17/11/2016 – Tutti gli errori della Corte dei conti sul fondo del salario accessorio

Tutti gli errori della Corte dei conti sul fondo del salario accessorio

L. Oliveri (La Gazzetta degli Enti Locali 16/11/2016)

La costituzione, contrattazione e gestione del fondo del salario accessorio, come noto, costituiscono un vera e propria via crucis per tutte le amministrazioni.

Le cause di ciò sono molteplici: la poca dimestichezza col ruolo di datore di lavoro, la conseguenza scarsa capacità di contrattare, le ingerenze della politica alla ricerca di captazione di consenso dei sindacati, ma, soprattutto, regole laconiche e farraginose della contrattazione nazionale collettiva, regole ancora meno chiare della contabilità in particolare dopo la cosiddetta “armonizzazione” e, primo tra tutti i problemi, le interpretazioni prevalentemente ellittiche, creative e prater legem di Aran, Mef e Corte dei conti.

L’insieme di queste cause cagiona problemi irrisolvibili ed irrisolti nella gestione del fondo.

Si pensi, ad esempio, al reviriment dell’Aran sui cosiddetti progetti ripetitivi finanziabili con l’articolo 15, comma 5, del CCNL 1.4.1999, col parere 19932. L’Agenzia è finalmente giunta all’epifania: non è possibile pretendere che ogni anno si inventino progetti innovativi. È legittimo immaginare progetti pluriennali o ricorrenti. Era ora (ci sono voluti 15 anni per arrivare ad una conclusione ovvia), ma nel parere l’Aran ha aggiunto l’assurdo: la possibilità di finanziare turni con le risorse variabili dell’articolo 15, comma 5, medesimo.

La raccolta dei pareri degli organi chiamati a pronunciarsi sui temi della contrattazione, purtroppo, è prevalentemente un “tutto e il suo contrario”, che crea disorientamento ed oggettivamente costituisce sia causa, sia effetto degli errori molto frequenti nella contrattazione.

Una “summa” delle posizioni interpretative e delle idee precostituite ma oggettivamente errate sulla contrattazione è riscontrabile nel parere della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo del Veneto, 4 maggio 2016, n. 263. Sono, infatti, riscontrabili sostanzialmente tutti i preconcetti, gli slogan e le visioni extra ordinem che contornano la questione, fuorviando totalmente le amministrazioni da una almeno minima capacità gestionale e contribuendo alla grave ingessatura dell’intero sistema.

In estrema sintesi, il parere rivela la confusione tra ruolo del contratto collettivo decentrato integrativo e sistema di valutazione abbinato a ciclo della performance e Peg, con la quale la magistratura contabile e l’Aran esaminano le questioni operative.

Il parere prende le mosse dal quesito di un Comune che chiede, in sintesi, se sia possibile, nonostante l’anno precedente non si sia giunti alla sottoscrizione del contratto decentrato, allocare in bilancio le risorse destinata alla parte variabile del fondo, in applicazione del principio contabile 4/2, punto 5.2. Secondo il Comune, l’operazione sarebbe possibile dal momento che l’imputazione contabile è attivabile l’anno successivo a quello in cui si sarebbe dovuto stipulare il contratto, purché entro l’approvazione del rendiconto, visto che la costituzione del fondo comporta l’apposizione di un vincolo sul risultato di amministrazione. Inoltre, il comune osserva che per apporre questo vincolo non sarebbe necessario un atto autonomo di “costituzione” del fondo, bensì semplicemente l’approvazione del bilancio di previsione.

La risposta della Sezione, che respinge ognuna delle tesi del comune richiedente, è molto articolata e contiene una serie di indicazioni estremamente utili, dalle quali occorre separare le altrettante da considerare erronee e fuorvianti.

1. Perfezionamento dell’obbligazione. La deliberazione, analizzando con puntualità le indicazioni dei principi contabili conseguenti all’entrata a regime della riforma disposta col d.lgs 118/2011, chiarisce un punto dirimente: non può essere ormai messo in dubbio che l’impegno della spesa connessa al fondo si perfeziona solo e soltanto con la stipulazione del contratto collettivo decentrato: “L’impegno costituisce la fase della spesa con la quale viene registrata nelle scritture contabili la spesa conseguente ad una obbligazione giuridicamente perfezionata e relativa ad un pagamento da effettuare, con imputazione all’esercizio finanziario in cui l’obbligazione passiva viene a scadenza. Cfr D.lgs 118/2011 Allegato 1. Principio contabile n. 16”. La Sezione spiega, conseguentemente, che “La registrazione dell’impegno che ne consegue, avviene nel momento in cui l’impegno è giuridicamente perfezionato, ma l’imputazione dello stesso, a differenza del previgente sistema contabile, avviene a valere sugli esercizi finanziari in cui le singole obbligazioni passive risultano esigibili. Il principio sopra richiamato trova applicazione anche in relazione alle spese per il personale come quelle riferibili alle risorse da destinare al “Fondo””.

Dovrebbe, di conseguenza, risultare ormai definitivamente chiaro a tutte le amministrazioni che:

  1. la stipulazione del contratto decentrato deve intervenire entro l’anno come specifico irrinunciabile risultato gestionale ed operativo, l’assenza del quale implica una serie di problemi finanziari e rischi di danni erariali immensi;
  2. allo scopo di stipulare il contratto decentrato entro i termini, è necessario partire con costituzione del fondo e negoziazione molto presto, all’inizio dell’anno, se non l’anno precedente;
  3. se è vero che si stipula in due e, quindi, occorre il consenso dei sindacati, altrettanto vero è che le stringenti regole contabili non consentono indugi: dunque, risulta obbligatorio rimediare, sempre molto prima della metà dell’anno, ad atteggiamenti ostruzionistici o dilatori dei sindacati, avvalendosi dell’articolo 40, comma 3-ter, del d.lgs 165/2001, norma la cui valenza è esaltata e resa sostanzialmente obbligatoria proprio dall’armonizzazione contabile: “Al fine di assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica, qualora non si raggiunga l’accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, l’amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione. Agli atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di compatibilità economico-finanziaria previste dall’articolo 40-bis”.

