10/02/2017 – a proposito di “salviamo l’anticorruzione”

Gent.mo Direttore intendo formulare alcune osservazioni al commento dell’amico Santo Fabiano dal titolo salviamo l’anticorruzione.

Premetto di essere d’accordo con quanto detto dal dr. Fabiano. Mi rattrista il tono lievemente sconfortato.

Ritengo, però, che ogni azione volta alla prevenzione della corruzione debba essere considerata all’interno di un più ampio quadro sistemico, che involge considerazioni sia di natura morale sia di natura giuridica.

Non intendo con queste affermazioni sostenere che morale e diritto debbano operare in ambiti di necessaria interrelazione.

Occorre però essere chiari nel dire che nel diritto, ovviamente considerato nella sua complessità, vi sono dei giudizi di valore relativi che qualificano come lecito o illecito un comportamento in riferimento a norme valide, di modo che il comportamento “buono” o “giusto” è esattamente da intendere quello conforme alla norma giuridica.

In tal senso il giudizio di conformità alla norma è il metro per qualificare come buono e retto il comportamento umano. Si tratta quindi di un giudizio morale positivo relativo; ovvero interno all’ordinamento giuridico. Se poi la ragionevolezza porta dal giudizio individuale alla diffusa consapevolezza della doverosità di un comportamento retto, che si esprime nella generale osservanza delle norme giuridiche in quanto fatto di per se buono e giusto, in ciò finiamo per rintracciare lo stesso fondamento dell’ordinamento giuridico: l’effettività e l’efficacia.

Mi scuso per queste divagazioni teoriche ma ritengo siano opportune al fine di comprendere i difetti di fondo che affliggono il nostro sistema giuridico e che generano fenomeni patologici come la corruzione, con la sua declinazione tanto in termini di illiceità penale quanto di deviazione dai fini posti dalla legge all’azione amministrativa.

Voglio pensare che la norma giuridica non esprima  solamente un contenuto precettivo, in positivo in termini di comportamenti da tenere, ed in negativo in termini di puro divieto, ma anche un complesso di valori sociali e culturali assunti in un determinato contesto ordinamentale come fondanti.

E’ su questo che occorre puntare. Sensibilizzare le coscienze individuali non solo sul carattere precettivo e sanzionatorio delle norme giuridiche ma anche sulla portata valoriale delle medesime, a maggior ragione poi con riferimento alle norme costituzionali che condensano in se principi e valori carichi di una straordinaria portata ideale, sociale e politica.

In tal senso l’adesione volontaria e convinta ai valori, prima ancora che al precetto, determina o segue il convincimento dell’obiettiva bontà della conformazione ai doverosi comportamenti previsti e sollecitati dalla norma, percepiti come virtuosi e retti.

Ma se tutto ciò manca o difetta gravemente può la norma giuridica nella sua portata coercitiva generare da sola comportamenti virtuosi del genere sopra indicato?

Ciò non vuol dire che l’azione penale debba essere recessiva rispetto alla sfera del giudizio morale, anzi è doverosa ed essenziale nel presente contesto storico-sociale, solamente che non basta e per di più non è risolutiva.

Che dire poi di tutti gli adempimenti burocratici che a volte sembrano fini a se stessi e del tutto autoreferenziali per chi li impone (v. Piano Nazionale Anticorruzione, ANAC ecc.).

Sono pertanto sempre più convinto che una solida cultura della legalità debba essere costantemente alimentata dalla coscienza del valore positivo e moralmente qualificante del rispetto delle norme giuridiche nel senso prima illustrato, poiché solo così può costituire un vero ed efficace baluardo a comportamenti devianti e penalmente rilevanti.

Ma per fare ciò occorre che tutti i livelli istituzionali, sin dai gradi di maggior prossimità al cittadino, abbiano questa consapevolezza e la esprimano nell’agire quotidiano.

Sono al contrario disgreganti esempi di corruzione diffusa, in ambito politico ed amministrativo, come quelli che oggi sono alla ribalta delle cronache.

Quando parlo di livelli istituzionali mi riferisco sia ai più elevati sia ai più elementari (non tali ovviamente per importanza dell’azione amministrativa) , poiché la cultura della legalità non può essere invocata solo per i grandi eventi della storia (Terrorismo, Mani Pulite, Mafia ecc.) e poi essere ridotta ad un puro vezzo intellettualistico allorquando occorre adottare atti e provvedimenti amministrativi, operando pretestuosamente l’abusata distinzione fra legittimità formale e legalità sostanziale dell’azione amministrativa, bollando la prima come soperchieria di burocrati frustrati e considerando la seconda alla stregua di opportunismi politico-amministrativi del tutto irrispettosi delle forme di esercizio dell’azione amministrativa pur imposte dall’ordinamento.

La cultura della legalità deve innervare quindi lo stato in tutte le sue componenti costitutive e penetrare profondamente i convincimenti di tutti i soggetti che istituzionalmente esercitano poteri amministrativi poiché come sosteneva Bobbio il fine del diritto è la regolamentazione del potere per sottrarlo nei limiti del possibile all’arbitrio e all’imprevedibilità.

Per concludere vengono in mente le parole di Piero Calamadrei che dall’alto della loro autorevolezza esprimono con forza l’esigenza dell’affermazione piena dei principi e della cultura della legalità.

Colla legalità non vi è ancora libertà, ma senza legalità libertà non può esserci… perché solo la legalità assicura, nel modo meno imperfetto possibile, quella certezza del diritto senza la quale praticamente non può sussistere libertà politica. La legalità è condizione di libertà. Senza certezza del diritto non può sussistere libertà politica

Con i più cordiali saluti

Vincenzo   MARCHIANO’

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