03/10/2016 – Marianna Madia rimane con il cerino in mano. Sulla riforma della dirigenza pubblica, che creerà uno spoil system tale da paralizzare l’Amministrazione dello Stato, la ministra è stata abbandonata.

Renzi rischia 4 milioni di no

di Luigi Bisignani 

Caro direttore,

Marianna Madia rimane con il cerino in mano. Sulla riforma della dirigenza pubblica, che creerà uno spoil system tale da paralizzare l’Amministrazione dello Stato, la ministra è stata abbandonata. Chi aveva maggiormente contribuito ad elaborare un provvedimento con aspetti così anticostituzionali, tanto da relegare i mandarini in serie C a raffronto di magistrati, ambasciatori, prefetti e professori, si è eclissato. I capi degli uffici legislativi di Palazzo Chigi e della Funzione Pubblica, ‘la vigilessa’ Antonella Manzione e il blasonato Bernardo Mattarella, infatti, hanno già trovato rifugio al Consiglio di Stato e all’Università. Come se non bastasse, perfino l’onnipresente Raffaele Cantone ha affermato che non se la sente di presiedere la Commissione di notabili (tra gli altri il Ragioniere generale dello Stato e il Segretario generale degli Esteri) predisposta a valutare i curricula per ogni interpello: richiede troppo tempo e troppe responsabilità per chi, come lui, ha già molti impegni. Anche perché questi esperti nominati dal Presidente del Consiglio pro tempore si troverebbero a dover dare la benedizione finale a scelte che poi potrebbero rivelarsi sbagliate. Per come è stata pensata, quella Commissione difficilmente funzionerà. «Dulcis in fundo», perfino Franco Bassanini, che di leggi scritte male in materia se ne intende, avendone fatta una delle peggiori, ha inviato una nota riservata in cui contesta alcuni punti fondamentali del decreto legislativo. In un primo momento, il premier Renzi ha pensato di non curarsi delle reazioni. E come lui anche alcuni ministri, che hanno continuato a piazzare i propri fedelissimi nei posti chiave. Ma questo ha scatenato la reazione della Corte dei Conti che sta vagliando, per esempio, se esistono i requisiti per la ratifica della fresca nomina del nuovo Segretario generale del Ministero dello Sviluppo economico. Carlo Calenda, che studia ormai da Premier, ha imposto infatti il suo devotissimo collaboratore Andrea Napoletano. Con la nuova legge, casi come questo si moltiplicheranno, scatenando ricorsi che intaseranno i TAR e la Corte Costituzionale. Ora tocca a quel furetto di Luca Lotti e, quando tornerà dal suo tour sudamericano, anche a Maria Elena Boschi correre ai ripari ed evitare una diffida per comportamento antisindacale del governo, che ha promulgato un atto d’imperio senza concerto tra le parti, violando il principio della competenza e della autonomia della contrattazione collettiva. Per evitare che ciò accada, Renzi sembra intenzionato a cambiare atteggiamento ed accogliere alcune delle osservazioni che verranno dal Parlamento, tra cui il diritto all’incarico, se non per demerito, ed una effettiva ripartizione tra i ruoli statali, regionali e degli enti locali, nonché una tutela almeno per i diritti acquisiti. Altrimenti sarà il caos prima del referendum. E il capo del governo sa bene che intorno alla Pubblica amministrazione ruotano circa 4 milioni di elettori. Pronti a dirgli No.

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