Il parere della Sezione evidenzia in modo incontestabile: “all’atto della sottoscrizione della contrattazione integrativa vengono impegnate le obbligazioni relative al trattamento accessorio e premiante (registrazione), imputandole contabilmente agli esercizi del bilancio di previsione in cui tali obbligazioni scadono o diventano esigibili tramite il neo istituito istituto giuscontabile del Fondo Pluriennale Vincolato”.

Non sottoscrivere il contratto entro l’anno solare è certamente da considerare un atto irresponsabile: è solo foriero di danni organizzativi, conflittualità e potenziali problemi giuscontabili e responsabilità erariale. L’atto unilaterale previsto dall’articolo 40, comma 3-ter, del d.lgs 165/2001 è certamente drastico e tranciante, ma è un rimedio imprescindibile per far comprendere come la stipulazione del contratto decentrato non sia solo un diritto, ma anche un dovere e che i suoi contenuti non sono liberi. La contrattazione nell’ambito del lavoro pubblico è soggetta ad una quantità di vincoli enorme, sconosciuta nel privato: basti pensare, solo per fare un esempio, ai vincoli sulla quantità delle risorse destinabili alla produttività, derivanti dalle sciagurate regole da cui discende l’obbligo di ridurre il fondo in proporzione alle cessazioni dei dipendenti.

2. Stipulazione entro inizio anno. Come rilevato prima, occorre necessariamente (è da sempre così, ma l’armonizzazione contabile rimarca l’esigenza) stipulare il contratto entro l’inizio dell’anno, non oltre il mese di marzo.

La ragione è semplice: non si deve dimenticare che il fondo finanzia spesa di personale legata a trattamenti fissi e continuativi. Non è possibile erogarli in assenza di un titolo giuridico legittimante. Si parla di trattamenti fisi e continuativi:

  1. di natura soggettiva: progressioni orizzontali, indennità di comparto, indennità legate a particolari profili professionali, posizioni organizzative negli enti con la dirigenza. Tali risorse vanno quantificate subito e “levate” dal fondo, in quanto non possono costituire oggetto di contrattazione; ciò vale anche per le risorse destinate a finanziare retribuzione di posizione e risultato delle PO negli enti con la dirigenza, le quali non possono essere messe in discussione se non si modifica, prima, il regolamento di organizzazione ed il sistema di valutazione in merito ai criteri di determinazione dei pesi del valore della retribuzione di posizione;
  2. di natura oggettiva/organizzativa: sono quelli connessi ad esigenze organizzative dell’ente e ad incarichi variabili nel tempo considerati meritevoli di una particolare remunerazione, come le indennità di turno, disagio, reperibilità, maneggio valori, particolari responsabilità. In questo caso, occorre che la contrattazione confermi/modifichi le destinazioni.

È evidente l’urgenza di stipulare il contratto, per avere da subito il presupposto di legittimità dell’erogazione di una serie di emolumenti, come quelli evidenziati sopra, riferiti all’intera gestione.

La Sezione Veneto indica: “la costituzione del “Fondo” deve avvenire tempestivamente all’inizio dell’esercizio per stabilire contestualmente le regole per la corresponsione del trattamento accessorio legato alla produttività individuale e collettiva sulla base di verificati incrementi di efficienza. Consegue a tale esigenza che ogni ritardo sulla tempistica richiamata determina rallentamenti nel processo di individuazione della destinazione delle somme stanziate con ripercussioni negati ve sul procedimento di valutazione e attribuzione degli incentivi”.

Se il ritardo nella stipulazione del contratto è grave per il caso della destinazione delle risorse di parte stabile, esiziale è per la parte variabile e, comunque, la parte residuale destinata alla produttività. Essa, infatti, è connessa inscindibilmente alla realizzazione di programmi di attività, i quali non possono non essere annuali e, dunque, previsti e finanziati entro un ragionevole breve termine ad inizio anno.

Inoltre, sulla costituzione del fondo, presupposto indefettibile della contrattazione la Sezione indica: “Peraltro, si evidenzia ulteriormente che “…l’incremento della parte variabile del fondo presuppone necessariamente un preventivo, specifico, programma di nuovi servizi o di miglioramento di quelli esistenti, che abbiano una ricaduta positiva sui cittadini. Appare inevitabile che la scelta dei nuovi servizi, di competenza della Giunta comunale, debba essere fatta al massimo entro i primi mesi dell’esercizio, se non addirittura negli ultimi mesi dell’esercizio precedente, per evitare che si indichino ex post obiettivi già raggiunti, trasformando uno strumento di incentivazione della produttività e del merito in una non commendevole modalità di integrazione postuma dello stipendio del dipendente pubblico.(Sezione di controllo per la Liguria, Deliberazione n. 23/2016, comune di Alassio)”.

3. Fasi della contrattazione. Dopo l’excursus sulle regole contabili vigenti, la deliberazione della Sezione Veneto concentra la sua attenzione sulle fasi della contrattazione, così evidenziate:

  1. individuazione a bilancio delle risorse”;
  2. costituzione del fondo”;
  3. individuazione delle modalità di ripartizione del “fondo” mediante contratto decentrato”.

Per attivare queste fasi, secondo la Sezione “la programmazione dell’ente e il relativo bilancio devono contenere rispettivamente, gli indirizzi fondamentali per la contrattazione integrativa e per l’attribuzione dei compensi incentivanti sulla base della valutazione delle performance, nonché le risorse finanziarie previste per lo scopo nei limiti di legge e di contratto”.

