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L’autopoiesi della Repubblica delle Agenzie

Pubblicato il 12 giugno 2017 

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

è brutto occupare i pixel che generosamente mette a disposizione con una domanda, ma infrangerò la regola per chiedere: Ella ha, per caso, capito come si attribuiscono gli incarichi dirigenziali, sia in Italia, sia nella Repubblica delle Agenzie (di seguito, RdA)? No, perché, caro Titolare, chi scrive ha affrontato molte volte questo tema, però commettendo un evidentissimo errore: cercare di comprenderlo alla luce delle norme vigenti e delle indicazioni della Corte costituzionale. Mai farlo.

E sì, perché alla luce delle norme vigenti, la dirigenza sarebbe divisa in due tipologie: quella cosiddetta di prima fascia, alla quale si attribuiscono incarichi dirigenziali assoggettabili anche secondo la Consulta allo spoils system, in quanto si tratta di svolgere funzioni quasi di policy making, per le quali è fondamentale avere una forte condivisione anche politica con l’organo di governo, e quella della cosiddetta seconda fascia o, comunque, la dirigenza più orientata all’attuazione delle politiche e dei programmi mediante la gestione concreta, ambito nel quale, invece, lo spoils system secondo la Corte costituzionale non è ammissibile perché prevale l’interesse pubblico ad una gestione imparziale e non condizionata da scelte politiche.

Eppure, in questi mesi abbiamo assistito ad eventi davvero strani. Per due anni circa, ha imperversato il tentativo del Ministro Madia di riformare l’intera dirigenza pubblica, assoggettandola interamente allo spoils system che la Corte costituzionale ritiene, però, ammissibile solo se circoscritto alle poche centinaia di dirigenti statali di elevatissimo incarico; riforma, fortunatamente, naufragata grazie proprio ad una sentenza della Consulta, la 251/2016, che l’ha “uccellata” non per il merito, ma perché a Palazzo Vidoni qualcuno dimenticò che il testo dello schema di decreto di riforma avrebbe dovuto ottenere non un semplice parere dalle regioni, bensì la loro intesa.

Tramontata (per ora) quella devastante riforma, allora tutto torna in ordine? Gli incarichi di massimo vertice soggetti ad inevitabile ciclo, sulla base anche di convergenze politiche, mentre quelli gestionali al riparo da ingerenze della politica?

Purtroppo, qui, caro Titolare, non capiamo. Ed ecco perché la domanda iniziale. Non capiamo, perché, ad esempio, la Cassazione con recenti sentenze afferma che negli enti locali i dirigenti assunti senza concorso dall’esterno, hanno diritto a restare in carica anche se il mandato del sindaco che li nomina scada prima, nonostante l’ordinamento degli enti locali (d.lgs 267/2000), all’articolo 110, comma 3, disponga espressamente: “I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica”. Si scopre, così, che le sentenze possono affermare il contrario delle norme. Ma, allora, appunto, come si regolano gli incarichi dirigenziali?

Altro esempio, più aderente alla cronaca: se la Consulta stessa ammette che gli incarichi di massimo vertice sono soggetti per loro natura ad una rotazione, com’è possibile che presso la RdA un direttore generale dell’Agenzia delle entrate, a mandato scaduto e con espressa indicazione del Governo di non riconfermarlo, riesca sostanzialmente ad autoprodursi un incarico da vice direttore generale, prima ancora che si insedi il nuovo, che, magari, avrebbe anche potuto scegliere un vicario diverso?

Certo, lo sappiamo: nella RdA, in particolare a proposito di dirigenza ed incarichi dirigenziali, pare vigano regole molto diverse rispetto a quelle operanti nella Repubblica Italiana. Ancora la RdA prova ad ottenere dalla Repubblica Italiana il riconoscimento definitivo della qualifica dirigenziale, a suo tempo assegnata a funzionari interni con provvedimenti autonomi della RdA stessa, qualifica che secondo la Consulta (sentenza 37/2015) non fu assegnata esattamente rispettando i canoni della Costituzione italiana.

Ovviamente, il problema consiste nel fatto che la Costituzione italiana vige nella Repubblica Italiana e conciliarla, invece, con le regole della RdA, sorretta da un ordinamento giuridico “altro” deve risultare obiettivamente complicato.

 

Sta di fatto che, in sostanza, dove gli incarichi risulterebbero connessi strettamente alla politica, qualche giudice afferma il contrario o i vertici collegiali direttivi decidono continuità funzionali che, invece, la riforma Madia avrebbe voluto impedire per tutta la dirigenza, compresa quella gestionale, all’evidente scopo di estendere fino all’ultimo dirigente un principio di rotazione per adesione politica, che però il Governo stesso non pare in grado del tutto di assicurare proprio per la dirigenza di massimo vertice.

Come dice, Titolare? Forse la dirigenza pubblica richiede realmente una riforma seria, ma secondo canoni e con obiettivi totalmente diversi da quelli perseguiti dal 1993 ad oggi, riforma Madia compresa?

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