07/11/2017 – Le assicurazioni a copertura dei rischi degli enti pubblici e dei dipendenti pubblici

Le assicurazioni a copertura dei rischi degli enti pubblici e dei dipendenti pubblici

di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile Affari legali e istituzionali.

 

La assicurabilità del rischio da “danno erariale”, determinato da un fatto o un atto doloso o (gravemente) colposo di un dipendente/amministratore pubblico, è possibile ma, a seguito dei vari interventi della giurisprudenza contabile e quello del legislatore, l’onere per il pagamento del premio non può essere posto a carico dell’ente pubblico. In via generale, un ente pubblico può assicurare quei rischi che rientrino nella sfera della propria responsabilità patrimoniale e che trasferiscano all’assicuratore la responsabilità patrimoniale stessa, mentre è priva di giustificazione e, come tale, causativa di danno erariale, l’assicurazione di eventi per i quali l’ente non deve rispondere e che non rappresentano un rischio per l’ente medesimo (v. Corte dei Conti-Lombardia, Sez. contr., delib. n. 665/2011). La sentenza della Corte toscana giunge a quasi dieci anni dalla introduzione nell’ordinamento della nullità testuale del contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri propri amministratori per i rischi derivanti dall’espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni cagionati allo Stato o ad enti pubblici e la responsabilità contabile, di cui all’art. 3, comma 59L. n. 244 del 2007. La disposizione, sebbene diretta espressamente a evitare la stipula, con oneri a carico degli enti, di polizze a tutela degli amministratori pubblici, cioè di coloro che agiscono in qualità di titolari di Organi collegiali o monocratici dell’ente stesso, è stata ritenuta da subito diretta a evitare anche la stipula di polizze, con oneri a carico degli enti, a copertura della responsabilità erariale di dipendenti e dirigenti pubblici (V. Presidenza del Consiglio dei Ministri UPPA, parere n. 23 del 2008; Corte dei Conti, Sez. II Centr., sent. n. 127/2011). La disposizione sanziona il soggetto che stipula il contratto e il beneficiario della copertura assicurativa con il pagamento, a titolo di danno erariale (di tipo sanzionatorio e non risarcitorio), di un una somma pari a dieci volte l’ammontare dei premi complessivamente stabiliti nel contratto medesimo. Per quanto attiene al profilo oggettivo, la disposizione deve essere coordinata con la disposizione sulla azione di responsabilità, prevista dall’art. 1L. n. 20 del 1994 e smi, secondo cui la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave e con l’art. 28 della Costituzione il quale dispone che i funzionari e dipendenti degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi civili, penali e amministrative, con conseguente esclusione della possibilità di estensione di tale ultima forma di responsabilità all’ente. Dunque resta ammessa la copertura, con oneri a carico dell’ente, della responsabilità per danno cagionato all’ente medesimo, o ad altri enti pubblici, con colpa lieve da amministratori e dipendenti: si pensi ai casi di danno indiretto, ossia al danno cagionato a terzi da azioni od omissioni poste in essere da amministratori o dipendenti ma senza dolo o colpa grave e perciò non determinanti una azione di rivalsa da parte della Procura erariale. In tali casi, il fatto civilisticamente “illecito” determinante responsabilità civile resta direttamente riferito all’ente, che agisce per mezzo dei propri amministratori e dipendenti. Invece, nei casi di azioni od omissioni commesse da amministratori o dipendenti con dolo o con colpa grave, il danno a terzi sarebbe classificabile quale danno erariale indiretto (v. Corte dei Conti-Calabria, Sez. giurisdiz., sent. n. 714/2009 e Sez. giurisdiz., Emilia Romagna, sent. n. 106/2015) per cui è ammessa l’azione di rivalsa e perciò è rientrante nel divieto di cui alla citata L. n. 244 del 2007.

Stesso stampo ha la copertura, con oneri a carico dell’ente, della tutela legale di amministratori o dipendenti pubblici (rectius rimborso spese legali), che resta ammissibile solo per i casi di azioni od omissioni posti in essere senza dolo o colpa grave conformemente a quanto previsto dalla legislazione (v. art. 86D.Lgs. n. 267 del 2000 come modificato dalla Legge n. 125/2015, di conversione con modificazioni del D.L. n. 78 del 2015; v. art. 18, comma 1, D.L. n. 67 del 1997 convertito con modificazioni dalla L. n. 135 del 1997) o dalla disciplina contrattuale, per i dipendenti pubblici il cui rapporto sia stato “privatizzato”, ai sensi dell’art. 2D.Lgs. n. 165 del 2001. Il fatto che il dipendente e/o l’amministratore pubblico sia portatore di un interesse altruistico, che si riversa a beneficio della collettività di cui l’ente e espressione, pone l’esigenza che l’ente medesimo tenga indenne il dipendente stesso per le spese legali sostenute ogni qualvolta sia chiamato a rispondere del suo operato pubblico in sede penale, civile ed amministrativa (v. Presupposti e requisiti ai fini del rimborso delle spese legali ex art. 18D.L. n. 67 del 1997, su Rassegna dell’Avvocatura dello Stato n. 1/2016). E’ risultata però censurabile l’estensione del rimborso spese legali ai casi di lite attiva, dove in sostanza la scelta del ‘se’ e del ‘come’ promuovere un contenzioso, in ogni sede, era rimessa alla mera decisione degli ‘assicurati’. Secondo la Corte, tale previsione comportava una sostanziale deresponsabilizzazione degli organi municipali che potevano decidere di fare causa a chi volevano, mentre tale ‘tutela’ si ritiene vada pacificamente accordata unicamente per i rimborsi spese relativi a procedimenti penali e civili dove gli ‘assicurati’ assumono il ruolo di imputati o convenuti. (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale dell’Emilia Romagna, sent. n. 319/2011). In ogni caso, resta fermo che deve riservarsi all’ente la facoltà/dovere di verificare ex post, cioè alla conclusione del procedimento, la sussistenza o meno di un conflitto di interessi da dedurre in ragione dell’esito giudiziale e degli accertamenti ivi conseguiti.

