04/05/2017 – La prevenzione della corruzione nel diritto comparato.

La prevenzione della corruzione nel diritto comparato.

La corruzione non è una questione esclusivamente locale, che interessa il singolo Stato, ma un fenomeno transnazionale che colpisce tutte le società e le economie. Gli Stati sono molto preoccupati dalla gravità dei problemi posti dalla corruzione e dalla minaccia che essa costituisce per la stabilità e la sicurezza delle società, con il rischio di minare le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromettendo lo sviluppo sostenibile e lo stato di diritto. Con la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione conclusa a New York il 31 ottobre 2003 la cooperazione internazionale diventa uno strumento essenziale per prevenire e stroncare la corruzione.

Spetta a ciascuno Stato assicurare, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, l’esistenza di uno o più organi, secondo quanto necessario, incaricati di prevenire la corruzione mediante:

a)      l’applicazione delle politiche di prevenzione della corruzione efficaci e coordinate che favoriscano la partecipazione della società e rispecchino i principi di stato di diritto, di buona gestione degli affari pubblici e dei beni pubblici, d’integrità, di trasparenza e di responsabilità;

b)      l’accrescimento e la diffusione delle conoscenze concernenti la prevenzione della corruzione.

Ogni Stato, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, concede all’organo od agli organi incaricati di prevenire la corruzione, l’indipendenza necessaria a permettere loro di esercitare efficacemente le loro funzioni al riparo da ogni indebita influenza.  A costoro dovrebbero essere fornite le risorse materiali ed il personale specializzato necessari, nonché la relativa formazione necessaria per esercitare le sue funzioni.

L’Italia non è sicuramente un’eccellenza nella lotta alla corruzione. Gli ultimi risultati degli indici di percezione della corruzione del 2016 la collocano al 60° posto nel mondo, migliorando quindi di una posizione rispetto all’anno precedente. Tra i paesi cosiddetti virtuosi, si annoverano la  Danimarca e la Nuova Zelanda, seguiti da Finlandia e Svezia. Sono tutti Paesi che possiedono legislazioni avanzate su accesso all’informazione, diritti civili, apertura e trasparenza dell’amministrazione pubblica.

 

Nel nostro Paese si è dato attuazione alla Convenzione ONU con la legge 6 novembre 2012, n. 190.

Tra gli strumenti preventivi previsti dalla legge 190 acquisiscono rilevanza a livello centrale il Piano nazionale anticorruzione e nei singoli enti, i Piani triennali di prevenzione della corruzione.

Non appena si manifestano fatti di cronaca legati a fenomeni corruttivi l’interrogativo che si ci pone, se siano utili ed efficaci tali strumenti preventivi e le misure messe in atto. Sicuramente non lo sono le risorse materiali a disposizione. Non è un caso che dall’attuazione della legge 190 viene affermato che non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

È in discussione se sia stata del tutto efficace la scelta di assegnare all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) l’attività di vigilare per prevenire la corruzione con l’obiettivo, non sempre raggiunto, di creare una rete di collaborazione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche e al contempo aumentare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse. Il dibattito verte sulle misure messe in atto dall’autorità e se la stessa ha effettivamente ridotto i controlli formali oppure ha incrementato appesantimenti procedurali, determinando un aumento dei costi, nonostante i principi voluti della legge, senza aver creato quel valore aggiunto per i cittadini e per le imprese nella prevenzione della corruzione.

