09/07/2017 – Diritto d’accesso ai documenti adottati in seduta riservata dal Consiglio Comunale

Diritto d’accesso ai documenti adottati in seduta riservata dal Consiglio Comunale

di Angelo Costa – Cultore della materia in Giustizia Amministrativa presso Università della Calabria – legal journalist – docente

 

E’ illegittimo il diniego di accesso agli atti riguardanti l’istante, opposto sul rilievo che erano stati adottati in seduta riservata da un Comune, ove non sia prevista diversa disposizione nel regolamento comunale.

E’ quanto hanno dichiarato i giudici del T.A.R. per la Lombardia in una recente sentenza.

Ed inoltre, i giudici lombardi hanno sottolineato, sempre nella stessa sentenza in commento, come tra i casi di segreto espressamente previsti dall’ordinamento non rientrano le opinioni espresse ed i voti dati dai consiglieri comunali nell’esercizio delle loro funzioni e non ostano motivi di riservatezza in merito alla condotta della persona oggetto dell’attività di indagine da parte del consiglio comunale, in quanto è il richiedente l’accesso. Né d’altro canto l’attività d’indagine del consiglio comunale, volta a far valere una responsabilità politica, ha le stesse garanzie delle indagini penali della polizia e della magistratura. Neppure eventuali testimonianze di impiegati comunali possono essere secretate in quanto attinenti ad attività amministrativa. Infatti il segreto d’ufficio, cioè l’obbligo di non comunicare all’esterno dell’amministrazione notizie o informazioni di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni, ovvero che riguardino l’attività amministrativa in corso di svolgimento o già conclusa, non può prevalere sul diritto d’accesso ai sensi dell’art. 28L. n. 241 del 1990.

Il thema decidendum vedeva ricorrere un ex dipendente comunale, Tizio, che proponeva ricorso principale contro la mancata risposta alla richiesta di accesso agli atti della commissione d’indagine istituita dal Consiglio comunale sulla sua nomina a dirigente dell’ente.

Tizio evidenziava che le relative deliberazioni comunali erano state pubblicate sul sito dell’ente, ma che la relazione della commissione d’indagine, unitamente al verbale della deliberazione, risultavano omessi in quanto “trattasi di seduta segreta”.

Uguale silenzio era stato mantenuto sulla richiesta motivata di ostensione anche della “Interrogazione urgente presentata in Consiglio Comunale all’indomani dell’articolo pubblicato su una testata giornalistica locale.

Contro i suddetti dinieghi taciti Tizio proponeva i seguenti motivi di ricorso: violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e ss., L. n. 241 del 1990; violazione e falsa applicazione dell’art. 3D.P.R. n. 184 del 2006; violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della costituzione.

Con ricorso per motivi aggiunti Tizio impugnava l’esplicito rigetto alle istanze di accesso, motivate con riferimento al fatto che trattasi di atti adottati in seduta segreta, un articolo dello Statuto del Comune nonché alcuni articoli del Regolamento sul funzionamento e l’organizzazione del consiglio comunale che prevedono la segretezza delle sedute, in quanto ai sensi dell’art. 24, comma 7, L. n. 241 del 1990 «… deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici».

La difesa del Comune domandava la reiezione del ricorso.

Secondo i giudici amministrativi milanesi, un ormai consolidato orientamento dettato dalla giurisprudenza afferma che qualora l’accesso ai documenti amministrativi sia motivato dalla cura o la difesa di propri interessi giuridici, esso prevale sull’esigenza di riservatezza dei terzi (Cons. di Stato, VI, 5 marzo 2015, n. 1113Cons. di Stato, Sez. IV, 10 marzo 2014, n. 1134).

A ciò si aggiunge che dalla lettura delle norme regolamentari comunali non si ricava in via diretta che gli atti della seduta segreta siano automaticamente sottratti all’accesso, atteso che è stabilita soltanto la non pubblicità della seduta. Tali norme infatti, relative al funzionamento del consiglio, trovano il loro fondamento nell’art. 38, comma 7, D.Lgs. n. 267 del 2000 secondo il quale «Quando lo statuto lo preveda, il consiglio si avvale di commissioni costituite nel proprio seno con criterio proporzionale. Il regolamento determina i poteri delle commissioni e ne disciplina l’organizzazione e le forme di pubblicità dei lavori».

Se la fonte regolamentare locale è la fonte primaria in merito alla forma di pubblicità delle sedute, grazie alla delega contenuta nell’art. 38, comma 7 citato, non vale altrettanto per l’accesso agli atti.

L’art. 22, comma 3, L. n. 241 del 1990 stabilisce che tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6, riservando così alla legge la disciplina della segretezza documentale.

A sua volta l’art. 24 prevede che l’accesso è escluso nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge e dal regolamento governativo di cui al comma 6 mentre all’amministrazione compete, ai sensi del comma 2, di individuare gli atti coperti da segreto, secondo le norme di legge che lo prevedono.

A ciò si aggiunge che l’art. 24L. n. 241 del 1990 garantisce comunque l’accesso a quegli atti la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici (comma 7).

T.A.R. Lombardia, Sez. III, 22 giugno 2017, n. 1409

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