02/10/2017 – Nuovo contratto nazionale collettivo: auspici per una vera semplificazione – SECONDA E ULTIMA PARTE

Nuovo contratto nazionale collettivo: auspici per una vera semplificazione – SECONDA E ULTIMA PARTE

 
(segue)

 

Undicesimo auspicio: va risolta una volta e per sempre la questione dell’ultrattività del ccdi. A parte che l’attivazione delle sessioni negoziali potrebbe costituire il rimedio definitivo all’assenza di stipulazione, visto che permetterebbe sempre l’atto unilaterale sostitutivo, in ogni caso non paiono accettabili le incertezze di Mef e Corte dei conti sul tema.
Per dirimere la questione una volta e per sempre occorre definire in maniera assolutamente inequivocabile che, in assenza della stipulazione del nuovo contratto collettivo decentrato di parte economica, in virtù della costituzione automatica del fondo a valere sul bilancio pluriennale, restano efficaci le disposizioni dell’ultimo contratto decentrato stipulato tra le parti.
Il dodicesimo auspicio ne comprende altri e riguarda un altro aspetto tremendamente controverso, la progressione economica.
Va chiarito, in primo luogo ed a scanso degli equivoci interpretativi determinati dalla magistratura contabile a seguito del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010, che poiché la progressione economica è economica, essa non è giuridica e, quindi, non può e non deve produrre nessun effetto giuridico. L’ovvio, purtroppo, nelle interpretazioni giuridiche richiede precisazioni.
Andrebbero, poi, posti limiti chiari alle progressioni orizzontali, prevedendo un algoritmo di calcolo per il loro espletamento, poiché l’infelice espressione contenuta nell’articolo 23, comma 2, del d.lgs 150/2009 (“Le progressioni economiche sono attribuite in modo selettivo, ad una quota limitata di dipendenti”) non è risultato mai troppo chiaro, specie a chi non vuol capire; meglio esplicitare, scrivendolo anche in corsivo bold, quale percentuale precisamente è quella consentita: a rigor di logica non dovrebbe risultare superiore al 33% del personale interessato. Meglio ancora sarebbe reintrodurre il sistema del “baricentro”, eliminato nel 2001, che impone di distribuire limiti di crescita della spesa tra le varie categorie.
Andrebbero, poi, meglio specificati i criteri di valutazione delle progressioni, chiarendo che non va in alcun modo presa in considerazione l’anzianità di servizio, dalla quale la maggior esperienza professionale si distingue in modo chiaro. Bene sarebbe prevedere, per semplificare, che la progressione economica si basa comunque in buona parte sulla media delle valutazioni di risultato ottenute per esempio nell’ultimo triennio. Altrimenti, se si intende restare ancora laconici e permettere, anche se non consentito, di riferirsi all’anzianità, meglio abolire proprio la Peo e ripristinare i vecchi scatti di anzianità: si risparmia in immensa burocrazia.
Infine, andrebbe specificato che la Peo non può essere oggetto di contrattazione ai fini della distribuzione del fondo, se non è prevista dall’atto di indirizzo annuale della giunta. La contrattazione decentrata non può incagliarsi (come regolarmente avviene) su un tema non ammesso. Allo scopo, occorrerebbe definire una soglia percentuale di incidenza del costo della Peo sul totale del fondo di parte fissa, al di sopra della quale comunque è del tutto inutile nemmeno prevedere la progressione, perché non finanziabile e troppo soffocante per gli altri istituti cui destinare le risorse.
Tredicesimo auspicio: parlando di Peo e, dunque, di categorie, il nuovo Ccnl sarebbe l’occasione ghiotta per l’abolizione della paradossale presenza delle sotto-categorie nella B e nella D: sarebbe il caso di prendere atto, dopo oltre 15 anni, che la suddivisione era solo temporanea; e, comunque, oggi nona ha più alcuna ragione di esistere.
Un ulteriore quattordicesimo auspicio riguarda l’area delle posizioni organizzative. E’ giunta l’ora, anche negli enti con la dirigenza, di escludere dal fondo il finanziamento delle retribuzioni di posizione e risultato, assegnando al bilancio le risorse da esso provenienti; tanto, comunque la spesa per le retribuzioni delle PO rientra nel tetto complessivo, esattamente come accade negli enti privi di dirigenza.
Quindicesimo auspicio. Assurdo mantenere ancora il tetto del 2016 alla spesa complessiva del fondo, come prevede, in via provvisoria (ma potenzialmente definitiva) la riforma Madia, nell’articolo 23, comma 2. Si giunga subito alla “convergenza” della contrattazione di comparto con gli altri e si lasci libertà di determinare la spesa del fondo, consentendo alla parte variabile di essere realmente variabile, nel solo rispetto del tetto di spesa generale (attualmente, la media del triennio 2011-2013).
