04/11/2017 – La competenza circa le controversie in tema di conferimento o di revoca di incarichi dirigenziali è del G.O.

La competenza circa le controversie in tema di conferimento o di revoca di incarichi dirigenziali è del G.O.

di Marcello Lupoli – Dirigente P.A.

 

La competenza a conoscere le controversie relative al conferimento o alla revoca di incarichi dirigenziali da parte della P.A. è del giudice ordinario, dinanzi al quale è assicurata piena tutela anche mediante l’istituto della disapplicazione dell’atto presupposto, nonché dall’esercizio degli ampi poteri riconosciuti al G.O. dall’art. 63, comma 2, D.Lgs. n. 165 del 2001 e s.m.i.

Tanto, anche alla stregua della considerazione che le suddette controversie concernono ormai atti che sono da considerare come mere determinazioni negoziali e non più come atti di alta amministrazione, attesa la natura di atti di gestione del rapporto di lavoro rispetto ai quali l’amministrazione stessa opera con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

A tale conclusione giungono le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24877 del 20 ottobre 2017.

Ed invero, la Suprema Corte regolatrice è stata chiamata ad esprimersi in ordine alla doglianza circa la supposta erronea pronuncia resa dalla suprema magistratura amministrativa che aveva declinato la propria giurisdizione in ordine all’impugnativa degli atti adottati da una regione relativi alla nomina del direttore generale e dei vice direttori generali dell’agenzia regionale per la protezione ambientale.

In particolare, il Consiglio di Stato, confermando la pronuncia resa dal giudice amministrativo di prime cure, aveva ritenuto (sentenza n. 784/2016 della V Sezione) di non essere competente a conoscere della suddetta impugnativa in base all’assunto che gli atti di conferimento e di revoca degli incarichi dirigenziali non sono atti di alta amministrazione, bensì atti gestori del rapporto di lavoro, la cui cognizione è demandata al giudice ordinario.

In particolare, i giudici di Palazzo Spada avevano sottolineato nella citata sentenza che la “giurisprudenza della Corte di Cassazione e quella del Consiglio di Stato, infatti, convergono nel ritenere che gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali […] e non quella di atti di alta amministrazione”, precisando che mentre “i primi evidenziano l’esercizio di poteri analoghi a quelli del datore di lavoro privato, in settori nei quali il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione è stato equiparato dalla legge al lavoro privato; i secondi, invece, possono essere adottati anche sotto forma di nomina dei vertici delle amministrazioni, in settori nei quali l’ordinamento stima opportuno mantenere una disciplina giuridica sottratta al fenomeno della privatizzazione. Quest’ultimi sono, quindi, espressione di un’ampia discrezionalità amministrativa [..], il che ne impone la sottoposizione al sindacato del giudice amministrativo secondo l’ordinario criterio di riparto”.

La parte ricorrente del giudizio che ne occupa opina diversamente dal suddetto assunto alla stregua della considerazione che l’azione è stata proposta deducendo la lesione di prerogative previste per gli organi rappresentativi da norme di rango costituzionale, di guisa che la situazione giuridica soggettiva è costituita da tali prerogative, non riguardando la gestione di rapporti di lavoro, nonché che gli atti impugnati sostanzialmente sono gli atti conclusivi di un procedimento di macro-organizzazione e che la nomina di un direttore generale di un’agenzia regionale per la protezione ambientale si caratterizzerebbe per avere la natura di atto di alta amministrazione.

Tali conclusioni non sono ritenute degne di accoglimento da parte dei supremi giudici di Piazza Cavour.

Ed infatti, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la sentenza oggetto della presente disamina, approdano ad una conclusione completamente opposta, affermando invero la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie afferenti gli atti di conferimento e di revoca degli incarichi dei dirigenti pubblici in forza dei rilievi che seguono, costituenti il nucleo essenziale della parte motiva del dictum de quo.

