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Condanna per danno erariale agli amministratori che non esercitano il controllo analogo sulle società in house

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale dei conti e giornalista pubblicista

 

La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale del Lazio, con la Sent. n. 4 del 10 gennaio 2017, ha condannato per danno erariale, gli amministratori e i dirigenti pubblici locali, per i danni cagionati ad una società in house partecipata interamente dal Comune, a seguito del mancato esercizio del controllo analogo sulla stessa società.

Il contenzioso

Con atto di citazione la Procura regionale ha citato in giudizio gli amministratori e i dirigenti di un Comune che sono stati chiamati a rispondere del risarcimento del danno complessivo per oltre tre milioni di euro in favore di una società, il cui unico azionista era il Comune stesso.

La notizia dei danni era pervenuta a conoscenza della Procura regionale da varie fonti, tra cui l’informativa erariale del luglio 2007 della stessa società in house danneggiata, con plurimi esposti e segnalazioni della Guardia di Finanza, audizioni disposte dalla Procura regionale nei confronti dei componenti del Collegio sindacale della stessa società partecipata danneggiata, ed, infine, la lettura dei verbali del Collegio dei revisori dei conti del Comune.

Essa può sintetizzarsi nell’enorme danno arrecato al patrimonio della società partecipata e, per essa, allo stesso ente locale unico socio azionista che era il Comune, in relazione ad alcune condotte anche omissive poste in essere, in massima parte, dai soggetti titolari pro tempore delle funzioni politiche ed amministrative del Comune ma coinvolgente anche una serie di altri soggetti aventi funzioni di amministratori e dirigenti di comuni laziali limitrofi.

Nella ricostruzione della fattispecie dannosa come emergente dall’atto di citazione, la società viene configurata come una società in house di diritto privato, interamente partecipata dal Comune, per cui la medesima è stata considerata a tutti gli effetti, come articolazione interna dello stesso ente locale il quale, in relazione alle attività gestorie svolte dalla medesima sia per conto dello stesso ente sia per conto di altri enti locali, come pure avuto riguardo alla tutela del patrimonio di risorse pubbliche alla stessa intestato, avrebbe dovuto svolgere quella puntuale attività di controllo, conosciuta con l’espressione di “controllo analogo”, ex art. 113, D.Lgs. n. 267 del 2000, cd. T.U.E.L., che comporta un controllo non meramente formale sulla società limitato alla nomina degli amministratori, ma sostanziale e strutturale e, quindi, con la definizione congiunta degli obiettivi gestionali da perseguire, con l’individuazione delle scelte gestionali strategiche da adottare, della quantità e qualità dei servizi da erogare, il tutto in regime di continuo monitoraggio sui risultati raggiunti e sugli equilibri di bilancio da rispettare al fine di non travolgere i vincoli derivanti dal Patto di stabilità interno, come pure al fine di rendere legittimi gli affidamenti dei servizi da parte del socio unico, altrimenti non attribuibili alla medesima società in house.

L’analisi della Corte dei Conti

I giudici contabili precisano in primo luogo che la questione di giurisdizione portata all’attenzione del collegio non riguarda la responsabilità degli amministratori della società in house, partecipata dal Comune in via totalitaria, soggetti che non stati neppure citati dalla Procura attrice, ma riguarda, in realtà, il potere esercitato dalla Procura contabile sulle attività anche di natura omissiva svolta da amministratori e funzionari di enti locali che, con colpa grave, avrebbero determinato la causazione di un ingente danno alla società partecipata, attualmente in stato di gravissima decozione, e in stato di fallimento e, per essa, al Comune .

Compito dei giudici contabili è, pertanto, quello di esaminare la condotta di detti amministratori, legati da un indiscutibile rapporto di servizio con l’ente locale, al fine di individuare quel nesso di causalità con il danno prodotto da considerarsi, in forza della partecipazione totalitaria dell’ente locale nella società partecipata, danno arrecato al patrimonio dello stesso ente locale e, entro tali confini, non può essere negata la giurisdizione di questo Giudice contabile. Allo stesso modo sono esaminate le posizioni di tutti gli altri convenuti che, nelle rispettive qualità di amministratori e dirigenti di enti locali conferenti (si trattava di una società che gestiva rifiuti in discarica), risultano aver prodotto con la loro condotta omissiva uno specifico danno alla partecipata e per essa al Comune, amministrazione diversa di quella di appartenenza e, pertanto, anche sotto questo profilo nessun difetto di giurisdizione della Corte dei Conti può trovare fondamento .

