07/11/2017 – L’atto di autotutela deve sempre dimostrare la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, tenendo conto dell’interesse del destinatario

L’atto di autotutela deve sempre dimostrare la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, tenendo conto dell’interesse del destinatario

di Amedeo Di Filippo – Dirigente comunale

 

I proprietari di un’area con soprastanti tre fabbricati hanno impugnato l’ordinanza comunale con cui era stata annullata la concessione edilizia in sanatoria in relazione all’unità immobiliare adibita a guardiania e ne era stata ordinata la demolizione.

Il Tar Puglia, con la sentenza n. 1636 del 28 aprile 2010, ha respinto il ricorso ritenendo l’annullamento d’ufficio della concessione edilizia giustificato alla luce dell’illegittimità della sanatoria, per essere stata rilasciata in difetto di istruttoria, sulla scorta di una errata prospettazione dello stato dei luoghi. E questo perché l’affidamento riposto dai privati nella legittimità della concessione in sanatoria non è degno di tutela in mancanza di buona fede, atteso che la situazione di illegalità è stata determinata dai ricorrenti, ampliando la ex guardiania in epoca successiva all’acquisto.

I ricorrenti hanno dunque fatto affidamento non sulla legittimità del condono edilizio, ma sul fatto che il Comune non avrebbe mai sollevato la questione della sua regolarità. Siffatto affidamento, non essendo connotato da buona fede, non era degno di essere tutelato e perciò non imponeva all’amministrazione di verificare se l’interesse al ripristino della legalità violata fosse o meno prevalente sul contrapposto interesse dei ricorrenti al mantenimento dell’opera abusiva, né limitava il potere di annullamento dell’atto illegittimo in ragione del lungo lasso di tempo trascorso dal rilascio della concessione illegittima.

Pertanto, l’amministrazione non aveva l’obbligo di verificare se l’interesse al ripristino della legalità violata fosse o meno prevalente sul contrapposto interesse dei privati; né il potere dell’amministrazione di annullamento dell’atto risulta limitato in ragione del lungo tempo trascorso dal rilascio della concessione illegittima. Peraltro, il manufatto non avrebbe potuto essere condonato o altrimenti sanato, per cui l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata è prevalente rispetto all’interesse dei ricorrenti al mantenimento del manufatto abusivo, venendo anche in questione valori ambientali d’importanza prevalente secondo il legislatore regionale.

La sentenza è stata impugnata in appello e con ordinanza del 2010 la quarta sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza appellata. Con ordinanza n. 1830 dell’aprile 2017, la stessa sezione, ravvisando un contrasto giurisprudenziale circa un punto di diritto centrale ai fini della definizione della controversia, ha sospeso il giudizio e rimesso all’Adunanza plenaria i seguenti quesiti: se, nella vigenza dell’art. 21-noniesL. n. 241 del 1990, l’annullamento di un titolo edilizio in sanatoria intervenuto a notevole distanza di tempo dal provvedimento originario debba comunque essere motivato in relazione a un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione e ai contrapposti interessi dei soggetti incisi; se, ai fini di tale comparazione, rilevi che il privato abbia indotto in errore l’amministrazione attraverso l’allegazione di circostanze non veritiere idonee a determinare l’adozione dell’originario provvedimento favorevole.

Gli orientamenti

Sui quesiti dunque si esprime l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 8 del 17 ottobre 2017, chiamata a dare soluzione a due opposti orientamenti. In base al primo (maggioritario), l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo risulta correlato alla necessità di curare l’interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. Ciò in quanto il rilascio stesso di un titolo illegittimo determina la sussistenza di una permanente situazione contraria alla legge che determina in capo all’amministrazione il potere-dovere di annullare in ogni tempo il titolo edilizio illegittimamente rilasciato.

Questo esclude in capo all’amministrazione un particolare onere motivazionale laddove l’illegittimità sia stata determinata da una falsa rappresentazione dei fatti e dello stato dei luoghi imputabile al beneficiario del titolo in sanatoria. Non invece allorquando l’esercizio dell’autotutela discenda da errori di valutazione imputabili alla stessa amministrazione.

In base al secondo orientamento (minoritario ma recentissimo), anche nel caso di annullamento di titoli edilizi in sanatoria dovrebbero trovare integrale applicazione i generali presupposti legali di cui all’art. 21-noniesL. n. 241 del 1990, non potendo l’amministrazione fondare l’adozione dell’atto di ritiro sul mero intento di ripristinare la legalità violata.

