07/03/2017 – le più recenti indicazioni della Corte di cassazione

LE PIU’ RECENTI INDICAZIONI DELLA CORTE Di CASSAZIONE

Di Arturo Bianco

Il dirigente del settore in cui svolge la sua attività un dipendente inquisito può fare parte dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, anche come unico componente. Nei giudizi dinanzi alle commissioni tributarie il comune può essere rappresentato dal dirigente del settore e non deve necessariamente essere rappresentato dal dirigente del settore tributi. I dirigenti non hanno un diritto alla conferma dell’incarico; tale principio si applica anche al comandante della polizia locale. Sono questi i principi affermati dalla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di personale.

LA COMPOSIZIONE DELL’UFFICIO PER I PROCEDIMENTI DISCIPLINARI La sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 5317 del 2 marzo 2017 fissa numerosi importanti principi in materia di composizione ed attività dell’ufficio per i procedimenti disciplinari: esso può essere monocratico, può farne parte il dirigente/responsabile del settore in cui svolge la sua attività il dipendente oggetto del procedimento, non vi è decadenza per la mancata comunicazione al dipendente della segnalazione da parte del dirigente all’ufficio per i procedimenti disciplinari, il termine imperativo di conclusione del procedimento disciplinare va calcolato con riferimento alla data di adozione della sanzione e l’ente può assumere le risultanze di fatto del procedimento penale svolto sullo stesso fatto. Viene in primo luogo ricordato che tutte le PA devono istituire l’ufficio per i procedimenti disciplinari: al riguardo non sono previsti specifici vincoli né formalità ed esso può essere costituito in composizione monocratica. Siamo nell’ambito di scelte che appartengono alla sfera dell’autonomia del datore di lavoro. In secondo luogo, si chiarisce che il dirigente/responsabile del settore in cui il dipendente destinatario del procedimento svolge la sua attività può far parte dell’ufficio per i procedimenti disciplinari: il vincolo della terzietà di tale ufficio impone che vi sia una distinzione con la struttura in cui il dipendente è utilizzato. In terzo luogo, la mancata comunicazione da parte del dirigente al dipendente della trasmissione degli atti all’ufficio per i procedimenti disciplinari per l’avvio delle relative procedure, non determina un vizio di legittimità. Le attività istruttorie possono essere svolte dal personale assegnato e non è richiesto come condizione essenziale l’intervento dei componenti tale ufficio. Inoltre, il termine imperativo di conclusione del procedimento disciplinare non include la data di comunicazione della sanzione al dipendente, ma dalla data in cui il provvedimento viene adottato. Infine, l’ente assume in via ordinaria le circostanze di fatto che sono state acclarate nel procedimento penale che si è svolto sullo stesso fatto.

LA RAPPRESENTANZA NEI GIUDIZI TRIBUTARI La rappresentanza dell’ente in giudizio può dal regolamento essere assegnata al dirigente del settore competente e non deve essere necessariamente assegnata al dirigente del settore tributi, ovvero negli enti privi di dirigente al responsabile di posizione organizzativa. Sono queste le conclusioni contenute nella sentenza della sezione tributaria della Corte di Cassazione n. 577/2017. Leggiamo nella sentenza che: “fermo restando che il Sindaco ha sempre la potestà rappresentativa dell’ente comunale, tale potestà può legittimamente individuarsi – se previsto dallo statuto o dal regolamento da quest’ultimo richiamato – anche in persona del dirigente del settore di competenza”. Al riguardo si cita la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 12868/2005: “nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto del Comune – ed anche il regolamento del Comune, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare – può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico – amministrativa del Comune, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, il Sindaco conserva l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi dell’art. 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (…)”. La sentenza ricorda inoltre le previsioni del D.Lgs. n. 546/1992, art. 11, comma 3, come sostituito dal D.L. n. 44/2005, per il quale “l’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche tramite il dirigente dell’ufficio-tributi ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio”. Ed inoltre leggiamo che, “a seguito della riforma del Titolo 5 della Costituzione e del regime delle autonomie degli enti locali di cui al D.Lgs. n. 267/2000, i regolamenti comunali possono legittimamente prevedere che, nel contenzioso avanti alle commissioni tributarie, a rappresentare in giudizio l’ente sia un dirigente del servizio di competenza, ancorchè diverso da quello dell’ufficio-tributi; e ciò senza necessità di specifica delibera autorizzativa della giunta comunale”. Per cui, conclusivamente, la sentenza fissa il seguente principio: il “potere di rappresentanza processuale dei dirigenti deve intendersi, dunque, assolutamente pacifico riguardo ai giudizi davanti alle commissioni tributarie”.

L’INCARICO DI COMANDANTE DI POLIZIA LOCALE A TEMPO DETERMINATO Per la sentenza della Corte di Cassazione n. 4621/2017 non vi è un diritto del dirigente, ivi compreso quello della polizia locale, di vedersi confermato l’incarico dirigenziale alla scadenza. In premessa, la sentenza ricorda che si deve escludere “la configurabilità di un diritto soggettivo del dirigente a conservare in ogni caso determinate tipologie di incarico dirigenziale, ancorché corrispondenti all’incarico assunto a seguito di concorso specificatamente indetto per determinati posti di lavoro e anteriormente alla cosiddetta privatizzazione. Lo stesso sistema, peraltro, conferma il principio generale che, nel lavoro pubblico, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e non consente perciò – anche in difetto della espressa previsione di cui all’art. 19 D.Lgs. n. 165/2001 stabilita per le Amministrazioni statali – di ritenere applicabile l’art. 2103 cod. civ., risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico locale, con la sola eccezione della dirigenza tecnica”. Il dirigente interno, cui è stato modificato il precedente incarico di comandante della polizia locale, non è peraltro rimasto privo di un incarico dirigenziale, per cui le sue prerogative minime sono state garantite. Ricordiamo che negli enti privi di dirigenti i dipendenti di categoria D non hanno un diritto a vedersi assegnato l’incarico di posizione organizzativa. Con la legge n. 190/2012 è stato inoltre introdotto il principio della rotazione periodica negli incarichi dirigenziali che sono preposti allo svolgimento delle attività ad elevato rischio di corruzione. Il principio di carattere generale che i comuni devono rispettare è che “gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro; le norme contenute nel D.Lgs. n. 165/2001, art. 19, comma 1, obbligano l’Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Costituzione”. Di conseguenza, “la tutela di tale posizione giuridica soggettiva, affidata al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, non differisce da quella già riconosciuta al partecipante ad una procedura di selezione concorsuale adottata dal datore di lavoro privato. Tale posizione è suscettibile di tutela giurisdizionale, anche in forma risarcitoria, a condizione che l’interessato ne alleghi e provi la lesione, nonché il danno subito, in dipendenza dell’inadempimento degli obblighi gravanti sull’amministrazione, senza che la pretesa risarcitoria possa fondarsi sulla lesione del diritto al conferimento dell’incarico, che non sussiste prima della stipula del contratto che accede al provvedimento”. Di conseguenza il dirigente che ricorre deve dimostrare “la lesione di un interesse legittimo di diritto privato per inadempimento di obblighi gravanti sull’Amministrazione, in relazione agli atti preliminari prospettati, nonché l’allegazione (e la prova) del danno subito dal lavoratore in dipendenza dello stesso inadempimento”. Ed ancora, “Il dirigente il cui incarico sia venuto a scadenza non ha alcun diritto ad ottenerne il rinnovo.. alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e non consente perciò di ritenere applicabile l’art. 2103 cod. civ., risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico”

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