29/03/2016 – Furbetti del cartellino, la Cassazione anticipa i provvedimenti del Governo

Furbetti del cartellino, la Cassazione anticipa i provvedimenti del Governo

 

Con la recente sentenza n. 5777/2016 gli Ermellini giudicano il licenziamento proporzionato alla violazione delle norme disciplinari e dei sistemi di controllo

di Vincenzo Giannotti

I giudici della Corte di Cassazione sono stati chiamati a giudicare la proporzionalità della sanzione disciplinare del licenziamento ad un dipendente che aveva marcato intenzionalmente il cartellino di altro dipendente assente. In particolare il dipendente censurava il provvedimento espulsivo a fronte del suo successivo ravvedimento che aveva consentito al datore di lavoro di venire a conoscenza del fatto illecito, oltre all’assenza da parte del dipendente di altri procedimenti disciplinari, tali da far apparire non proporzionata la sanzione espulsiva inflittagli, ed infine a fronte della mancata elencazione di tale infrazione nel contratto collettivo di categoria. Secondo, invece, gli Ermellini la disinvolta violazione delle norme disciplinari e l’elusione dei sistemi di controllo approntati dalla datrice di lavoro rappresentano sul piano soggettivo degli elementi che comportano inevitabilmente il venir meno del rapporto di fiducia in termini incompatibili con la prosecuzione, sia pure temporanea, del rapporto e non consentono di ritenere adeguata una mera sanzione conservativa. Tali sono le conclusioni a cui è pervenuta la Corte di Cassazione, con la sentenza 23.3.2016, n. 5777 in pratica anticipatrici dei recenti interventi del Governo nella lotta ai c.d. “furbetti del cartellino”.

1. Il fatto

Ad un lavoratore dipendente era stato comminato il licenziamento per aver lo stesso marcato intenzionalmente il cartellino di un collega che sapeva essere assente dal lavoro. Secondo la Corte di Appello tale comportamento, non contestato, integrava una frode atta ad incidere sul sistema dei controlli necessari del personale, oltre che a compromettere il rapporto fiduciario, per cui l’elusione dei sistemi di controllo datoriale non consentiva di ritenere adeguata una sanzione conservativa. Avverso la citata sentenza ricorre il lavoratore per Cassazione contestando la sanzione espulsiva per le seguenti motivazioni:

  • l’omesso esame di fatti decisivi del giudizio, quali il suo ravvedimento operoso e la durata del rapporto contraddistinto dall’assenza di precedenti disciplinari, assumendo che la disamina di tale elementi avrebbe condotto all’accertamento della insussistenza di una lesione definitiva dell’elemento fiduciario;
  • le previsioni della contrattazione collettiva le quali non contemplavano il comportamento contestatogli tra le ipotesi passibili della massima sanzione e, nel contempo, il lavoratore ritiene che, pur a fronte della gravità del fatto addebitatogli, la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare la sua condotta nel complesso, ivi compreso il successivo ravvedimento operoso che aveva consentito al datare di lavoro di venire a conoscenza del fatto illecito.

2. Le motivazioni della Corte Suprema

Secondo i giudici di Palazzo Cavour i giudici di appello hanno fornito adeguata motivazione circa la legittima sanzione espulsiva comminata al dipendente da parte del datore di lavoro, in considerazione della disinvolta violazione delle norme disciplinari e l’elusione dei sistemi di controllo approntati dalla datrice di lavoro rappresentavano sul piano soggettivo degli elementi che comportavano inevitabilmente il venir meno del rapporto di fiducia in termini incompatibili con la prosecuzione, sia pure temporanea, del rapporto e non consentivano di ritenere adeguata una mera sanzione conservativa.

In merito alla mancata previsione della sanzione espulsiva inserita nei contratti collettivi, rilevano gli Ermellini, confermando il proprio orientamento (Cass., sez. lav., n. 2906 del 14.2.2005) come in tema di licenziamento, la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi; tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità. Il relativo accertamento va operato caso per caso, valutando la gravità in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi, ed il giudice può escludere che il comportamento costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dai contratti collettivi, solo in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.

Dal che ne discende che il ricorso deve essere rigettato con condanna alle spese della parte soccombente.

3. Estenzione della sentenza nella p.a.

Pur essendo la sentenza sopra commentata proveniente da un settore privato, i principi in essa contenuti sono non solo applicabili al rapporto del lavoro pubblico contrattualizzato, ma in questo caso le disposizioni collettive e legislative evidenziano come il fatto contestato possa rientrare a pieno titolo tra le sanzioni espulsive anche alla luce dei recenti interventi da parte del Governo. In particolare le disposizioni di cui all’art. 55-quater del d.lgs. 165/2001, ed in particolare il comma 1, lett. a), prevedono attualmente la sanzione espulsiva per “giusta causa o giustificato motivo” in caso di “falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente”, al quale si aggiunge il reato di false attestazioni e certificazioni sanzionandolo con una pena da uno a cinque anni e con la multa da quattrocento a milleseicento euro. Nel recente schema di decreto legislativo, varato dal Governo, per la lotta all’assenteismo è stato inserito un nuovo comma 1-bis al citato articolo 55-quater nel quale si prevede ora che “Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta”. Pur in assenza ad oggi dell’operatività di tale integrazione, la posizione degli Ermellini nella sentenza commentata è chiara nel precisare la gravità del fatto compiuto da terzi, ovvero chi timbra al posto del dipendente assente, tanto da considerare legittima la procedura espulsiva e ciò a prescindere della specifica previsione espulsiva nella contrattazione collettiva.

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