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Direttiva Madia, normare il buonsenso

Pubblicato il 9 febbraio 2017 

di Vitalba Azzollini

Egregio Titolare,

il legislatore nazionale ha talora la pretesa di disciplinare con specificità ogni dettaglio del vario estrinsecarsi delle azioni umane. Il suo ambizioso quanto astratto intento è quello di insinuarsi in ogni piega di una realtà complessa. Non lo sfiora il dubbio che i benefici attesi (e poco fondatamente valutati) possano essere sopravanzati dai costi connessi alla mole di regole emanate. Egli continua così a tessere fitte reti di prescrizioni particolareggiate, affinché niente possa sfuggire tra maglie normative sempre più strette. Di recente, l’aspirazione di risolvere e, addirittura, prevenire ogni minimo problema – facendo delle regole “l’oppio per sedare ogni presunto malessere” (Serena Sileoni) – va estendendosi dal legislatore ai titolari dei dicasteri.

 

 

La direttiva del Ministro Madia n. 1/2017 ne è dimostrazione concreta. Essa trae spunto da un episodio riportato dalle cronache dei giornali: l’allontanamento da un ufficio postale di una mamma che stava allattando. Il Ministro stigmatizzò immediatamente l’accaduto, preannunciando una specifica iniziativa ufficiale, volta a tutelare l’allattamento nei locali delle amministrazioni. Qualcuno ipotizzò che Madia fosse incorsa nell’equivoco di reputare le Poste appartenenti alla P.A., ma è meglio non divagare. Nei giorni scorsi è puntualmente arrivata la direttiva ministeriale, la quale richiama “l’attenzione delle pubbliche amministrazioni e dei singoli dipendenti nella propria attività di erogazione dei servizi alla collettività, sulla necessità di assumere azioni positive, comportamenti collaborativi o comunque di non adottare atti che ostacolino le esigenze di allattamento”; precisa, inoltre, che i vertici e la dirigenza “si adopereranno per prevenire comportamenti o atti in contrasto con le suddette finalità”. Non appaiono chiari i presupposti sui quali poggia la direttiva citata, né la realtà sulla quale intende operare.

Essa non ha ad oggetto concreti e specifici interventi – quali ad es. l’allestimento, nei locali aperti al pubblico, di spazi idonei a consentire le attività di cura delle quali necessitano i neonati – ma, nella prima parte, si limita all’invito di favorire/non ostacolare l’allattamento; nella seconda parte, sollecita le cariche più alte a un’attività “precauzionale” di difficile realizzabile. In altri termini, la direttiva di Madia riguarda un’evenienza futura e incerta, consiste nel mero appello a principi di buona educazione e/o di buon senso, dispone di prevenire il teorico intento di contravvenirvi: il tutto ammantato da una patina di lucente inconsistenza. Ai medesimi fini e in base alla stessa ratio, ogni Ministro potrebbe produrre un’interminabile serie di direttive tese ad anticipare altrettante situazioni possibili nel perimetro – pressoché illimitato – delle P.A., con una moltiplicazione di atti (più o meno) regolatori tendente all’infinito. Se la visione paternalistica del legislatore nazionale ha prodotto nel tempo danni enormi, quella “materna” su cui pare fondarsi l’intervento di Madia rischia di produrre danni equivalenti.

Il contenuto della direttiva solleva, pertanto, molti dubbi, ma la parte preliminare è quella che lascia più perplessi. Innanzitutto, tra le fonti normative sulle quali si basa il provvedimento, il Ministro cita la disposizione del Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici” che sancisce il principio di parità di trattamento e il divieto di discriminazioni nei riguardi dei destinatari dell’azione della P.A. Madia sembra, quindi, reputare che l’episodio di cronaca da cui origina il proprio atto contravvenga al principio e al divieto di cui alla disposizione citata: la forzatura è così palese da non necessitare spiegazioni di sorta. La direttiva fa poi riferimento a una normativa comunitaria in materia di fabbricazione, commercio, etichettatura, pubblicità ecc. di alimenti per lattanti e di proseguimento. Quale sia la correlazione tra tale regolamentazione e il latte materno non è dato sapere: quest’ultimo è tra i pochi prodotti che sfuggono alla burocrazia degli adempimenti in materia alimentare, passando direttamente dal produttore al consumatore. Battute a parte, forse il Ministro si riferisce alla previsione, espressa nel documento comunitario, per cui la pratica dell’allattamento al seno va sostenuta e protetta anche attraverso il contrasto di comportamenti ostativi alla pratica stessa. Ma tale previsione è inserita in specifiche disposizioni volte a evitare che le informazioni sugli alimenti per lattanti e le etichette apposte agli stessi contengano indicazioni contrarie alla promozione dell’allattamento o tese a scoraggiarlo: materia del tutto estranea alla direttiva in esame. O forse Madia intende richiamare una norma, contenuta nella legge di recepimento, secondo cui serve promuovere “iniziative e campagne sulla  corretta  alimentazione del lattante, sostenendo e proteggendo la pratica dell’allattamento”: se così è, appare comunque difficile ricondurre la direttiva in discorso a tali “iniziative e campagne” che, peraltro, ai sensi della stessa legge, competono a soggetti istituzionali diversi. A proposito di competenze, tra i “considerata” della direttiva viene enunciata la circostanza, tra le altre, che “il latte materno fornisce tutti i nutrienti di cui il lattante ha bisogno nei primi sei mesi di vita” e reca “benefici (…) anche alla salute della donna”. Tali affermazioni, che sarebbero giustificate se provenienti dal Ministro della Salute, appaiono invece fuori luogo a supporto di un atto del dicastero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione. È utile rammentare, in via generale, che la direttiva ministeriale “esprime il potere di indirizzo politico-amministrativo rivolto ai dirigenti generali di ciascun ramo della Pubblica Amministrazione. Indirizzo che determina gli obiettivi, le finalità e i criteri cui deve ispirarsi l’attività di gestione di cui i dirigenti sono titolari”. Si tratta dunque di un atto avente una precisa funzione in relazione alla specifica competenza dell’ente da cui proviene: non spetta di certo al Ministro per la P.A. promuovere l’allattamento o agire preventivamente nell’evenienza che venga ostacolato. Al Ministro spetta invece verificare se, al riguardo, in un pubblico ufficio siano stati tenuti comportamenti sanzionabili, intervenendo poi di conseguenza.

In conclusione, sulla base di quanto sopra esposto, è evidente come preziose energie della Pubblica Amministrazione siano state impiegate per la predisposizione di un atto la cui unica valenza sembra essere quella di sostanziare titoli e articoli di giornali. Se efficienza nella P.A. significa, innanzitutto, indirizzare tempo e risorse – carenti per definizione – in attività adeguate a fini prefissati, in vista della soluzione di problemi concreti, ciò vale per i pubblici dipendenti come per il Ministro. Sempre che qualcuno non si reputi “più uguale degli altri”: ma quello era solo un libro di fantasia, non c’è alcun dubbio.

 

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