13/06/2017 – Riforma Tupi: un assetto incompleto senza la dirigenza

Riforma Tupi: un assetto incompleto senza la dirigenza

di Paola Cosmai – Dirigente Avvocato S.S.N.

La disciplina delle fonti (artt. 12 e 3)

Come si avrà modo di approfondire in un successivo intervento, il Capo I del D.Lgs. n. 75 del 2017 con gli artt. 12 e 3, mira a ridefinire in maniera più netta i confini di competenza tra la legge e la contrattazione nella disciplina dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

In particolare, i Contratti collettivi nazionali di lavoro (da ora Ccnl) possono derogare alla legge solo nelle materie ad essi assegnate dall’art. 40 a differenza di quanto previsto dalla normativa previgente che riconosceva alla singola legge la possibilità – ancorché espressa – di essere derogata dalle fonti pattizie.

Poiché l’organizzazione del lavoro e la mobilità non rientrano tra le materie oggetto di contrattazione, dunque, il decreto agli artt. 2 e 3 ritaglia ai sindacati uno spazio in tali ambiti attraverso, nel primo caso, una modifica all’art. 5 del Tupi che ne consente l’informativa e, nel secondo caso, un addenda all’art. 30D.Lgs. n. 165 del 2001, che consente ai Ccnl la possibilità di integrare le procedure e i criteri generali per l’attuazione delle procedure di mobilità.

I Fabbisogni (artt. 4 e 5)

Gli artt. 4 e 5 della riforma, invece, rivisitano il concetto di fabbisogno e di organizzazione e gestione del personale attraverso la modifica degli artt. 6 e 7 del Tupi e l’inserimento dell’art. 6-ter.

Quanto al fabbisogno, esso è tarato in base al piano triennale – secondo la nuova versione dell’art. 6 cit. – che deve essere coerente con la pianificazione pluriennale delle attività e della performance, nonché con le relative linee di indirizzo emanate ai sensi del successivo art. 6-ter e deve indicare le risorse finanziarie destinate alla sua attuazione nei limiti di quelle quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio e di quelle connesse alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente.

In mancanza del predetto piano e degli adempimenti ad esso connessi le amministrazioni pubbliche non possono assumere nuovo personale, salvo il personale Ata, universitario e degli enti di ricerca, nonché del servizio sanitario nazionale soggetti a specifica disciplina.

Dunque, è abolita la vecchia “dotazione organica” di cui all’art. 6-bis abrogato in parte qua.

Per l’individuazione del fabbisogno sarà però necessario attendere l’emanazione dei decreti di natura non regolamentare (precisazione che risente del suggerimento dei Giudici di Palazzo Spada in sede consultiva) recanti le linee guida di cui all’art. 6-terinnestato dal D.Lgs. n. 75 del 2017 a cura del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Dette linee di indirizzo saranno definite anche sulla base delle informazioni rese disponibili dal sistema informativo del personale del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e, per ciò che concerne le regioni, gli enti regionali, il sistema sanitario nazionale (da qui Ssn) e gli enti locali, essi saranno adottati previa intesa in sede di Conferenza unificata e, per il Ssn, di concerto anche con il Ministro della salute.

Una volta adottati i piani di che trattasi ciascuna amministrazione dovrà comunicarli al Dipartimento della Funzione Pubblica in uno agli eventuali aggiornamenti successivi giacché, in assenza, è fatto divieto di assunzione.

Con decreti di analoga natura e emanati secondo l’iter sopra descritto saranno poi adottate misure correttive qualora piani rivelino incrementi di spesa correlati alle politiche assunzionali tali da compromettere gli obiettivi e gli equilibri di finanza pubblica.

Coerente con il nuovo concetto di programmazione dei fabbisogni la modifica dell’art. 7 del Tupi dedicato ai contratti di lavoro flessibile che il D.Lgs. n. 75 del 2017 guarda con sfavore, vietando alle amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Dura la sanzione, perché i contratti posti in essere in violazione del presente comma sono nulli e determinano responsabilità erariale oltre che dirigenziale sotto il profilo della erogabilità retribuzione di risultato.

