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Precari della PA: due diverse strade per la stabilizzazione

 
 
Col decreto legislativo attuativo della delega contenuta nell’articolo 17 della legge 124/2015 si aprirà una nuova ondata di stabilizzazioni per i circa 80.000 precari della PA ancora in attesa.
Lo schema di decreto prevede due distinte modalità per inserire i titolari di rapporti di lavoro flessibile negli organici delle pubbliche amministrazioni, distinte per tipologia di contratti flessibili in corso e per le modalità di reclutamento a suo tempo previste

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Trasformazione del tempo determinato. Il primo sistema di stabilizzazione riguarda esclusivamente i precari titolari di rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, ad esclusione di tutte le altre forme flessibili di lavoro, per le quali si prevede la seconda via di stabilizzazione che si esaminerà successivamente.
Nel caso dei precari che conducono con le PA rapporti di lavoro a termine, per giungere alla stabilizzazione non occorrerà attivare (almeno in teoria) alcuna procedura particolare. Di fatto, viene data alle amministrazioni la facoltà (le stabilizzazioni non sono obbligatorie) di una vera e propria trasformazione del rapporto a termine in lavoro a tempo indeterminato, sulla base della verifica dei soli presupposti oggettivi previsti. Che sono tre:
1.l’essere in servizio presso la medesima amministrazione che intende stabilizzare;
2.la circostanza che l’assunzione a tempo determinato venne effettuata, a suo tempo, a seguito di concorso pubblico, sempre da parte della stessa amministrazione che stabilizza;
3.la maturazione di almeno tre anni di servizio anche non continuativi negli ultimi otto, sempre nella medesima amministrazione che avvia la stabilizzazione.
Quindi, per questo primo tipo di stabilizzazioni non si prevede, in linea di principio, alcuna procedura selettiva.
Tuttavia, le amministrazioni potrebbero vedersi comunque costrette a disporre criteri di selezione, nell’ipotesi non inverosimile che i precari in servizio con i requisiti visti sopra siano in numero superiore ai posti effettivamente stabilizzabili.
In questo caso, infatti, pur non essendo necessaria una procedura selettiva che rimedi all’essenza del concorso svolto originariamente per reclutare i lavoratori, si manifesterebbe, però, come indispensabile per scegliere quale tra i precari sia possibile stabilizzare se i posti disponibili sono inferiori al numero degli interessati.
Ovviamente, il numero delle stabilizzazioni possibili sarà determinato dalle facoltà assunzionali.
Occorre specificare che il processo di stabilizzazione avverrà nel corso del triennio 2018-2020, per cui, ricorrendo le necessarie condizioni di fatto, le amministrazioni potrebbero anche effettuare le selezioni tra più precari interessati alla stabilizzazione non tanto per escluderli dall’inserimento nei ruoli, quanto per scaglionarli nel corso del triennio previsto.
A proposito dei requisiti soggettivi, come visto sopra lo schema di decreto stabilisce che i precari debbono “essere in servizio” presso l’amministrazione che attiva la stabilizzazione. Pare, pertanto, di comprendere che non basta, per gli interessati, aver maturato tre anni di anzianità di servizio presso la medesima PA nel corso degli ultimi 8 anni, ma che occorre necessariamente che i rapporti di lavoro a termine siano in corso mentre l’amministrazione avvia le stabilizzazioni. Questo potrebbe ridurre di molto il numero dei potenziali lavoratori stabilizzati.
Concorsi per altri lavori flessibili. La seconda strada verso la stabilizzazione riguarda i titolari di rapporti di lavoro flessibile diversi dal lavoro a tempo determinato. La formulazione dello schema di decreto è talmente ampia da consentire di considerare inclusi tanto i lavoratori somministrati, quanto i collaboratori coordinati e continuativi.
In questo caso, lo schema di decreto prevede due primi presupposti oggettivi ed un terzo, procedurale:
1.che i precari siano in servizio presso l’amministrazione che intende stabilizzare;
2.che i precari abbiano maturato, sempre presso la medesima amministrazione stabilizzante, tre anni di servizio anche non continuativi negli ultimi otto anni;
3.che i titolari di contratti flessibili diversi dal tempo determinato ottengano la stabilizzazione a seguito della partecipazione a concorsi pubblici con riserva di posti non superiore al 50% di quelli disponibili.
Anche in questo caso la norma vuole che i lavoratori siano alle dipendenze degli enti che stabilizzano al momento dell’avvio delle procedure.
L’esigenza di condizionare, in questo caso, la stabilizzazione ad un concorso pubblico con riserva di posti deriva dalla circostanza che lavoratori somministrati o collaboratori coordinati e continuativi non furono a suo tempo selezionati mediante concorso. Il rispetto dell’articolo 97 della Costituzione, quindi, impone che le prove concorsuali siano fatte al momento dell’ingresso a tempo indeterminato nei ruoli pubblici.
E’ evidente che la scelta del concorso pubblico con riserva di posti non superiore al 50% rende difficoltosa questa modalità di stabilizzazione negli enti di piccole dimensioni, i quali difficilmente possono attivare concorsi per più posti di figure professionali.