Ma sicuramente non è efficace la scelta di assegnare in alcuni enti, quali i comuni, la funzione di prevenzione della corruzione ai segretari comunali. Se nel comune il soggetto tenuto alla prevenzione deve esercitare efficacemente le sue funzioni al riparo da ogni indebita influenza, non lo è il segretario comunale, di nomina politica. La prevista soppressione della figura del segretario comunale e la sua sostituzione nel dirigente apicale non ne fa venire meno l’equiparazione al responsabile della prevenzione della corruzione. Le responsabilità in capo a tale soggetto sono abbastanza gravose. In caso di commissione, all’interno dell’amministrazione di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile della prevenzione della corruzione risponde del mancato raggiungimento degli obiettivi e ferma restando l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, incorre nell’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. Inoltre incorre nella responsabilità per danno erariale e all’immagine della pubblica amministrazione. Sarà esente da responsabilità se prova di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano anticorruzione, di aver adottato le misure idonee per la mitigazione del rischio e di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del piano. Il più delle volte nelle attività di prevenzione della corruzione il responsabile si trova da solo ad affrontare le misure messe in campo per eliminare ogni rischio corruttivo e vigilare sull’attuazione delle stesse. A pochi, all’interno dell’ente, sia organi di governo, che dirigenti e funzionari, interessa l’adozione e l’attuazione del piano anticorruzione, considerato un mero adempimento che fa capo al responsabile. Il responsabile della prevenzione della corruzione, quale controllore risponde, al pari del corruttore, per omessa vigilanza dei fenomeni di maladmininistration. Al sistema interessa dunque la caccia alle streghe, piuttosto che perseguire reati capaci di minare le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia. Non può che venire in mente il pensiero di Voltaire: “Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”.

 

Nel diritto comparato ed in particolare nell’ordinamento francese, capostipite della tradizione di civil law, in relazione ai sistemi anticorruzione, vi sono solo alcune affinità con quello italiano.  In Francia, sin dal  1993 veniva istituito il Service Central de la prévention contre la corruption (SCPC) ad opera della LOI n° 93-122 del 29  gennaio dello stesso anno. Ora tale organo è stato sostituito dall’Agence française anticorruption con la LOI n° 2016-1691 del 9 dicembre 2016 relativa alla trasparenza, alla lotta alla corruzione e alla modernizzazione della vita economica. Tale organo partecipa al coordinamento amministrativo riguardo alla raccolta e diffusione di informazioni per prevenire e rilevare fattispecie corruttive. Sulle stesse materie elabora raccomandazioni rivolte alle persone giuridiche di diritto pubblico e di diritto privato e tali atti devono essere calibrati sulle dimensioni dell’ente e sulla natura dei rischi individuati con un costante aggiornamento, superando teoricamente l’applicazione meramente formale di piani di prevenzione che, come detto costituisce un limite implicito tipico di tali strumenti.

Diversamente da quello italiano, nel diritto francese, non è prevista la figura del responsabile della prevenzione della corruzione, ma semplicemente la figura del lanceurs d’alerte, versione francese dell’istituto del whistleblower, cioè della persona fisica che denunci attività corruttive o di maladministration all’interno dell’ente di appartenenza di cui è personalmente a conoscenza. Indubbiamente lo scopo principale di tale istituto è la protezione dalle ripercussioni in caso di avvenuta segnalazione, per questi motivi viene previsto un divieto di sanzionamento, discriminazione, licenziamento o esclusione dall’assunzione o da periodi di formazione o stage nei confronti di coloro che procedano alla segnalazione e in ragione di questa; opera inoltre una inversione dell’onere della prova rispetto alla dimostrazione di legittimità e non discriminatorietà della misura.

Nell’ordinamento francese solo per le società che impiegano oltre cinquecento dipendenti o un fatturato consolidato superiore a 100 milioni di euro, oltre alla specifica procedura su menzionata relativa alla segnalazione dell’illecito, sono previsti ulteriori obblighi, quali la predisposizione di codici di condotta con annessi sistemi sanzionatori autonomi, una mappa del rischio (simile ai nostri piani anticorruzione), delle procedure di controllo contabile interne o esterne, destinate a garantire che libri, registri e conti non siano utilizzati per nascondere la corruzione o il traffico d’influenza, così come è anche previsto un programma di formazione per i dirigenti e per il personale più esposto a rischi di corruzione e traffico d’influenza illecita.

Così come in Italia, anche in Francia è sempre più diffuso l’affidamento a sistemi amministrativi per il contrasto alla corruzione, con la differenza che rispetto all’Italia, nel sistema d’oltralpi, sebbene con meno adempimenti, sono maggiormente incisivi, per impedire quel costante intervento “in ritardo” dell’ordinamento, cioè a fattispecie corruttiva verificatasi, tipico della tutela penale.

Angelo Capalbo

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