Qui cominciamo a vedere le prime indicazioni erronee e confusionarie. Non c’è dubbio alcuno che la programmazione dell’ente debba prevedere le risorse finanziarie. Il che, allora, pone un problema: perché il comune richiedente, secondo la Sezione, ha torto su tutta la linea quando afferma la possibilità di rinvenire nel bilancio di previsione l’atto di costituzione del fondo? Inoltre, come sarebbe possibile, secondo la Corte, che il consiglio fissi gli indirizzi della contrattazione collettiva? Dove si ricava questa competenza, visto che l’articolo 42 del Tuel non la esprime, né essa è dettata da alcuna norma di legge e visto che le competenze non esplicitate dalla legge ricadono sulla competenza generale e residuale della giunta?

Appare, oggettivamente, contraddittorio che la Corte dei conti:

  1. neghi al bilancio di previsione approvato dal consiglio la funzione di costituire il fondo;
  2. ma assegni al consiglio il compito di dettare i criteri per la sua ripartizione.

Una contraddizione insanabile, utile solo a rendere incerti i confini delle competenze e a portare anche alla duplicazione di atti, esasperando la burocrazia, a detrimento di efficienza ed efficacia, tanto evocate molto spesso a sproposito.

4. Costituzione del fondo. Uno dei temi più delicati è proprio quello della “costituzione” del fondo, reso ancora più esasperato dalle improvvide indicazioni dei principi contabili.

Su un punto, messo in rilievo dalla Sezione, non si può che concordare: “ancor prima della sottoscrizione dell’accordo decentrato, atto dal quale scaturisce il vincolo giuridico di prenotazione della posta al Fondo Pluriennale Vincolato, assume rilievo la costituzione del “Fondo” quale atto unilaterale da parte dell’amministrazione ed elemento essenziale per consentire la corretta imputazione, in base al richiamato principio contabile, delle risorse destinate alla parte stabile e, per quello che qui interessa, alla parte variabile dello stesso “Fondo””.

Un primo punto va fatto risaltare: la costituzione del fondo è un atto unilaterale. È bene imprimerlo nella mente. Poiché è un atto unilaterale, la consistenza del fondo non è in alcun modo oggetto di contrattazione.

Questo ha delle ricadute sulla facoltà di avvalersi dell’articolo 15, commi 2 e 5, del CCNL 1.4.1999: dette norme incrementano il fondo, nella sua parte variabile. Dunque, si tratta pur sempre di costituire il fondo nelle sue componenti finanziarie. Pertanto, anche questi incrementi non sono in alcun modo oggetto di negoziazione con i sindacati, specie se, applicando il comma 2 dell’articolo 15, l’ente decida di avvalersi dell’incremento facoltativo nella percentuale massima.

Infatti, la Sezione sancisce: “il contratto decentrato non ha titolo per stabilire l’incremento delle risorse variabili, la cui disponibilità deve essere decisa in sede di bilancio di previsione, sulla base del progetto di miglioramento dei servizi e successivamente formalizzata (come si dirà) nell’atto formale di costituzione del “Fondo””.

Dunque, la “costituzione” è e resta un atto unilaterale, non influenzabile da nessun genere di negoziazione o relazione sindacale.

Ma, qual è lo strumento mediante il quale costituire il fondo? Il Comune richiedente ha ipotizzato che si tratti del bilancio di previsione. La Corte dei conti non condivide questa teoria e, invece, ritiene debba esservi un provvedimento autonomo.

La conclusione tratta dalla magistratura contabile e soprattutto le motivazioni addotte non sono in alcun modo convincenti ed appaiono anzi erronee.

Il parere afferma: “Come emerge chiaramente dal dettato normativo e come anche rilevato in precedenza, è la formale deliberazione di costituzione del “Fondo” che assume rilievo quale atto costitutivo finalizzato ad attribuire il vincolo contabile alle relative risorse atteso che la disposizione prevede come: “…nelle more della sottoscrizione della contrattazione integrativa, sulla base della formale delibera di costituzione del fondo, vista la certificazione dei revisori, le risorse destinate al finanziamento del fondo risultano definitivamente vincolate” (richiamato punto 5.2 dell’Allegato 4/2)”.

4.1. Provvedimento di costituzione del fondoRiscontriamo che il principio contabili si limiti a richiedere una “formale delibera di costituzione del fondo”. Non indica quale sia l’organo competente ad adottare tale delibera. Questo, di per sé, costituisce un problema non da poco, che il parere della Sezione intende affrontare e risolvere, osservando: “seppur, come da taluni osservato in dottrina, non sia ben chiaro quale debba essere e da chi debba essere adottato tale atto formale (dal Consiglio o dalla Giunta con atti propri di natura non gestionale o dalla dirigenza come atto proprio di natura gestionale) resta il fatto che quello che emerge dalla richiamata previsione è l’esigenza di un momento ricognitivo sulla consistenza del “Fondo”, nelle sue componenti stabile e variabile, che intervenga entro l’esercizio di riferimento. Momento ricognitivo la cui mancanza si pone come elemento in grado di impedire che le risorse non riferibili alla “…quota del fondo obbligatoriamente prevista dalla contrattazione collettiva nazionale…” possano confluire nell’avanzo vincolato”.

Ecco, dunque, l’importantissima funzione della costituzione del fondo: impedire che le risorse non autorizzate direttamente dalla contrattazione nazionale confluiscano nell’avanzo vincolato, inesorabile conseguenza della mancata costituzione e, ovviamente, stipulazione, a seguito dell’armonizzazione.