L’esercizio del potere di annullamento d’ufficio postula l’apprezzamento di un presupposto “rigido” (l’illegittimità dell’atto da annullare) e di due ulteriori presupposti riferiti a concetti indeterminati, da apprezzare discrezionalmente dall’amministrazione, ossia la ragionevolezza del termine di esercizio del potere di ritiro e dell’interesse pubblico alla rimozione e la considerazione dell’interesse dei destinatari.

Da un lato, dunque, la certezza del diritto in ogni tempo e il rispetto pedissequo della legalità; dall’altro la garanzia della tutela dell’affidamento dei destinatari circa la certezza e la stabilità degli effetti giuridici prodotti dal provvedimento illegittimo, che porta a ricercare un motivato bilanciamento fra l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata e l’interesse dei destinatari al mantenimento dello status quo ante, rafforzato dall’affidamento legittimo determinato dall’adozione dell’atto e dal decorso del tempo.

La posizione dell’Adunanza plenaria

Per pervenire alla soluzione dell’arcano, la plenaria si pone e risponde a quattro domande. La prima è se l’annullamento di un titolo edilizio in sanatoria presupponga, sulla base dell’art. 21-noniesL. n. 241 del 1990, la motivata valutazione dell’interesse pubblico al ripristino della legalità violata, anche alla luce degli interessi dei destinatari alla permanenza di effetti di tale titolo, ovvero se possa affermarsi la non necessità di un siffatto onere motivazionale, sussistendo un interesse pubblico in re ipsa al ripristino dell’ordine giuridico violato.

La risposta è netta: le generali categorie in tema di annullamento ex officio di atti amministrativi illegittimi trovano applicazione anche nel caso di ritiro di titoli edilizi in sanatoria illegittimamente rilasciati, non potendosi postulare in via generale e indifferenziata un interesse pubblico in re ipsa alla rimozione di tali atti. Conseguentemente, grava sull’amministrazione l’onere di motivare puntualmente in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto, tenendo altresì conto dell’interesse del destinatario al mantenimento dei relativi effetti.

I giudici non dimenticano il ruolo che anche essi hanno nella lotta contro l’abusivismo edilizio, purtuttavia vogliono che questa opera sia preventiva e non successiva, responsabilizzando le amministrazioni “all’adozione di un contegno chiaro e lineare, tendenzialmente fondato sullo scrupoloso esame delle pratiche di sanatoria o comunque di permesso di costruire già rilasciato, e sul diniego ex ante di istanze che si rivelino infondate, nonché sull’obbligo di serbare – in caso di provvedimenti di sanatoria già rilasciati – un atteggiamento basato sul generale principio di clare loqui“.

L’altro timore espresso nella sentenza è che la sostanziale deresponsabilizzazione delle amministrazioni attraverso una radicale e indistinta esenzione dal generale obbligo di motivazione può produrre effetti distorsivi, consentendo in ipotesi-limite all’amministrazione – la quale abbia comunque errato nel rilascio di una sanatoria illegittima – dapprima di restare inerte anche per un lungo lasso di tempo e poi di adottare un provvedimento di ritiro privo di alcuna motivazione.

Questo ragionamento consente all’Adunanza plenaria di rimeditare ad un orientamento passato in giurisprudenza e dottrina come “inconsumabilità del potere” o “perennità della potestà amministrativa di annullare in via di autotutela gli atti invalidi”, alla luce dell’attuale fase di evoluzione di sistema, che postula una sempre maggiore attenzione al valore della certezza delle situazioni giuridiche e alla tendenziale attenuazione dei privilegi riconosciuti all’amministrazione, anche quando agisce con poteri autoritativi e nel perseguimento di primarie finalità di interesse pubblico.

Senza contare che una simile tesi finirebbe per rendere vincolato l’esercizio del potere di autotutela, che giurisprudenza e legge delineano come tipico potere discrezionale dell’amministrazione.

La seconda domanda è se il decorso di un considerevole lasso di tempo possa incidere in radice sul potere di annullamento d’ufficio e quale sia il corretto dies a quo per l’individuazione del termine “ragionevole” di esercizio di tale potere.

