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Accessibilità e accesso: quale differenza?

 
Accessibilità e accesso: quale differenza?

Nessuno me ne voglia, ma intorno al tema dell’accesso si è ingenerata una confusione che non è solo di carattere terminologico, anche perché, nel campo del diritto, il “nomen iuris” ha una funzione ben precisa che ha lo scopo di attribuire chiarezza alle norme e orientare, in modo univoco, i comportamenti, oltre che, certamente non da ultimo, di definire l’ambito di esercizio dei diritti.

La materia dell’accesso, come è noto, nel nostro ordinamento viene introdotta nel 1990 con la legge 241. E nasce come situazione eccezionale, da riconoscere a soggetti “interessati” che avessero esplicitato, attraverso una motivazione circostanziata, la compresenza di ben cinque condizioni (interesse diretto, concreto, attuale, giuridicamente tutelato e collegato al documento) con l’accortezza che non si trasformasse in una forma di “controllo generalizzato”.

Nel 2004, per effetto della legge n. 4 dal titolo “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”, nel nostro ordinamento è stato introdotto il principio della “accessibilità” che, all’articolo 2, lettera a) è definito come “la capacità dei sistemi informatici, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari”.

Quel termine (accessibilità) coniato con esplicito riferimento alle facilitazioni sull’utilizzo degli strumenti informatici, nel 2009, all’art.11 del decreto legislativo 150, viene utilizzato in modo diverso. Il primo periodo di quell’articolo, infatti reca: “la trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione…”

Tralasciando l’aggiunta dell’aggettivo “totale” sul quale lo stesso Garante della privacy ha espresso le sue riserve, con quell’intervento legislativo si attribuisce alla parola “accessibilità” una nuova accezione, peraltro utile, nel nostro sistema normativo, creando una importante distinzione: a) per accesso si intende la facoltà di avere visione o riprodurre un documento; b) per accessibilità si intende il diritto di acquisire, tramite il sito web, tutte quelle informazioni la cui pubblicazione sia obbligatoria.

Si profila, quindi, una importante distinzione, sia dal punto di vista dell’esercizio del diritto alla informazione e alla partecipazione, sia dal punto di vista della organizzazione.

A conferma di questa impostazione, nel 2013, viene emanato il decreto legislativo 33 che, all’articolo 5 introduce un nuovo diritto, l’ ”accesso civico”. Ma qui sorge il primo problema terminologico.

Quell’articolo esordisce affermando “ 1.  L’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni  o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi,  nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione”.

Si comprende subito che si tratta di un errore terminologico: viene chiamato “accesso” quello che, invece corrispondeva alla “accessibilità”. La disposizione, infatti, non fa riferimento a documenti da visionare o riprodurre, ma ad atti o informazioni residenti sul sito istituzionale dell’ente.

L’errore non è di poco conto sotto diversi aspetti e ha generato successive nuove confusioni. Il decreto legislativo 33/2013, la cui portata innovativa è straordinaria, avrebbe avuto un ruolo maggiormente definito se il legislatore lo avesse limitato (si fa per dire) agli obblighi di pubblicazione, così come era stato concepito sin dall’inizio. In quel testo sarebbero state raccolte tutte le prescrizioni con l’indicazione delle modalità per accedervi e le connesse responsabilità in caso di inadempienza. Sarebbe stata una utile guida, senza il bisogno di esibirsi in laboriosi distinguo.

Lo stesso articolo 2, nella versione originaria ribadisce, nell’ultimo periodo “il diritto di chiunque di accedere ai siti direttamente ed immediatamente, senza autenticazione ed identificazione”.

E’ un’espressione importante e di grande portata innovativa: si tratta del riconoscimento di un diritto di accessibilità ai siti web (non di accesso agli atti) senza l’onere di doversi autenticare o identificare, per acquisire la conoscenza sulle informazioni pubblicate dalle Amministrazioni “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.

Tuttavia, avere erroneamente introdotto il termine “accesso” per intendere l’accessibilità al sito ha generato numerosi equivoci, l’ultimo dei quali è contenuto proprio nel testo della Circolare n.2/2017 del Ministro della Funzione Pubblica, laddove, nel paragrafo 3.2, trattando dell’esercizio dell’accesso civico generalizzato, si afferma, commettendo un grave errore, che “in linea di principio, l’identificazione del richiedente non è necessaria ai fini dell’esercizio del diritto”.

Il richiamo alla “non necessarietà” della identificazione, infatti, contenuto nella versione originaria dell’articolo 2, modificata dal successivo decreto legislativo 97/2016, faceva riferimento, evidentemente all’accesso al sito web, non alla richiesta di documenti “ulteriori” rispetto alla pubblicazione.

Ciò è confermato dal fatto che, mentre l’autorizzazione all’accesso si configura come un vero e proprio provvedimento amministrativo, interamente sottoposto alle regole previste nella legge 241/90, compresa la disciplina del silenzio (quindi richiede la identificazione del soggetto richiedente), gli obblighi di accessibilità, invece, hanno una funzione di tipo operativo e si rivolgono “erga omnes”, trattandosi di pubblicazione sul sito web. In quest’ultimo caso, l’unico punto di contatto con la legge 241/90 è il riferimento all’esercizio del potere sostitutivo in caso di inerzia previsto dall’articolo 2, al comma 9-bis.

Si evince, quindi, che sarebbe stato più coerente con il sistema normativo italiano e maggiormente comprensibile se si fosse mantenuta in modo inequivocabile la distinzione tra accesso e accessibilità, facendo sì che il primo fosse interamente disciplinato nella legge 241/90, anche con l’inserimento della forma dell’accesso civico generalizzato, così come attualmente prescritto nell’articolo 5, commi 2 e seguenti del dlgs 33/2013, mentre il secondo, già ampiamente esplicitato nell’originario articolo 5, avrebbe trovato la giusta collocazione nello stesso decreto 33.

Se si fosse adottata questa scelta avremmo avuto una situazione più chiara: da una parte l’esercizio del diritto di accesso documentale e generalizzato, all’interno della legge 241; dall’altra il diritto all’accessibilità, interamente disciplinato dal decreto legislativo 33/2013.

La prima norma avrebbe concentrato tutte le situazioni di natura provvedimentale relative alle autorizzazioni all’accesso, ai controinteressati, al silenzio, ecc. Il secondo testo normativo avrebbe contenuto esclusivamente e in modo organico tutte le prescrizioni relative agli obblighi di pubblicazione.

Ci rimane da sperare che queste considerazioni, se ritenute corrette, siano prese in esame per fare chiarezza in un ambito complesso a cui corrisponde un importante diritto, quello alla partecipazione e all’informazione.

Santo Fabiano


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