Reclutamento e incompatibilità (artt. 67 e 8)

Il Capo III della riforma rivede le modalità di reclutamento e le incompatibilità nel pubblico impiego recependo le normative emanate successivamente all’entrata in vigore del Tupi.

Di rilievo l’introduzione della facoltà, per ciascuna amministrazione, di limitare nel bando il numero degli eventuali idonei in misura non superiore al 20% dei posti messi a concorso, con arrotondamento all’unità superiore, con la possibilità di richiedere, tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento, il possesso del titolo di dottore di ricerca che deve comunque essere valutato, ove pertinente, tra i titoli rilevanti ai fini del concorso.

Dunque degradano da obbligo a facoltà sia la limitazione degli idonei, sia il requisito del titolo di dottore di ricerca per accedere a determinati concorsi.

Prevista inoltre la possibilità che la amministrazioni pubbliche, per lo svolgimento delle proprie procedure selettive, si rivolgano al Dipartimento della funzione pubblica per ricorrere alla Commissione per l’attuazione del Progetto di Riqualificazione delle Pubbliche Amministrazioni (RIPAM), di cui al decreto interministeriale 25 luglio 1994, che si avvarrà a sua volta del personale messo a disposizione dall’Associazione Formez PA.

E’ prevista in ogni caso l’emanazione da parte del Dipartimento della funzione pubblica, anche avvalendosi dell’Associazione Formez PA e della Commissione RIPAM, di linee guida di indirizzo amministrativo sullo svolgimento delle prove concorsuali e sulla valutazione dei titoli, ispirate alle migliori pratiche a livello nazionale e internazionale in materia di reclutamento del personale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente in materia. Le linee guida per le prove concorsuali e la valutazione dei titoli del personale sanitario, tecnico e professionale, anche dirigente, del Ssn sono adottate – in particolare – di concerto con il Ministero della salute.

Obbligatoria, comunque, la prova concorsuale di lingua straniera.

Il lavoro flessibile (art. 9)

Il Capo IV prevede il solo art. 9 dedicato al «Personale a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile» che, per debellare il fenomeno del precariato pubblico, è ammesso solo per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale, nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento stabilite dall’art. 35 del Tupi e nel rispetto del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 e con obbligo di comunicazione ed informazione alle organizzazioni sindacali, all’A.Ra.N. ed ai nuclei di valutazione o agli organismi indipendenti di valutazione di cui all’art. 14D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, oltre che alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica che redige una relazione annuale al Parlamento.

Ne resta escluso il personale Ata, universitario e della ricerca.

La misure di sostegno alla disabilità (art. 10)

L’art. 10 è l’unico del Capo V dedicato alla tutela della disabilità che, con l’inserimento nel Tupi dell’artt. 39-bis39-ter e 39-quater.

Il primo istituisce la Consulta nazionale per l’integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità, organo incardinato presso il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, composto da un rappresentante del citato Dipartimento, uno di quello per le pari opportunità, un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un rappresentante del Ministero della salute, un rappresentante dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, un rappresentante dell’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro, due rappresentanti designati dalla Conferenza unificata, due rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale e due rappresentanti delle associazioni del mondo della disabilità indicati dall’osservatorio nazionale di cui all’art. 3L. 3 marzo 2009, n. 18, con il compito di elaborare piani, programmi e linee di indirizzo per ottemperare agli obblighi di cui alla L. 12 marzo 1999, n. 68 a tutela degli stessi, nonché di proporre iniziative ulteriori e di monitoraggio sul rispetto della normativa.

L’art. 39-ter, invece, obbliga le Amministrazioni con oltre 200 dipendenti a nominare un responsabile dei processi di inserimento deputato ad interloquire con i Centri per l’impiego ed a verificare l’attuazione del processo di inserimento dei disabili.