Tanto premesso, la Corte di Conti, anche al fine di confutare le eccezioni difensive, si pone l’interrogativo se la società possa considerarsi società in house dell’ente locale al punto da confermare l’equivalenza tra danno prodotto alla società e danno prodotto all’ente locale. Infatti, solo se questa equivalenza non fosse dimostrata, il danno subito dalla società rimarrebbe danno inferto ad un soggetto giuridico autonomo e distinto e l’azione della Procura contabile sarebbe allora limitata, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, alle modalità di esercizio della partecipazione sociale da parte del socio pubblico, restando la questione del danno subito dalla società questione rimessa alla giurisdizione del Giudice ordinario.

La difesa dei convenuti ha sostenuto anche la tesi che, non potendosi configurare la società come in house, essi non erano tenuti a nessun tipo di controllo, per cui nessuna omissione sarebbe loro imputabile rispetto alle determinazioni di un soggetto partecipato dall’ente pubblico sul quale essi non avrebbero avuto competenze collegate al rispettivo rapporto di servizio.

La verifica compiuta dalla Corte dei Conti porta, invece, ad affermare che la società debba pienamente considerarsi società in house del Comune. Per società in house deve, infatti, intendersi, secondo quanto sostenuto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia della CE, come recepita da ultimo da Cass. Civ., Sez. Unite, n. 26283 del 2013, una società “le cui azioni non possono per statuto appartenere neppure in parte a soci privati, il cui oggetto sociale prevede un’attività da prestare prevalentemente in favore dell’ente pubblico partecipante e che, sempre in base ad apposite previsioni statutarie, siano assoggettate ad una minuziosa forma di controllo, definito analogo, da parte del socio pubblico così da implicare (…..) i suoi organi amministrativi alla volontà di quello al punto da renderle assimilabili ad una sua articolazione interna”.

Appare indubitabile la realtà di fatto (e di diritto) che la società è stata costituita come (ed era, al tempo dei fatti) una società interamente partecipata da capitale pubblico, creata ai fini dell’affidamento diretto del servizio pubblico di gestione della discarica, con obbligo statutario di mantenere tale attività quale “attività prevalente” da prestarsi a favore del socio pubblico, senza possibilità di ingresso di soci privati, e dunque nella perfetta realtà del modello organizzativo dell’in house providing.

Dacché ne consegue l’obbligo giuridico di istituire tale organo di controllo all’interno dell’ente locale.

Tale forma di controllo è, cioè, “una condizione delle pubbliche autorità che la costituiscono per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione”, come espressamente la qualifica la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia UE, Sez. III, Sent., 29 novembre 2012, cause C-182/11 e C-183/11, punto 33). Il che vale a dire che, in mancanza di uno dei requisiti in presenza dei quali la società partecipata dall’ente pubblico può operare in regime di in house providing, l’affidamento diretto del servizio operato a favore della società medesima non è legittimato, e, qualora la società perda tali requisiti, la conseguenza è che essa non potrà più risultare affidataria diretta di servizi pubblici locali da parte degli enti soci, perché gli stessi affidamenti in essere risultano privi delle condizioni essenziali per il loro mantenimento, e che nasce il dovere dell’amministrazione di riportare la situazione di fatto a quella di diritto, o istituendo una tale forma di controllo, ponendo in essere la condizione per la operatività di un tale affidamento, ovvero rilasciando il servizio nell’ambito del pubblico mercato, e, dunque, affidando il servizio nel rispetto della normativa sugli appalti, come la giurisprudenza amministrativa ha sempre affermato.

Tale dovere di adeguamento grava sulla pubblica amministrazione incondizionatamente, in ogni fattispecie in cui essa realizza affidamenti in house, in quanto non può certo affermarsi che la pubblica amministrazione in tali fattispecie (cioè quando l’ente conceda direttamente la gestione di un servizio ad una propria società costituita ad hoc, in deroga alle norme sugli appalti) possa conservare la scelta discrezionale sul se sottoporre la suddetta società al “controllo analogo” o meno, perché ciò significherebbe consentire alla pubblica amministrazione una piena elusione dei principi medesimi (e delle norme sugli affidamenti diretti), realizzabile semplicemente con la “scelta” di non istituire un controllo analogo, scelta che, molto più propriamente, si qualifica come violazione delle norme comunitarie sugli appalti e sugli affidamenti diretti.

Pertanto, una volta realizzato l’affidamento diretto alla società , e nella sussistenza di tutti i presupposti oggettivi perché la società sia inquadrabile nel modello organizzativo della società in house, rimane certo che tale controllo deve necessariamente essere previsto e istituito dal Comune.

La Corte di Conti, in conclusione a seguito del mancato esercizio del controllo analogo in house, da parte del socio unico, condanna gli amministratori e i dirigenti per responsabilità erariale.

Corte dei Conti-Lazio, Sez. giurisdiz., Sent., 10 gennaio 2017, n. 4

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