Chi dà corso, allora, al “momento ricognitivo”? “La Sezione, sul punto, fugando gli accennati dubbi interpretativi che emergono dalla richiamata formulazione del testo normativo (“delibera” di costituzione), ritiene che la costituzione del “Fondo” sia atto da ricondurre alla competenza della dirigenza atteso che lo stesso deve essere non solo ricognitivo della presenza di sufficienti risorse in bilancio ma ben si colloca nell’ambito delle attribuzioni della stessa dirigenza in ordine alla verifica: della correttezza della quantificazione delle risorse iscritte in bilancio destinate alla contrattazione decentrata e del rispetto dei vincoli di finanza pubblica che ne influenzano la modalità di determinazione. Obblighi, questi ultimi, da ricondursi alla tipica funzione gestionale imputata alla dirigenza ed ai quali si ricollegano le relative responsabilità in caso di inadempimento (siano esse amministrativa, disciplinare o dirigenziale in relazione alle eventuali violazioni intervenute)”.

4.2. Funzione e provvedimento di costituzione del fondo. Non è chi non veda le contraddizioni insanabili delle conclusioni tratte dal parere.

Vediamo in breve rassegna dette conclusioni:

  1. il provvedimento serve a costituire il fondo;
  2. il provvedimento deve precedere la stipulazione del contratto;
  3. si parla di deliberazione, ma è una competenza dirigenziale;
  4. la competenza dirigenziale si radica nell’esigenza di realizzare un “momento ricognitivo”;
  5. l’atto dirigenziale, inoltre, ha il compito di verificare la correttezza della quantificazione delle risorse iscritte in bilancio destinate alla contrattazione decentrata ed il rispetto dei vincoli di finanza pubblica.

Ecco, allora, le contraddizioni insanabili tra le conclusioni stesse e tra queste e le norme vigenti:

  1. Il provvedimento, delibera o atto dirigenziale che sia, “costituisce” il fondo. Il significato del verbo costituire significa “fondare”, “creare”, “istituire”. Dunque, con la costituzione del fondo si crea qualcosa che prima non c’era: la quantità delle risorse disponibili nel fondo. Dunque, la costituzione del fondo non può assolutamente essere considerata un “momento ricognitivo”.
  2. Un atto “ricognitivo”, infatti, non ha lo scopo di creare dal nulla un certo dato, ma si limita ad accertare che quel dato, quell’istituto, quel quantitativo, esista già. Se, quindi, costituire significa creare, il provvedimento non può certamente avere alcuna funzione ricognitiva.
  3. Ma, se si ritiene comunque necessario ed opportuno il provvedimento dirigenziale, sia pur dotato di funzione meramente ricognitiva, per verificare la correttezza della quantificazione delle risorse ed il rispetto delle regole di finanza pubblica, allora di fatto l’atto di mera ricognizione assolve ad una funzione di controllo su un elemento, il fondo, preesistente.
  4. Ma, se la ricognizione riguarda un preesistente fondo, allora l’atto dirigenziale non può essere costitutivo: il fondo, quindi è già costituito prima.
  5. A questo punto, forse l’indicazione che ad un primo esame contiene il principio contabile secondo il quale per la costituzione del fondo occorra una “delibera formale” assume tutta una rilevanza diversa. La “delibera formale” potrebbe avere un senso vero: è il provvedimento che precede la “ricognizione” del dirigente.
  6. Qual è, allora, questa delibera? Contrariamente a quanto afferma la Sezione Veneto e in piena adesione a quanto sostiene il comune richiedente, non si può non ritenere che essa sia la delibera di approvazione del bilancio di previsione ed ogni altra delibera di variazione di bilancio.
  7. Infatti, la Corte dei conti, come visto prima, attribuisce al consiglio il compito, col bilancio di determinare non solo “gli indirizzi fondamentali per la contrattazione integrativa e per l’attribuzione dei compensi incentivanti sulla base della valutazione delle performance” ma, soprattutto “le risorse finanziarie previste per lo scopo nei limiti di legge e di contratto”.
  8. Allora, delle due l’una: o la costituzione del fondo è atto della dirigenza e da questo atto determina la fissazione delle risorse finanziarie; oppure, questo compito appartiene al consiglio e, quindi è il bilancio di previsione che stabilendo le risorse finanziarie costituisce il fondo.
  9. La risposta, risolvendo le contraddizioni interne del ragionamento della Corte dei conti, non può che essere una: il fondo è costituito con l’approvazione del bilancio di previsione, mentre il provvedimento dirigenziale ha valore solo ricognitivo.
  10. Erronea è, anche, la convinzione espressa dal parere secondo la quale la funzione dirigenziale consiste nella verifica della correttezza della quantificazione delle risorse e del rispetto delle regole di finanza pubblica. Non può sfuggire a nessuno che tale funzione deve essere svolto, nell’ambito del procedimento di approvazione del bilancio di previsione:
    1. dal responsabile del servizio finanziario;
    2. dal segretario comunale;
    3. dai revisori dei conti;
    4. dal consiglio stesso.

5. Ruolo della determinazione di costituzione del fondo. La ricostruzione della Sezione, dunque, non può convincere.

Occorrerebbe prendere atto una volta e per sempre che la costituzione del fondo richiesta al dirigente post bilancio di previsione, più che un “atto formale” è un borbonico, burocratico, ultroneo, pesante, ripetitivo atto “formalistico”. Dalla cui carenza risulta sproporzionata e inutile la conseguenza, descritta dal principio contabile, dell’impossibilità di imporre il successivo impegno sulle risorse anche diverse da quelle definite dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro.

La realtà è che proprio le regole contabili indicano chiaramente che il fondo si costituisce in modo definitivo con l’approvazione del bilancio di previsione. In presenza del bilancio approvato e del capitolo, che come sappiamo costituisce autorizzazione ex lege all’impegno, il fondo non può non considerarsi costituito e qualsiasi lettura che voglia ricavare inadempimenti e conseguenze contabili dall’assenza di un mero atto ricognitivo e formalistico appare da rigettare, in quanto improntata ad una visione del diritto solo convenzionale e lontanissima dai principi di semplificazione ed efficienza-efficacia.

