionale” di tale soggetto. Si deve evidenziare peraltro che, con le disposizioni introdotte dal Dlgs 150/2009 e dal Dlgs 75/2017, la mancata segnalazione da parte del dirigente/responsabile dei termini per l’avvio del procedimento disciplinare integra gli estremi della violazione disciplinare e determina la necessità di avviare un procedimento sanzionatorio nei suoi confronti.

 

QUI La sentenza della Corte di Cassazione n. 23268/2017

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