Anche per questa seconda modalità di stabilizzazione si potrà procedere nel triennio 2018-2020.
Risorse. Come si è rilevato sopra, ovviamente le stabilizzazioni sono condizionate dalle facoltà assunzionali e, dunque, dalle risorse disponibili. Non si deve, infatti, dimenticare che si tratta in ogni caso di nuove assunzioni, che quindi consumano le facoltà assunzionali disponibili nelle specifiche annualità.
Le amministrazioni, quindi, saranno messe di fronte alla scelta di indire concorsi per immettere nuovo personale nei propri ruoli, oppure di valorizzare l’esperienza acquisita dai precari ed immetterli definitivamente nei ruoli, dovendo dosare le limitate disponibilità finanziare che le regole sulle limitazioni delle assunzioni ancora vigenti impongono.
In ogni caso, per estendere le facoltà assunzionali mediante stabilizzazioni, lo schema di decreto legislativo consente alle amministrazioni di travasare in tutto o in parte i fondi per il lavoro flessibile, cioè il 50% della spesa sostenuta a tale titolo nel 2009, che sale al 100% per gli enti locali “virtuosi” ai sensi dell’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010, verso i capitoli di spesa che finanziano il lavoro a tempo indeterminato.
Così, si possono ampliare le facoltà assunzionali del triennio 2018-2020, nel corso del quale sarà possibile attivare il piano delle stabilizzazioni previsto dalla riforma. Il travaso delle risorse dal lavoro flessibile a quello stabile avrà effetti permanenti e, quindi, il fondo di cui all’articolo 9, comma 28, sarà ridotto definitivamente. La scelta di avvalersi di questa facoltà dovrà, dunque, essere molto ben ponderata, per evitare che le PA si trovino poi prive delle disponibilità necessarie a far fronte alle esigenze di lavoro flessibile ammesse dall’articolo 36, comma 2, del d.lgs 165/2001.
Mobilità. Si è detto prima che le stabilizzazioni sono nuove assunzioni, tanto è vero che consumano le facoltà assunzionali.
Lo schema di decreto tace sul punto dell’eventuale necessità di far precedere le stabilizzazioni dall’esperimento delle procedure di mobilità volontaria od obbligatoria.
In quanto all’applicazione dell’articolo 30 del d.lgs 165/2001, posto a disciplinare la mobilità volontaria, si può essere trancianti nel ritenere che non sia necessario farla precedere alle stabilizzazioni. Infatti, la mobilità volontaria ha lo scopo di razionalizzare meglio possibile la distribuzione del personale pubblico tra amministrazioni ed evitare la formazione di nuova spesa pubblica.
Le stabilizzazioni generano necessariamente nuova spesa (almeno, nel lungo periodo) ed hanno comunque la ratio di permettere un ingresso stabile nei ruoli pubblici di personale già formato e collaudato, esattamente come avviene con la mobilità volontaria.
Meno chiaro è il rapporto tra stabilizzazioni ed articolo 34-bis del d.lgs 165/2001, relativo alla mobilità obbligatoria finalizzata ad evitare che personale pubblico in disponibilità venga licenziato.
L’equilibrio tra il diritto alla ricollocazione del personale in disponibilità e le stabilizzazioni è delicato, perchè anche i dipendenti da stabilizzare rischiano ovviamente di perdere il lavoro. Ma, i dipendenti in disponibilità corrono il rischio di perdere il lavoro da una posizione diversa: si tratta di dipendenti con contratti di lavoro a tempo indeterminato. Per i lavoratori “precari”, la condizione di chiudere l’attività lavorativa allo spirare del termine era comunque insita nel rapporto instaurato all’origine.
Soppesando, dunque, le due posizioni giuridiche si dovrebbe concludere per la prevalenza della tutela dei lavoratori alle soglie del licenziamento e, quindi, per la necessità di far precedere le stabilizzazioni dall’applicazione dell’articolo 34-bis.
Staff e dirigenti a contratto. Lo schema di decreto si differenzia dalle precedenti ondate di stabilizzazioni perché risulta più chiaro nell’escludere dal passaggio al tempo indeterminato i contratti di origine “fiduciaria”.
Da un lato, le stabilizzazioni sono molto chiaramente riservate al “personale di qualifica non dirigenziale”: il che esclude drasticamente i dirigenti a contratto o, per meglio dire, coloro che siano stati assunti in qualifica dirigenziale con contratti a tempo determinato ai sensi degli articoli 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 e 110 del d.lgs 267/2000.
Dall’altro, il testo della norma, allo scopo di evitare equivoci e lasciare ad interpretazioni dottrinali o giurisprudenziali il compito di rilevare che le stabilizzazioni non possono considerarsi compatibili con incarichi che per loro stessa natura debbono essere a tempo e, quindi, non fonte di precarizzazione, sottolinea l’esclusione dalle procedure sia dei dipendenti assunti ai sensi dell’articolo 90, sia ai sensi dell’articolo 110 del d.lgs 267/2000. Si tratta, quindi, dei dipendenti operanti negli staff di sindaco e giunta, nonchè dei dirigenti assunti a contratto, ma anche dei funzionari assunti sempre a contratto, per la durata del mandato politico.

 

Divieto di assumere per chi stabilizza. Fino alla conclusione delle stabilizzazioni, le amministrazioni che si avvarranno della facoltà di stabilizzare non potranno assumere personale con contratti flessibili per le professionalità oggetto delle stabilizzazioni stesse.
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