Esiste, tuttavia, uno spazio per la costituzione del fondo da parte del dirigente competente? La risposta è sì.

S’è visto prima come risulti assolutamente necessario stipulare il contratto decentrato all’inizio dell’anno e, al limite, adottare il provvedimento unilaterale provvisorio sostitutivo, per evitare blocchi alla contrattazione scaturenti da atteggiamenti poco concilianti delle organizzazioni sindacali.

Ma, se il bilancio di previsione non è adottato a inizio anno, allora non sarebbe possibile stipulare il contratto: mancherebbe un presupposto fondamentale.

Ora, come è noto, dal 1990 ad oggi solo una volta il bilancio di previsione è stato possibile adottarlo prima del successivo esercizio finanziario. Per 25 anni su 26, invece, i bilanci sono stati approvati ad esercizio avanzato e alcune volte ad esercizio quasi concluso. Il che rende, ovviamente, impossibile costituire il fondo e chiudere le trattative per tempo, generando un fattore esogeno impeditivo della contrattazione, del quale Corte dei conti, Aran e Mef non sono – a torto, a grave torto – intenzionati a prendere atto.

Come risolvere l’impasse? Appunto con la costituzione del fondo in via provvisoria mediante un provvedimento del responsabile, che sia precisamente ricognitivo ma non della correttezza dell’appostamento del bilancio (ancora inesistente), bensì della corretta quantificazione, tenendo conto, quindi, del personale in servizio, di quello cessato, di quello andato o rientrato dal part time, della somma eventualmente residuale dell’anno precedente effettivamente affluente alla parte variabile e delle altre variabili. Del resto, sono esattamente le medesime operazioni che il responsabile deve compiere proprio allo scopo di determinare l’ammontare del fondo da appostare nell’appropriato capitolo di bilancio.

In assenza di bilancio di previsione approvato entro gennaio- febbraio, per avviare e chiudere in tempo la contrattazione, allora sarà necessario un atto dirigenziale. Successivamente all’approvazione del bilancio, il fondo sarà definitivamente costituito. Spetterà alla giunta (e successivamente al consiglio con la ratifica) disporre eventuali variazioni di bilancio volte ad incrementare il fondo, avvalendosi della facoltà consentita dall’articolo 15, commi 2 e 5, del CCNL 1.4.1999.

6. Stipulazione in assenza del bilancio? Occorre, allora, chiedersi se sia possibile avviare le trattative e stipulare il contratto in assenza del bilancio, sia pure con la costituzione del fondo in via provvisoria disposta con atto dirigenziale.

La risposta è affermativa per una ragione semplicissima: la costituzione del fondo è necessaria solo per gli aspetti giuscontabili, ma non ha alcuna rilevanza per quelli giuslavoristici, cioè per gli effetti giuridici sul rapporto di lavoro.

Non bisogna incorrere nell’errore di ritenere che compito del contratto sia stabilire la “quantità” delle risorse da destinare, nonostante questo errore sia, invece, diffusissimo.

Oggetto del contratto decentrato non è né costituire il fondo, né stabilire quanta parte di esse vada assegnata a ciascuna destinazione. L’articolo 4, comma 2, lettera a), del CCNL 1.4.1999 è chiarissimo nel disporre: “In sede di contrattazione collettiva decentrata integrativa sono regolate le seguenti materie:

a) i criteri per la ripartizione e destinazione delle risorse finanziarie, indicate nell’art. 15, per le finalità previste dall’art. 17, nel rispetto della disciplina prevista dallo stesso articolo 17”.

Oggetto del contratto collettivo decentrato, quindi, non sono affatto le somme, ma solo i criteri per ripartire il fondo. Il contratto, dunque, può essere negoziato ed anche stipulato anche in assenza dell’approvazione del bilancio di previsione che costituisce in modo definitivo il fondo. La ripartizione e destinazione delle risorse finanziarie, approvato il bilancio, non potrà che essere automatica applicazione dei criteri stabiliti dalla contrattazione decentrata.

Avendo presenti queste indicazioni provenienti direttamente dalle leggi e dalla contrattazione collettiva, si nota come sia possibile/doveroso stipulare il contratto senza dover attendere l’approvazione del bilancio e come siano erronei assunti che sono, da anni, dati come assoluti, quali quelli sulla necessità che il fondo sia costituito sempre e necessariamente con un atto diverso dal bilancio di previsione e che il contratto debba ripartire risorse determinate. È bene anche ricordare quanto prevede l’articolo 1346 del codice civile: “L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile”. A parte il fatto che i criteri, una volta stabiliti, sono determinati e, quindi, un contratto decentrato che fissi i criteri dispone di un oggetto perfettamente aderente ai requisiti imposti dal codice civile, comunque, esso risponderebbe egualmente ai requisiti considerando che gli importi delle risorse destinate ai vari istituti restano comunque “determinabili” in applicazione appunto dei criteri.

7. Ultrattività dei contratti. L’articolo 5 del CCNL 1.4.1999, come sostituito dall’articolo 4 del CCNL 22.1.2004, al comma 4 dispone: “I contratti collettivi decentrati integrativi devono contenere apposite clausole circa tempi, modalità e procedure di verifica della loro attuazione. Essi conservano la loro efficacia fino alla stipulazione, presso ciascun ente, dei successivi contratti collettivi decentrati integrativi”.

