08/11/2017 – Il recupero delle somme indebitamente corrisposte è atto dovuto per la PA anche in presenza di atti transattivi

Il recupero delle somme indebitamente corrisposte è atto dovuto per la PA anche in presenza di atti transattivi

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

 

A fronte di un illegittimo inquadramento di dipendenti pubblici, l’amministrazione procedeva con un atto di transazione nel quale venivano compensati gli arretrati contrattuali nascenti dall’inquadramento illegittimo, con recupero delle citate somme a valere sugli arretrati contrattuali dovuti in sede di rinnovo contrattuale. Tuttavia, successivamente, anche a seguito delle verifiche ispettive del MEF, veniva evidenziata l’illegittimità del passaggio di carriera tanto che l’amministrazione procedeva sia con il corretto reinquadramento dei dipendenti nella posizione originaria dagli stessi ricoperta, sia con una lettera di messa in mora ai fini del recupero delle somme illegittimamente corrisposte fino a quel momento.

Propongono ricorso i dipendenti avverso l’atto di recupero delle somme corrisposte in modo illegittimo a fronte di un passaggio di carriera non consentito dalla normativa, evidenziando in via preliminare come l’accordo transattivo stipulato con la PA avrebbe inibito un successivo atto di recupero delle somme, in via subordinata come la citata transazione avesse in ogni caso generato affidamento da parte del dipendente, inibendo in tal modo alla PA di procedere ulteriormente in violazione del citato affidamento in buona fede. Un dipendente, inoltre, evidenzia la prescrizione per non avere ricevuto la notificazione dell’atto interruttivo da parte del PA nel termini quinquennale.

Sul corretto recupero delle somme

Evidenziano i giudici amministrativi di prime cure come, il consolidato indirizzo giurisprudenziale considera, quale atto dovuto, l’esercizio del diritto-dovere dell’Amministrazione di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti. Il recupero di tali somme costituisce il risultato di una attività amministrativa, di verifica, di controllo, priva di valenza provvedi mentale. In tali ipotesi l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione. Infatti, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente. Si tratta dunque di un atto dovuto che non lascia all’Amministrazione alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate si configura quale danno erariale a carico nei confronti di colui che tale recupero non abbia disposto. Il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore (cfr. Cons. di Stato, Sez. III, 9 giugno 2014, n. 2902Cons. di Stato, Sez. III, 28 ottobre 2013, n. 5173).

Sulla buona fede del dipendente

Avuto riguardo alla eventuale buona fede del dipendente, la stessa secondo il Collegio amministrativo non può essere considerata di ostacolo all’esercizio del potere-dovere di recupero, per cui l’Amministrazione non è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato. Pertanto, le eventuali doglianze circa la percezione delle somme in buona fede da parte del dipendente sono da considerarsi recessive rispetto ai principi di autotutela amministrativa sotto il profilo della considerazione del tempo trascorso e dell’affidamento maturato in capo agli interessati.

Sulla prescrizione

In merito alla eventuale prescrizione del credito della PA nei confronti delle eccezioni sollevate da un dipendente, a seguito della mancata notifica dell’atto interruttivo, precisa il Collegio Amministrativo che secondo un ormai costante giurisprudenza “l’azione di recupero di somme indebitamente corrisposte al pubblico dipendente da parte della pubblica amministrazione è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946, c.c., e non a quella quinquennale prevista dall’art. 2948, c.c., non potendosi far rientrare tale fattispecie fra le ipotesi espressamente contemplate in quest’ultima norma” (cfr., ex multis, Cons. di Stato, Sez. VI, 20 settembre 2012, n. 4989). Il diritto alla ripetizione dell’indebito da parte della p.a., a norma dell’art. 2946 c.c., quindi, è soggetto a prescrizione ordinaria decennale il cui termine decorre dal giorno in cui le somme sono state materialmente erogate. D’altra parte, l’azione di ripetizione di indebito ha come suo fondamento l’inesistenza dell’obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto o perché è venuto meno successivamente, a seguito ad esempio di annullamento.

Le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 23 novembre 2010, n. 24418, hanno statuito che la ripetizione dell’indebito oggettivo, essendo azione tesa a ripristinare l’equilibrio tra le posizioni di due contraenti, leso dal mancato rispetto del vincolo sinallagmatico tra le prestazioni, è soggetta al termine di prescrizionale decennale. In altri termini, la diversità della posizione del lavoratore che può agire per ottenere quanto dovuto per le proprie prestazioni nel termine di cinque anni previsto dall’art. 2948, n. 4, c.c. per i pagamenti periodici è ben diversa rispetto a quella in cui lo stesso dipendente abbia attenuto somme non dovute, il che giustifica l’applicazione del diverso regime della prescrizione ordinaria decennale.

Precisato quanto sopra, anche il dipendente che reclama l’intervenuta prescrizione la stessa non può essere accolta in quanto non sono maturati i dieci anni previsti in materia di restituzione dell’indebito.

Conclusioni

Per le sopra indicate motivazioni, il ricorso deve essere respinto, tuttavia, in merito al pagamento delle spese di giustizia, le stesse devono essere compensate tra le parti, in quanto sebbene non sia censurabile la condotta dell’Ente resistente che rimane comunque obbligato ad avviare le procedure di recupero di somme indebitamente corrisposte agli interessati, nemmeno può essere censurata la condotta degli interessati che hanno confidato nella validità dei relativi atti transattivi stipulati e che hanno portato al versamento in loro favore delle somme di cui ora si chiede la restituzione, dopo molti anni dalla loro corresponsione.

T.A.R. Lazio, Roma, 27 ottobre 2017, n. 10760

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