Superato il pregresso orientamento della perennità della potestà amministrativa di annullare gli atti invalidi, i giudici rilevano come oggi l’ordinamento fornisca maggiore protezione per i soggetti incisi dal potere di autotutela, proprio inserendo il richiamo alla ragionevolezza del termine. Questo non vuol dire che il decorso di un lasso temporale particolarmente ampio consumi in via definitiva il potere di riesame, quanto che tale circostanza impone una valutazione progressivamente più ponderata fra l’interesse pubblico al ritiro dell’atto illegittimo e il complesso delle altre circostanze e interessi rilevanti, a cominciare da quello del destinatario del provvedimento illegittimo.

In altri termini, il decorso del tempo non esclude il potere di autotutela, ma impegna l’amministrazione a valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale.

Ma quand’è che il termine può considerarsi ragionevole? La plenaria afferma che si tratta di un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti caso per caso, la cui decorrenza scatta dal momento in cui l’amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto.

La terza domanda è se l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione possa restare in qualche misura attenuato in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati. La risposta è affermativa, alla luce della pregnanza degli interessi pubblici sottesi alla disciplina in materia edilizia e alla prevalenza che deve essere riconosciuta ai valori che essa mira a tutelare.

L’Adunanza plenaria propone l’esempio del titolo edilizio illegittimamente rilasciato in area interessata da un vincolo di inedificabilità assoluta o caratterizzata da un grave rischio sismico: in tali ipotesi, la motivazione dell’atto di ritiro potrà essere legittimamente fondata sul richiamo all’inderogabile disciplina vincolistica oggetto di violazione e l’onere motivazionale potrà dirsi soddisfatto attraverso il richiamo alle circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano violate. Caso analogo è quello in cui vi sia stata la non veritiera prospettazione dei fatti rilevanti da parte del soggetto interessato, che siano stati determinanti per l’adozione dell’atto illegittimo.

La quarta domanda è se la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze sottese all’adozione dell’iniziale provvedimento favorevole consenta comunque di configurare in capo a lui una posizione di affidamento incolpevole e se (in caso negativo) l’amministrazione possa adeguatamente motivare l’adozione dell’atto di annullamento in base al mero dato della non veritiera prospettazione.

La plenaria fornisce risposta decisamente negativa, non potendo sussistere l’esigenza di tutelare l’affidamento di chi abbia ottenuto un titolo edilizio – anche in sanatoria – rappresentando elementi non veritieri, anche qualora intercorra un considerevole lasso di tempo fra l’abuso e l’intervento repressivo dell’amministrazione.

Ancora il Consiglio di Stato

A proposito di annullamento tardivo, è interessante segnalare la sentenza n. 5018 del 30 ottobre 2017 con cui la sesta sezione del Consiglio di Stato si è espressa sui presupposti e condizioni per disporre l’annullamento di una DIA.

Ha in primo luogo affermato che, affinché il potere di intervento tardivo possa dirsi legittimamente esercitato, è indispensabile che, ai sensi dell’art. 21-nonies , L. n. 241 del 1990, l’amministrazione invii all’interessato la comunicazione di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga tempestivamente e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

Ricorda, inoltre, che la DIA, una volta decorsi i termini per l’esercizio del potere inibitorio-repressivo, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace, che può essere rimosso solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria. Pertanto, deve considerarsi illegittima l’adozione di un provvedimento repressivo-inibitorio oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della DIA e senza le garanzie e i presupposti previsti dall’ordinamento per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.

L’annullamento del provvedimento formatosi sulla DIA edilizia deve inoltre accompagnato dal rispetto di tutte le forme sostanziali e procedimentali previste per gli atti in autotutela, ivi compresa la necessità di un tempo ragionevole per porre in essere il provvedimento di secondo grado e la comparazione dell’interesse pubblico con l’aspettativa del privato, consolidata dal decorso del tempo e dalla consapevolezza dell’intervenuto assenso tacito nei termini di legge. In difetto di questi presupposti, l’attività autodichiarata può legittimamente proseguire.

Anche in questo caso, dunque, il potere di autotutela deve essere esercitato entro un termine ragionevole e supportato dall’esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio, tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto un ragionevole affidamento sulla regolarità dell’autorizzazione edilizia. Nell’esternazione dell’interesse pubblico l’amministrazione deve indicare non solo gli eventuali profili di illegittimità ma anche le concrete ragioni di pubblico interesse, “diverse dal mero ripristino della legalità in ipotesi violata”, che inducono a porre nel nulla provvedimenti che, pur se illegittimi, abbiano prodotto i loro effetti.

Cons. di Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 8

Cons. di Stato, Sez. VI, 30 ottobre 2017, n. 5018

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