Sul punto, il parere della Sezione Veneto è laconico. In via del tutto incidentale, rilevando che il Comune istante non aveva stipulato il ccdi afferma che il contratto, per la mancata stipulazione “manca del tutto in quanto non sottoscritto (ove ovviamente non si voglia aderire alla tesi sostenuta da una parte della dottrina sull’ultrattività di quello esistente: ipotesi quest’ultima la cui rilevanza e sussistenza con ha costituito oggetto di attenzione in questa sede). Come si nota, la Corte dei conti derubrica l’ultrattività a “tesi sostenuta da una parte della dottrina”. Ma, si tratta di una chiara sottovalutazione, anzi vera e propria rimozione (non consentita) di un dato normativo chiaramente espresso dalla vigente contrattazione collettiva. Il parere, in questo caso, non è solo prater legem, ma chiaramente contra legem e come questo parere tutti quegli altri dello stesso tono dell’intera magistratura contabile e del Mef, ingiustificatamente propensi a ritenere che l’ultrattività dei contratti decentrati non sia operante.

Al contrario, il dato normativo è evidentissimo e inconfutabile: l’ultrattività è prevista e vigente. Per una ragione chiarissima: perché oggetto del contratto debbono essere, come visto sopra, i criteri e non le somme. In assenza di una modifica dei criteri per destinare le somme, non si vede per quale ragione risulti necessario un contratto che le riconfermi. Basta, a quel punto, la costituzione del fondo e, allora sì, un atto ricognitivo dell’assenza di un nuovo contratto.

8. Risorse variabili. C’è poi il vastissimo tema delle risorse variabili e del loro utilizzo. Su questo argomento la confusione impera ed è enorme, anche a causa di indicazioni interpretative del tutto fuorvianti, ma ripetute ossessivamente da anni.

Il parere della Sezione dedica molto spazio a questa questione, esordendo con la posizione del problema: “In questa sede appare necessario, richiamare gli adempimenti ai quali le amministrazioni locali devono attenersi in sede di appostamento delle risorse del “Fondo” atteso che, di solito, le criticità rilevate dalla stessa Corte dei conti, dall’ARAN e dall’Ispettorato della Ragioneria Generale dello Stato emergono soprattutto nell’ambito della determinazione della quota variabile di detto “Fondo”. Tale quota comprende, infatti, voci che, avendo carattere occasionale o essendo soggette a variazioni anno per anno, non possono consolidarsi nei fondi, ma devono e possono trovare applicazione solo nell’anno in cui sono state discrezionalmente previste e alle rigide condizioni, da riscontrarsi anno per anno, indicate nei CCNL di riferimento. Tra tali voci, e per quello che riguarda la richiesta di parere formulata dal Comune di Teolo, riveste particolare importanza quella indicata dall’art. 15, comma 5, del CCNL del 1999, e destinata all’attivazione di nuovi servizi o all’aumento o al miglioramento di quelli esistenti”.

Le affermazioni di rilievo sono due:

1. la Sezione dà credito fideistico ed assoluto ai rilievi di criticità mossi dalla giurisprudenza contabile, dall’Aran e dall’Ispettorato del Mef sul tema dell’utilizzo delle risorse. Non risulta, tuttavia, esistere nessuna fonte del diritto che attribuisca a questi organi nessun potere di determinare indirizzi cogenti sulla materia;

2. l’applicazione, cioè l’utilizzo, delle risorse variabili può avvenire solo alle “rigide condizioni, da riscontrarsi anno per anno, indicate nei CCNL di riferimento”. Intanto, probabilmente la Sezione incorre in un errore: non intendeva riferirsi ai CCNL, ma ai Ccdi, come dimostra il riferimento alla verifica “anno per anno”. I CCNL hanno durata pluriennale; sono i Ccdi da stipulare anno per anno per destinare le somme. Ma, i Ccdi non dettano alcuna condizione per l’erogazione delle risorse di parte variabile.

8.1 Ruolo dei contratti per la parte variabile. Partiamo dall’ultima affermazione e cerchiamo di precisarla, rispondendo alla domanda: “qual è il ruolo della contrattazione collettiva decentrata integrativa in merito alla parte variabile del fondo?”.

Diamo subito la risposta sintetica, per poi argomentarla: nessun ruolo. Lo ribadiamo: nessuno.

Il Ccdi in merito alla parte variabile non ha assolutamente alcuna funzione né le parti sono legittimate a negoziare nulla.

Argomentazione di per sé sufficiente ed assorbente è il già richiamato articolo 4, comma 2, lettera a), del CCNL 1.4.1999, ai sensi del quale in sede di contrattazione sono definiti “i criteri per la ripartizione e destinazione delle risorse finanziarie”.

Ma, per le risorse variabili di cui all’articolo 15, commi 2 e 5, non c’è da definire nulla, perché:

a) la ripartizione (così come ovviamente la quantificazione) non è decisa negozialmente, bensì è disposta unilateralmente dall’ente, che decida di avvalersi della facoltà di incrementare il fondo come consentito dalle norme in commento;

b) la destinazione è già predeterminata dall’articolo 17, comma 2, lettera a), del CCNL 1.4.1999, riferita alle risorse “residuali” del fondo non destinate secondo le successive lettere: esse vanno obbligatoriamente a “erogare compensi diretti ad incentivare la produttività ed il miglioramento dei servizi, attraverso la corresponsione di compensi correlati al merito e all’impegno di gruppo per centri di costo, e/o individuale, in modo selettivo e secondo i risultati accertati dal sistema permanente di valutazione di cui all’art. 6 del CCNL del 31.3.1999”.

Quindi risulta chiaro che tutte le risorse della parte stabile non destinate e tutte le risorse della parte variabile, in particolare quelle previste dall’articolo 15, commi 2 e 5, remunerano esclusivamente la produttività.

Ciò dimostra che i contratti decentrati non possono ingerirsi sulla destinazione.

8.2 Utilizzo delle risorse di parte variabile. Tanto meno è possibile coinvolgere i sindacati e concordare con essi il “come” spendere queste risorse destinate necessariamente al risultato.