Da ultimo, l’art. 39-quater impone alle amministrazioni pubbliche, tenute a dare attuazione alle disposizioni in materia di collocamento obbligatorio, ad inviano il relativo prospetto informativo al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Centro per l’impiego territorialmente competente indicando nei 60 giorni successivi le modalità e i tempi di copertura della quota di riserva. In mancanza, i Centri per l’impiego avviano numericamente i lavoratori disabili attingendo alla graduatoria vigente con profilo professionale generico, dando comunicazione delle inadempienze al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri.

La contrattazione (art. 11)

Il Capo VI consta del solo art. 11 dedicato alla contrattazione che viene in parte modificata con la rimodulazione dell’art. 40 del Tupi.

In estrema sintesi, salvo ulteriori approfondimenti in un successivo intervento, la riforma prevede che in caso di superamento dei vincoli finanziari da parte dei Contratti decentrati accertato da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, del Dipartimento della funzione pubblica e del Ministro dell’economia e delle finanze, è fatto obbligo di recupero nell’ambito della sessione negoziale successiva, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle di cui si è verificato il superamento di tali vincoli.

Tuttavia, il D.Lgs. n. 75 del 2017 onde non pregiudicare l’ordinaria prosecuzione dell’attività delle amministrazioni interessate, fissa la percentuale massima di recupero nel 25% delle risorse destinate alla contrattazione integrativa ovvero la dilatazione del termine di recupero fino a cinque anni, a condizione che adottino le misure di contenimento della spesa di cui forniscano dettagliata relazione da allegare al conto consuntivo di ciascun anno in cui è effettuato il recupero.

La riforma, inoltre, obbliga i Ccnl a prevedere apposite clausole che impediscano incrementi della consistenza complessiva delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori qualora i dati sulle assenze, a livello di amministrazione o di sede di Ccdi, rilevati a consuntivo, evidenzino, anche con riferimento alla concentrazione in determinati periodi in cui è necessario assicurare continuità nell’erogazione dei servizi all’utenza o, comunque, in continuità con le giornate festive e di riposo settimanale, significativi scostamenti rispetto a dati medi annuali nazionali o di settore.

Infine, il D.Lgs. n. 75 del 2017 prevede la semplificazione del calcolo dei fondi predetti che, secondo il neo introdotto comma 4-ter dell’art. 40 cit., è affidato ai Ccnl che dovranno provvedere al riordino, alla razionalizzazione ed alla semplificazione delle discipline in materia di dotazione ed utilizzo dei fondi destinati ai Ccdi.

La responsabilità disciplinare (artt. 1213141516 e 17)

Fitte le modifiche relative alla responsabilità disciplinare di cui al Capo VII che, in parte, recepiscono le correzioni suggerite dal Consiglio di Stato in sede di esame della bozza di riforma.

Limitando i cenni alle innovazioni di maggior spessore, si segnala che per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l’irrogazione della sanzione del rimprovero verbale, il procedimento disciplinare è di competenza del responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente; mentre per le altre ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento e nell’ambito della propria organizzazione, individua l’ufficio competente.

Per le infrazioni per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale, il responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente, segnala immediatamente, e comunque entro 10 giorni, all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare di cui abbia avuto conoscenza. L’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, con immediatezza e comunque non oltre 30 giorni decorrenti dal ricevimento della predetta segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare, provvede alla contestazione scritta dell’addebito e convoca l’interessato, con un preavviso di almeno 20 giorni, per l’audizione in contraddittorio a sua difesa. Il dipendente può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. In caso di grave ed oggettivo impedimento, ferma la possibilità di depositare memorie scritte, il dipendente può richiedere che l’audizione a sua difesa sia differita, per una sola volta, con proroga del termine per la conclusione del procedimento in misura corrispondente ed ha accesso agli atti istruttori. L’ufficio competente per i procedimenti disciplinari conclude il procedimento, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro 120 giorni dalla contestazione dell’addebito. Gli atti di avvio e conclusione del procedimento disciplinare, nonché l’eventuale provvedimento di sospensione cautelare del dipendente, sono comunicati dall’ufficio competente di ogni amministrazione, per via telematica, all’Ispettorato per la funzione pubblica, entro 20 giorni dalla loro adozione tramite codice identificativo che preservi l’anonimato.