Sedicesimo auspicio: la contrattazione se modificare il tetto alla quantità di dipendenti da assumere a tempo determinato, fissato dall’articolo 23, comma 1, del d.lgs 81/2015, ai sensi del quale “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi non possono essere assunti lavoratori a tempo determinato in misura superiore al 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell’assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato”.
L’operatività di questa norma, per le amministrazioni pone un doppio tetto: a questo, infatti, si affianca quello finanziario previsto dall’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010. Il contratto ha la possibilità di evitare che la comprensenza dei due tetti finisca per “strozzare” le possibilità assunzionali degli enti, stabilendo che se il tetto finanziario consenta comunque di assumere più del 20% previsto dalla norma, prevalga la norma finanziaria.
Diciassettesimo auspicio: poiché il Ccnl può interessarsi delle procedure, perché non prevedere:
1) l’attribuzione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti del visto di controllo sull’ipotesi di contratto, con eliminazione della competenza in capo ai revisori e silenzio assenso entro 30 giorni? Non si capisce perché la magistratura contabile intervenga per il Ccnl, ma non per il contratto decentrato, se non a distanza di anni a seguito delle ispezioni, quando l’eventuale danno sia già prodotto. Un non senso, al quale va posto rimedio;
2) – oppure: stabilire che i revisori dei conti agiscano, nel controllo sui ccdi, come delegati dalla Corte dei conti, sicchè il loro controllo favorevole, da rendere entro 30 giorni, escluda successive ispezioni del Mef o iniziative giurisdizionali della Corte dei conti; decorsi i 30 giorni senza un visto espresso si formi il silenzio assenso; però, si introduca la possibilità per i revisori di demandare alla Corte dei conti la soluzione di possibili incertezze, che la Corte deve dirimere entro i successivi 15 giorni, altrimenti si presume legittimo il ccdi oggetto di attenzione.
Un diciannovesimo auspicio riguarda la differenziazione della valutazione. Il d.lgs 74/2017 ha, finalmente, abolito l’assurdità delle tre fasce obbligatorie e il nuovo articolo 19 del d.lgs 150/2009 prevede che “Il contratto collettivo nazionale, nell’ambito delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance ai sensi dell’articolo 40, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, stabilisce la quota delle risorse destinate a remunerare, rispettivamente, la performance organizzativa e quella individuale e fissa criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi di cui all’articolo 9, comma 1, lettera d), corrisponda un’effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati”.
Si spera risulti chiaro che nel privato il premio individuale è assai meno utilizzato che nel pubblico, ordinamento nel quale si producono complicatissimi sistemi di valutazione, incomprensibili schede valutative, per distribuire in media 1920 euro lordi annui: nessuna azienda privata considererebbe accettabili i costi legati a così inani benefici. Meglio e più semplice agire sui premi per i risultati collettivi, stabilendo modalità che, sul piano individuale, indichino le condizioni al ricorrere delle quali il premio di produttività vada eventualmente ridotto per chi non abbia assicurato standard lavorativi chiari.
Il ventesimo auspicio è quello più difficile da realizzare. E’ la speranza che le parti riescano a capire l’italiano davvero involuto dell’articolo 40, comma 4-bis, del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale “i contratti collettivi nazionali di lavoro devono prevedere apposite clausole che impediscono incrementi della consistenza complessiva delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori, nei casi in cui i dati sulle assenze, a livello di amministrazione o di sede di contrattazione integrativa, rilevati a consuntivo, evidenzino, anche con riferimento alla concentrazione in determinati periodi in cui è necessario assicurare continuità nell’erogazione dei servizi all’utenza o, comunque, in continuità con le giornate festive e di riposo settimanale, significativi scostamenti rispetto a dati medi annuali nazionali o di settore”.

 

La lettura ad alta voce di questa norma, piena di incisi e relative, lascia letteralmente senza fiato. La speranza è che qualcuno sia capace di renderla in termini operativi semplice ed attuabile, facendo sì che, comunque, per assenze che si concentrino in specifici settori, non siano chiamati a rispondere i restanti dipendenti.  [fine]
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