Riguardo all’uso dei beni per il disimpegno delle funzioni istituzionali, è ammissibile l’assicurazione Kasko limitatamente all’utilizzo del veicolo proprio (del dipendente) in considerazione della possibilità, ancora esistente, di concedere l’autorizzazione all’uso, anche se, in assenza di rimborso, i casi concreti saranno molto ridotti rispetto al passato. (Corte dei conti-Toscana, Sez. contr., delib., n. 170/2010). Non è ammissibile invece un copertura assicurativa Kasko per i danni cagionati – anche per colpa grave – ai veicoli dell’ente pubblicoo in uso a questo. Tale copertura comporterebbe la conseguenza di escludere di fatto ogni possibilità che il conducente (dipendente o amministratore pubblico) possa essere chiamato dall’Ente o dalla Corte dei Conti a rispondere dei danni prodotti ai veicoli di proprietà dell’ente commessi con colpa grave (Corte dei Conti-Emilia Romagna, Sez. giurisdiz., sent. n. 895/2006). La Corte ha ritenuto che il ragionamento sia replicabile anche per tutti i beni mobili e immobili di proprietà dell’ente.

Riguardo al rischio infortunio, poiché per i dipendenti pubblici, siano essi privatizzati o ancora retti da norme di diritto pubblico, l’assicurazione contro i danni subiti per infortuni avvenuti in occasione di lavoro è disciplinata dalle disposizioni in materia di assicurazione obbligatoria con gli infortuni e le malattie professionali (D.P.R. n. 1124 del 1965), la possibilità degli enti di fare ricorso in tale materia a forme ulteriori di assicurazione, può ritenersi lecita nei soli limiti in cui si rivolga chiaramente verso rischi non considerati e coperti dalle coperture assicurative previste per legge, o comunque siano contratte coperture in favore di soggetti non compresi nelle categorie dei dipendenti considerate dalle norme in materia. In ogni caso, assumendo in tali casi il dipendente assicurato anche la veste del danneggiato, dovrebbero escludersi gli infortuni cagionati dai medesimi dipendenti e tanto più se commessi con colpa grave. (Corte dei Conti-Emilia Romagna, Sez. giurisdiz., sent. n. 895/2006).

La logica sottesa ai suddetti orientamenti normativi e giurisprudenziali è che la stipula delle richiamate polizze, con l’assunzione da parte dell’ente pubblico dell’onere della tutela assicurativa dei propri amministratori o dipendenti, in ordine alla responsabilità amministrativa per danni alle pubbliche finanze, oggetto dei giudizi di responsabilità da parte della Corte dei conti, determinerebbe un effetto di deresponsabilizzazione dei pubblici amministratori e dipendenti i quali, i forza di tali polizze, pur gestendo risorse pubbliche ed esercitando pubbliche funzioni, non risponderebbero mai personalmente dei danni causati agli enti pubblici cui sono legati da rapporto di servizio non sopportando neppure l’onere del premio assicurativo. La sentenza in commento ha ritenuto illecito il pagamento del premio effettuato dall’ente interessato in virtù di una polizza, comprendente tra i vari rischi anche la responsabilità per fatto doloso o gravemente colposo, stipulata nel 1997 con durata quindicennale fino al 2012. Un caso di nullità sopraggiunta a seguito della norma imperativa. La Corte ha ravvisato l’antigiuridicità del comportamento, qualificato persino “doloso”, di chi, mantenendo una prassi illegittima in palese difformità dalla evoluzione normativa, e con una prassi illegittima causativa un aggravio di responsabilità in chiara violazione dei doveri derivanti dal rapporto di servizio, abbia garantito la piena e completa deresponsabilizzazione, sotto il profilo gestionale, della classe dirigente e politica dell’ente cui viene addossato il relativo onere (in tal senso cfr. Corte dei Conti-Emilia Romagna, Sez. giurisdiz., n. 95/2012).

Corte dei Conti-Toscana, Sez. giurisdiz., sentenza 12 ottobre 2017, n. 243

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