La comunicazione di contestazione dell’addebito al dipendente, nell’ambito del procedimento disciplinare, è effettuata tramite posta elettronica certificata, nel caso in cui il dipendente dispone di idonea casella di posta, ovvero tramite consegna a mano. In alternativa all’uso della posta elettronica certificata o della consegna a mano, le comunicazioni sono effettuate tramite raccomandata postale con ricevuta di ritorno.

Inoltre, in caso di trasferimento del dipendente in pendenza di procedimento disciplinare, l’ufficio per i procedimenti disciplinari che abbia in carico gli atti provvede alla loro tempestiva trasmissione al competente ufficio disciplinare dell’amministrazione presso cui il dipendente è trasferito. In tali casi il procedimento disciplinare è interrotto e dalla data di ricezione degli atti da parte dell’ufficio disciplinare dell’amministrazione presso cui il dipendente è trasferito decorrono nuovi termini per la contestazione dell’addebito o per la conclusione del procedimento. Nel caso in cui l’amministrazione di provenienza venga a conoscenza dell’illecito disciplinare successivamente al trasferimento del dipendente, la stessa Amministrazione provvede a segnalare immediatamente e comunque entro venti giorni i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare all’Ufficio per i procedimenti disciplinari dell’amministrazione presso cui il dipendente è stato trasferito e dalla data di ricezione della predetta segnalazione decorrono i termini per la contestazione dell’addebito e per la conclusione del procedimento. Gli esiti del procedimento disciplinare vengono in ogni caso comunicati anche all’amministrazione di provenienza del dipendente.

La cessazione del rapporto di lavoro estingue il procedimento disciplinare salvo che per l’infrazione commessa sia prevista la sanzione del licenziamento o comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio. In tal caso le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici ed economici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Infine, sono nulle le disposizioni di regolamento, le clausole contrattuali o le disposizioni interne, comunque qualificate, che prevedano per l’irrogazione di sanzioni disciplinari requisiti formali o procedurali ulteriori rispetto a quelli indicati nel presente articolo o che comunque aggravino il procedimento disciplinare.

Di rilievo anche la precisazione che la violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare – salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile – non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività. Gli unici termini perentori sono quelli della contestazione dell’addebito e il termine per la conclusione del procedimento.

A presidio dell’efficienza, la riforma prevede poi che i Ccnl individuino le condotte e fissano le corrispondenti sanzioni disciplinari con riferimento alle ipotesi di ripetute e ingiustificate assenze dal servizio in continuità con le giornate festive e di riposo settimanale, nonché con riferimento ai casi di ingiustificate assenze collettive in determinati periodi nei quali è necessario assicurare continuità nell’erogazione dei servizi all’utenza.

Tra le modifiche significative si segnalano altresì: quella per cui in caso di violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno, il dipendente responsabile sia sospeso dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di 3 giorni fino ad un massimo di 3 mesi, in proporzione all’entità del risarcimento, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una più grave sanzione disciplinare; e quella per cui il mancato esercizio o la decadenza dall’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare, ovvero a valutazioni manifestamente irragionevoli di insussistenza dell’illecito in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili, l’applicazione della sospensione dal servizio fino a un massimo di 3 mesi, salva la maggiore sanzione del licenziamento.

