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Riforma dirigenza statale, cosa chiedono i sindacati autonomi al ministro Madia

 Pietro Di Michele

 

L’approfondimento di Pietro Di Michele

“Auspichiamo un testo agile che persegua gli obiettivi fondamentali limitando gli aspetti punitivi, in particolare quelli non motivati e che rimetta alla contrattazione spazi praticabili per la premialità del merito”. E’ questo l’auspicio conclusivo e complessivo delle maggiori confederazioni dei dirigenti sul decreto delegato in fieri nel governo che riforma le norme della dirigenza pubblica.

L’APPELLO DELLE MAGGIORI CONFEDERAZIONI

L’auspicio arriva da un’alleanza de facto tra sindacati del comparto che rappresentano – secondo una recente rilevazione dell’agenzia Aran – circa il 60% della dirigenza pubblica. CIDA, CONFEDIR, CONFSAL e COSMED – e tra queste non c’è il sindacato Unadis che aveva di recente scioperato facendo inalberare i vertici del governo e del ministero della Funzione pubblica – non sono pregiudizialmente contrarie al provvedimento, ma – dicono – “senza profonde modifiche al testo in discussione, non solo non sarà possibile raggiungere l’obiettivo di modernizzare la dirigenza pubblica, ma si rischi perfino di creare confusione nella pubblica amministrazione”.

AUSPICI E CRITICHE

Molte delle osservazioni delle Confederazioni firmatarie dell’appello al governo hanno trovato ampio riscontro nel parere espresso dal Consiglio di Stato, dicono i sindacalisti. Una per tutte: la critica alla composizione delle commissioni preposte alla gestione dei tre ruoli unici che non danno sufficiente garanzia di terzietà e indipendenza rispetto al Governo. “La principale preoccupazione della dirigenza pubblica – si legge in un comunicato – è costituita dal pericolo di un’ulteriore invasione del potere politico nella indipendenza ed autonomia delle pubbliche amministrazioni”. “Cruciale in tal senso è il rischio di precarizzazione del ruolo dirigenziale che conseguirebbe dalle modalità di assegnazione degli incarichi come formulato nello schema di decreto delegato”, si legge.

LA DISCREZIONALITA’ POLITICA DA EVITARE

Le confederazioni snocciolano poi critiche e richieste: “Il fallimento di precedenti riforme è a nostro avviso legato al sistema di conferimento degli incarichi ai dirigenti la cui mancata assegnazione, in molti casi, ha rappresentato un evidente spreco di risorse umane ed economiche. Inoltre non c’è stata mai una seria valutazione del merito e dei risultati raggiunti alla base dell’affidamento degli incarichi. La discrezionalità politica nel conferimento degli incarichi, che in alcuni punti del provvedimento diventa persino ricattatoria, rischia di vanificare l’intero impianto della riforma”.

IL CASO DEGLI AFFIDAMENTI DEGLI INCARICHI

“Deve essere chiaro – secondo CIDA, CONFEDIR, CONFSAL e COSMED – che l’affidamento dell’incarico è un diritto del dirigente, peraltro sancito dai contratti di lavoro, e che rappresenta la premessa per una corretta valutazione della prestazione dirigenziale. Non devono esistere dirigenti privi di incarico se non in caso di valutazione negativa. Anche le penalizzazioni economiche dovrebbero essere determinate solo in conseguenza di valutazioni negative espresse e motivate”. In tal senso andranno salvaguardati i diritti economici acquisiti sia con l’immissione in ruolo a seguito di pubblico concorso sia con l’affidamento dell’incarico in assenza di valutazione negativa, spiegano i sindacati.

IL NODO DELL’OBBLIGO DI ROTAZIONE

Non solo, ci sono altri rilievi: “Il decreto deve superare la rigidità dell’obbligo di rotazione, che in alcuni casi può privare le amministrazioni di competenze ed esperienze non facilmente reperibili, mentre quello che deve universalmente prevalere è il principio meritocratico. Un pronunciamento diretto o differito in altro provvedimento legislativo urgente riguarda il destino delle graduatorie esistenti che raccolgono migliaia di vincitori e idonei ignari del proprio destino dopo il 31.12.2016. La presenza di questi lavoratori molti dei quali in condizione di precariato non può essere ignorata e deve essere oggetto di una ricognizione prima dell’avvio di nuovi concorsi o corsi concorsi”.

QUESTIONI SALARIALI DA LASCIARE AL NEGOZIATO SINDACALE

Infine, “sono improponibili percentuali di salario variabile così elevate da diventare irraggiungibili con gli aumenti contrattuali per decenni se non con l’erosione di componenti fondamentali del trattamento retributivo che lo stesso decreto esclude. Tale rigidità non solo fissa un obiettivo impossibile, ma pone anche una grave limitazione allo svolgimento della contrattazione con il concreto rischio di una paralisi negoziale. Lo schema di decreto è quindi un momento importante anche per porre fine all’invasione legislativa su materie negoziali, in tal senso sarebbe auspicabile l’abrogazione di norme ostative che invece vengono riproposte. Nell’attuale schema di decreto non viene sviluppata la delega che prevede la confluenza della retribuzione di posizione fissa nel trattamento economico fondamentale. Sarebbe assai opportuno lo stralcio del Capo “trattamento economico” da rivedere in ambito negoziale”.

 

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