Alcuni ritengono che con i sindacati sarebbe da convenire su quanti e quali dipendenti coinvolgere in quali progetti e come determinare il valore di essi.

E’ un errore gravissimo e, comunque, una causa di nullità assoluta delle clausole eventualmente stipulate aventi questi effetti.

Infatti:

1) spetta in via esclusiva all’ente:

a. determinare i progetti di miglioramento;

b. quantificare in modo ragionevole il valore dei progetti;

c. determinare i criteri di valutazione mediante il sistema di valutazione permanente, che non è oggetto di contrattazione, ma al massimo di concertazione;

2) spetta in via esclusiva ai dirigenti o responsabili di servizio decidere come utilizzare i dipendenti, come e in che misura coinvolgerli nei progetti assegnando loro incarichi precisi, in attuazione del potere datoriale di micro-organizzazione che ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del d.lgs 165/2001 sfugge a qualsiasi relazione sindacale ed è, dunque, necessariamente unilaterale.

9. Condizioni di definizione e utilizzo. La Sezione si sofferma, traendo spunto dall’articolo 18 del CCNL 1.4.1999 e dalle indicazioni dell’Aran, sulle condizioni per attivare le risorse variabili.

Le condizioni, secondo il parere, sono:

1.      che ai maggiori stanziamenti per il fondo siano accompagnati maggiori servizi;

2.      che i miglioramenti dei servizi non siano generici, ma che siano conseguiti risultati concreti;

3.      in conseguenza della seconda condizione, occorrono risultati verificabili attraverso standard, indicatori e/o attraverso i giudizi espressi dall’utenza;

4.      è necessario che si conseguano risultati “difficili” attraverso un ruolo attivo e determinante del personale interno;

5.      le risorse siano quantificate secondo criteri trasparenti e ragionevoli, analiticamente illustrati nella relazione da allegare al contratto decentrato;

6.      le risorse debbono essere disponibili solo a consuntivo, dopo aver accertato i risultati;

7.      è necessario che le risorse per il “fondo” siano previste nel bilancio annuale di previsione e nel Documento unico di programmazione.

Vale la pena prenderle in considerazione una per una, per verificare quanto tali condizioni effettivamente siano correttamente indicate ed esplicate.

La prima è certamente erronea. L’articolo 15, comma 5, del CCNL 1.4.1999 consente l’incremento delle risorse “In caso di attivazione di nuovi servizi o di processi di riorganizzazione finalizzati ad un accrescimento di quelli esistenti”. Dunque, non risulta corretto ritenere che siano sempre necessari “maggiori servizi”.

La seconda condizione è astratta e vuota: indiscutibilmente i miglioramenti dei servizi non possono generici. La Sezione indica, dunque, la necessità di conseguire risultati “concreti”. Ma non spiega in cosa consistano detti risultati concreti, incorrendo in un vizio logico-argomentativo. Se si esprime un concetto senza definirlo, come ci insegna Socrate, non si fornisce alcun elemento valutativo e argomentativo utile.

La terza condizione è, invece, corretta. In questo caso la Sezione è più chiara: “Per poter dire – a consuntivo – che c’è stato, oggettivamente, un innalzamento quali quantitativo del servizio, è necessario poter disporre di adeguati sistemi di verifica e controllo. Innanzitutto, occorre definire uno standard di miglioramento. Lo standard è il termine di paragone che consente di apprezzare la bontà di un risultato. Ad esempio: per definire lo standard di una riduzione del 10% dei tempi di attesa di una prestazione, occorre aver valutato a monte i fabbisogni espressi dall’utenza e le concrete possibilità di miglioramento del servizio. In secondo luogo, è necessario misurare, attraverso indicatori, il miglioramento realizzato. Le misure a consuntivo vanno quindi “confrontate” con lo standard, definito a monte. Per misurare il miglioramento realizzato, l’ente può anche avvalersi di sistemi di rilevazione della qualità percepita dagli utenti (ad esempio: questionari di gradimento, interviste, sondaggi ecc.)”.

La quarta condizione è semplicemente inaccettabile e non poggiata su alcun elemento normativo. Aderendo alle indicazioni Aran e Mef, la Corte dei conti afferma che gli obiettivi debbono mirare a “risultati “sfidanti”, importanti, ad alta visibilità esterna o interna. L’ottenimento di tali risultati non deve essere scontato, ma deve presentare apprezzabili margini di incertezza. Se i risultati fossero scontati, verrebbe meno l’esigenza di incentivare, con ulteriori risorse, il loro conseguimento”.

Il primo necessario rilievo, già anticipato, è che non esiste norma alcuna, né legislativa né contrattuale, che richieda di caratterizzare i risultati come “sfidanti”, aggettivo inventato dal nulla(1) come qualificativo dei risultati nel processo di valutazione dei dipendenti pubblici. Inoltre, “sfidante” non vuol dire nulla: per un’amministrazione con un significativo arretrato di lavoro può essere “sfidante” recuperare l’arretrato. Infatti, molte volte si sente ripetere questo come esempio di obiettivo, senza considerare l’errore di prospettiva di considerare remunerabile un risultato che mira esclusivamente a rimettere a pari una situazione di inadempimento e ritardo!

Abbiamo visto sopra che secondo la Sezione può considerarsi come obiettivo valido e misurabile “una riduzione del 10% dei tempi di attesa di una prestazione”. Perché dovrebbe essere “sfidante”, se questa riduzione è il frutto “aver valutato a monte i fabbisogni espressi dall’utenza e le concrete possibilità di miglioramento del servizio”, come sempre – giustamente – richiede la stessa Sezione?