Il polo unico per le visite fiscali (art. 18)

Il Capo VIII consta del solo art. 18 che, in estrema sintesi, centralizza nell’Inps – a decorrere dal 1° settembre 2017 – tutte le attività di verifica delle assenza per malattia secondo fasce orarie che dovranno armonizzarsi con quelle previste per i lavoratori delle imprese. Qualora il dipendente debba allontanarsi dall’indirizzo comunicato durante le fasce di reperibilità per effettuare visite mediche, prestazioni o accertamenti specialistici o per altri giustificati motivi, che devono essere, a richiesta, documentati, è tenuto a darne preventiva comunicazione all’amministrazione che, a sua volta, ne dà comunicazione all’Inps.

Le disposizioni transitorie e finali (artt. 19202122 e 23)

L’ultimo Capo è dedicato alle disposizioni transitorie e finali tra cui ne spiccano talune di estrema importanza perché vanno ad intersecarsi con la delicata materia dell’imminente rinnovo dei Ccnl secondo il nuovo riassetto della Aree ridotte a 4.

Sinteticamente, quattro sono le disposizioni di maggior rilievo per le politiche del personale.

La prima, che volge al superamento del precariato, che prevede che le amministrazioni possano, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:

a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della L. 7 agosto 2015, n. 124 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione;

b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;

c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.

Inoltre, nel medesimo triennio esse possono bandire, sempre in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni e ferma restando la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al 50% dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:

a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della L. n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;

b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso.

Per tali finalità le amministrazioni possono anche elevare gli stanziamenti per la copertura delle spese di che trattasi riducendo proporzionalmente quelle previste per i contratti di lavoro flessibile; tuttavia fino al termine delle procedure di stabilizzazione di che trattasi è fatto divieto alle amministrazioni interessate di instaurare ulteriori rapporti di lavoro flessibile.

Ne sono esclusi gli addetti agli uffici di diretta collaborazione di cui all’art. 14 del Tupi e agli artt. 90 e 110D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, il personale Ata, degli enti di ricerca e i lavoratori assunti con contratti di somministrazione; mentre per il personale medico, tecnico-professionale ed infermieristico del Ssn continua ad applicarsi l’art. 1, comma 543L. 28 dicembre 2015, n. 208.

Per coloro che partecipino alle procedure de quibus gli enti possono prorogare i corrispondenti rapporti di lavoro flessibile fino alla loro conclusione, nei limiti delle risorse disponibili.

La seconda novità di rilievo riguarda le sanzioni espulsive, laddove il D.Lgs. n. 75 del 2017 prevede che il giudice, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento, condanna l’amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Tuttavia, nel caso di annullamento della sanzione disciplinare per difetto di proporzionalità, il giudice può rideterminare la sanzione, in applicazione delle disposizioni normative e contrattuali vigenti, tenendo conto della gravità del comportamento e dello specifico interesse pubblico violato.

La terza concerne la possibilità che nel triennio 2018-2020, le pubbliche amministrazioni, al fine di valorizzare le professionalità interne, possono attivare, nei limiti delle vigenti facoltà assunzionali, procedure selettive – con riserva non superiore al 20% dei posti disponibili – per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, fermo restando il possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno.

La quarta ed ultima prevede che, al fine di perseguire la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni, la Ccnl, per ogni comparto o area di contrattazione opera, tenuto conto delle risorse, la graduale convergenza dei medesimi trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione, distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse finanziarie destinate all’incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione. Nelle more, al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualità dei servizi e garantire adeguati livelli di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, assicurando al contempo l’invarianza della spesa, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016.

Fermo restando il limite delle risorse complessive previsto dal comma 2, le regioni e gli enti locali, con esclusione degli enti del Servizio sanitario nazionale, possono destinare apposite risorse alla componente variabile dei fondi per il salario accessorio, anche per l’attivazione dei servizi o di processi di riorganizzazione e il relativo mantenimento, nel rispetto dei vincoli di bilancio e delle vigenti disposizioni in materia di vincoli della spesa di personale e in coerenza con la normativa contrattuale vigente per la medesima componente variabile.

D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75 (G.U. 7 giugno 2017, n. 130)

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