Procedendo ad un puntuale scrutinio dei singoli aspetti del motivo di gravame avanzato, i supremi giudici della Corte regolatrice evidenziano come il denunciare una lesione di prerogative previste per gli organi rappresentativi da norme di rango costituzionale non consenta ex se di attribuire la giurisdizione al giudice amministrativo, sia perché “proprio la natura di eventuali prerogative previste per gli organi rappresentativi da norme di rango costituzionale esclude che si verta in tema di meri interessi legittimi”, sia perché non si tratta di “una materia rientrante nel novero – tassativo – delle controversie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.

Proseguendo nell’esame del motivo di ricorso inoltrato la Corte reputa come sia “irrilevante definire gli impugnati decreti di nomina come atti conclusivi d’un procedimento di macro-organizzazione”, con l’effetto che “la giurisdizione del giudice amministrativo si radica ove oggetto dell’impugnazione sia, appunto, l’atto di macro-organizzazione in tesi affetto da vizi di legittimità”, ben diversa essendo, invece, la fattispecie “in cui se ne lamenti la non puntuale applicazione”.

Conseguentemente – affermano le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione nella sentenza de qua – “in tutti i casi nei quali vengano in considerazione atti amministrativi presupposti, ove si verta in tema di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, è consentita esclusivamente l’instaurazione del giudizio davanti al giudice ordinario, nel quale la tutela è pienamente assicurata dall’eventuale disapplicazione (dell’atto presupposto) e dagli ampi poteri riconosciuti al giudice ordinario medesimo dal comma 2 dello stesso art. 63” (cfr., Cass. Civ. Sez. Unite, sentenza n. 9185/2012sentenza n. 3677/2009 e sentenza n. 13169/2006).

Il suddetto assunto è ancor più valido nella fattispecie concreta portata all’attenzione dei giudici di Piazza Cavour, ove non viene neppure in rilievo la potenziale disapplicazione di un atto amministrativo presupposto, del quale, invece, si invoca la piena applicazione.

Infine, l’ultimo profilo del motivo di gravame interposto concerne la natura degli atti che ne occupano. Sul punto, la Suprema Corte – come già evidenziato in precedenti pronunzie (Cass. Civ. Sez. Unite, sentenza n. 18972/2015Cass. Civ, sentenza n. 20979/2009) e concordando con l’assunto del Consiglio di Stato (cfr. la citata sentenza n. 784/2016 della V Sezione) – ha statuito che “se è vero che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo rispetto ad atti di alta amministrazione, nondimeno va considerato che, avendo l’art. 63, comma 1, D.Lgs. n. 165 del 2001 espressamente attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario anche le controversie in tema di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, ormai tali atti sono da considerarsi come mere determinazioni negoziali […] e non più atti di alta amministrazione, venendo in tal caso in considerazione come atti di gestione del rapporto di lavoro rispetto ai quali l’amministrazione stessa opera con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”.

In merito già con la citata sentenza n. 18972/2015 le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione avevano osservato che “in materia di pubblico impiego privatizzato, il datore di lavoro pubblico ha un’ampia potestà discrezionale nella scelta dei soggetti ai quali conferire incarichi dirigenziali, cui corrisponde, in capo a coloro che aspirano all’incarico, una posizione qualificabile come di interesse legittimo di diritto privato, riconducibile, quanto alla tutela giudiziaria, nella più ampia categoria dei “diritti” di cui all’art. 2907 c.c. […]. In particolare, gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro; le norme contenute nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165art. 19, comma 1, obbligano l’amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.. Tali norme obbligano la P.A. a valutazioni anche comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte. Pertanto, ove l’amministrazione non abbia fornito alcun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile l’inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile […]; tuttavia, la predeterminazione dei criteri di valutazione non comporta un automatismo nella scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro (sia pure con il vincolo del rispetto di determinati elementi sui quali la selezione deve fondarsi), al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti di attività vincolata e non discrezionale […]”.

In conclusione, le argomentazioni operate dai giudici di Piazza Cavour nella sentenza oggetto della presente disamina, che si collocano nella scia di un acclarato orientamento giurisprudenziale, hanno quale effetto il rigetto del ricorso inoltrato, con conseguente diniego della giurisdizione del giudice amministrativo e declaratoria di quella del giudice ordinario.

Cass. Civ., Sez. Unite, 20 ottobre 2017, n. 24877

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