L’obiettivo non deve essere “sfidante”, aggettivo privo di alcun senso, a meno di non intenderlo come “azzardo”. L’obiettivo deve essere sicuramente realizzabile, altrimenti non avrebbe nessun senso nemmeno porselo. Ma, deve richiedere la strutturazione di un progetto operativo per realizzarlo, più o meno complesso. E’ il progetto, le risorse che richiede, l’impegno necessario a qualificarlo, non la sua considerazione fuggevole e soggettiva di “sfidante”.

D’altra parte, l’Aran, prima ad utilizzare l’aggettivo per qualificare i progetti, nel già citato parere 19932 ha ritenuto ammissibili obiettivi volti a modificare l’organizzazione istituendo turni: dove starebbero i “margini di incertezza” nel raggiungimento di simile obiettivo, predicati dalla Sezione Veneto?

La quinta condizione pecca, come le altre, di astrattezza e genericità. Cosa vuol dire che i criteri debbono essere “ragionevoli” e “trasparenti”? La Sezione prova a rispondere: “la quantificazione delle risorse va fatta con criteri trasparenti (cioè esplicitati nella relazione tecnico-finanziaria) e ragionevoli (cioè basati su un percorso logico e sufficientemente argomentato). E’ necessario, innanzitutto, che le somme messe a disposizione siano correlate al grado di rilevanza ed importanza dei risultati attesi, nonché all’impegno aggiuntivo richiesto alle persone, calcolando, se possibile, il valore di tali prestazioni aggiuntive (ad esempio, il costo di una nuova organizzazione per turni di lavoro). Infine, gli incrementi devono essere di entità “ragionevole”, non tali, cioè, da determinare aumenti percentuali eccessivi del “Fondo” o vistose variazioni in aumento delle retribuzioni accessorie medie pro-capite”.

Un diluvio di aggettivi che non consentono di definire una formula certa, matematica, per determinare la quantificazione. La determinatezza e certezza “cartesiana” richiesta alle amministrazioni non è certo presente nelle linee interpretative di chi predica rigore e misurabilità.

Vale la pena, però, di soffermarsi sulle ulteriori argomentazioni proposte dalla Sezione a supporto della quinta condizione imposta: “Sul punto, altresì si evidenzia che il contratto decentrato non ha titolo per stabilire l’incremento delle risorse variabili, la cui disponibilità deve essere decisa in sede di bilancio di previsione, sulla base del progetto di miglioramento dei servizi e successivamente formalizzata (come si dirà) nell’atto formale di costituzione del “Fondo”.

Abbiamo letto bene. La Sezione afferma che la disponibilità delle risorse variabili deve essere decisa in sede di bilancio di previsione, nello stesso parere nel quale si sostiene che il bilancio di previsione, però, non costituisce il fondo…

Almeno, per fortuna, si conferma che il Ccdi non ha titolo alcuno a stabilire la quantità delle risorse variabili.

La sesta condizione è sicuramente corretta e non sarebbe il caso di soffermarsi, se non vi fossero ulteriori considerazioni degne di nota.

Secondo la Sezione è necessario “che le risorse ex art. 15, comma 5 siano sottoposte a condizione (in tal senso, occorre prevedere una specifica clausola nel contratto decentrato). La condizione consiste precisamente nel raggiungimento degli obiettivi prefissati, verificati e certificati dai servizi di controllo interno. La effettiva erogazione, pertanto, potrà avvenire solo a consuntivo e nel rispetto delle modalità e dei criteri definiti nel contratto decentrato”.

Notiamo:

1.      prima la Sezione, correttamente, afferma che il Ccdi non ha titolo in merito alle risorse variabili, ma subito dopo afferma che le risorse debbono essere sottoposte ad una condizione mediante una clausola del contratto decentrato. Ma, allora, il Ccdi ha titolo o non ha titolo? La risposta è no. Dunque, la clausola indicata non può e non deve essere inserita, restando evidente comunque che il premio per il risultato possa essere erogato solo dopo aver accertato se e in quale misura sia stato conseguito;

2.      il contratto decentrato dovrebbe fissare modalità e criteri per l’erogazione dei premi.

Il secondo punto è un altro errore molto grave, costantemente ripetuto da molti, Aran, Mef, interpreti ed operatori.

Il Ccdi, come abbiamo più volte ripetuto, ha ad oggetto esclusivamente la fissazione dei criteri di ripartizione delle risorse. Di altro non deve interessarsi.

Le modalità ed i criteri per l’erogazione dei premi sono determinati da tutt’altra fonte: il sistema di valutazione permanente, previsto dall’articolo 6 del CCNL 31.31.1999 e ulteriormente regolato dall’articolo 7 del d.lgs 150/2009.

Quindi, il Ccdi non ha alcun titolo per determinare né le modalità, né i criteri di erogazione del risultato, né ha senso alcuno che Aran, Mef e Corte dei conti li cerchino nei contratti decentrati o pensino che questi ne siano la fonte.

E’ un errore gravissimo, fonte illegittima di contenziosi e procedimenti di accertamento di presunte illegittimità dei contratti decentrati, fondate su rappresentazioni distorte della realtà delle norme.

La settima condizione chiude il cerchio: ancora una volta la Sezione cade in un’insanabile contraddizione, nell’affermare che le risorse del fondo siano previste nel bilancio annuale di previsione e nel Dup. Se così è, e in effetti così non può che essere, laddove il bilancio preveda le risorse anche di parte variabile, non ha alcun rilievo l’eventuale assenza del formalistico atto dirigenziale di costituzione.

10. Conclusioni. Soltanto prendendo coscienza delle contraddizioni in termini e degli errori interpretativi e di prospettiva commessi dagli organi coinvolti a vario titolo nel “controllo” della contrattazione, sarà finalmente possibile innescare un processo virtuoso e non formalistico.

——

NOTE

(1) Secondo l’Accademia della Crusca nel 2013 non era nemmeno menzionato nei vocabolari: http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/questione-sfidante

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