12/03/2016 – Truffe d’orario e licenziamenti in tronco: come andar per lana e tornare tosati a casa

 
 

Truffe d’orario e licenziamenti in tronco: come andar per lana e tornare tosati a casa

R. Nobile (La Gazzetta degli Enti Locali 11/3/2016)

Many go out for wool and come home shorn”. Come dire: la delusione è sempre dietro l’angolo. Andar per lana e tornare a casa ben tosati è cosa che conviene a chi agisce sospinto dalla fretta, magari perché insegue imperscrutabili disegni che sovente odorano di chimerico o di aromi a sottofondo demagogico. Riérgersi come l’Araba fenice non è per tutti. Lì si parla di mito, e non è cosa dappoco. Il mondo degli umani è altro e ben piú misero: è fatto di venir in essere e sparire, di venir dal niente e di ritornarvi, salva una breve parabola alla quale ci si affaccia e nella quale per un poco si permane per calcar la scena. Il mondo degli umani è dunque molto piú spietato ed assomiglia al viaggio di Icaro, che, a ben vedere, non è affatto un viaggio, ma altro: sovente un vero e proprio tonfo.

È inevitabile che qualcuno si chieda cosa centri tutto ciò con il tema delle truffe d’orario e i licenziamenti in tronco. La rilevanza c’è tutta, ed accorgersene non richiede certo sforzi erculei o fatiche macistiche. Ce ne siamo occupati nei nostri ultimi interventi sulle pagine di questa Gazzetta quando abbiamo commentato i contenuti dello schema di decreto legislativo delegato attuativo dell’art. 11, comma 1, lett. s), della legge 7.8.2015, n. 124, con il quale il governo, sospinto dai clamori della vergogna generata da dipendenti in mutande intenti a far risultare falsamente la loro presenza in servizio, ha inteso avviare la riforma della pubblica amministrazione imponendo l’uso dei pantaloni: ossia cominciando dalla coda del problema per rinviare la definizione della testa e del corpo a momenti piú propizî. Magari dopo le elezioni di primavera, tempo forse considerato cairologicamente piú appropriato giusto per parafrasare il Platone delle Leggi e della Repubblica. 

Cominciare ad attuare la riforma della pubblica amministrazione partendo dalla definizione dei procedimenti disciplinari da intentare nei confronti di dipendenti pubblici che truffano il datore di lavoro e l’erario pubblico è deludente per non dire altro. Soprattutto quando l’azione intrapresa non solo non aggiunge un’acca alla normativa vigente, ma ribadisce uno svarione grosso non come una casa, ma come un grattacielo. O, forse, per dir meglio, come un eco-mostro [giuridico], destinato per natura e vocazione ad essere abbattuto dal giudice del lavoro.

Che le cose stiano cosí è evidente per almeno due ordini di ragioni.

In primo luogo, l’art. 1, comma 1, lett. a), dello schema di decreto legislativo delegato altro non è che una definizione stipulativa dell’art. 55-quater del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, introdotto, com’è ampiamente noto, ma sovente dimenticato, dall’art. 69, comma 1, del d.lgs. 27.10.2009, n. 150: “ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi: a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente”. Il tutto con l’avvertenza che in questo caso, il licenziamento è senza preavviso, ossia in tronco. 

Rendersene conto non richiede particolare impegno: basta leggere il testo della novella in itinere e il gioco è fatto. Corroborare la conclusione è ancóra piú semplice: la bagarre sollevata nel paese del festival dai comportamenti riprovevoli di dipendenti in mutande, piuttosto che dediti alla vita all’aperto per combattere lo stress lavorativo in orario di servizio è stata affrontata e risolta utilizzando la normativa in vigore. Semplicemente. Col che si dimostra che per far giustizia dell’illecito flagrante commesso dai cosiddetti “furbetti del cartellino” – autentici furfanti – era ed è ampiamente sufficiente il ricorso al ricordato art. 55-quater del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, senza che sia necessario altro se non la voglia di farlo in tempi certi e brevi, cosa pienamente fattibile anche a legislazione vigente.

In secondo luogo, la previsione hic et nunc del licenziamento disciplinare in tronco di chi in vario modo attesta falsamente la propria presenza in servizio rischia di essere il prodromo della pressoché costante reintegrazione in servizio disposta dal giudice del lavoro. Per rendersene conto è sufficiente abbandonare visioni offuscate da materiali improprî e soffermarsi sui comportamenti ermeneutici della giurisprudenza, guardandola per quel che è: diritto vivente. Vale qui la pena rammemorare che pochi giorni prima delle esternazioni governative sui licenziamenti dei “furbetti del cartellino” la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza 26.1.2016, n. 1351 ha sostenuto – e ciò non è manifestazione rapsodica, ma ius receptum – che sebbene debba condividersi la tesi dell’illegittimità, in via astratta (come del resto in più occasioni affermato dai Giudice delle leggi, cfr. Corte cost. n. 971/1988, n. 239/1996 e n. 286/1999), di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari (specie laddove queste consistano nella massima sanzione) in base all’art 55 d.lgs. 165/2001, così come modificato dal d.lgs. 150/2009, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato (giusta  il perdurante richiamo all’art. 2106 c.c. da parte dell’art 55, comma 2), e pur dovendosi qui rimarcare che la proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi è regola valida per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative ex art. 11, legge n. 689 dei 1981, ecc.), trasfusa per l’illecito disciplinare nell’art. 2106 c.c., pure richiamato dall’art. 55 del d.lgs. n.165 del 2001, con conseguente possibilità per il giudice di annullamento della sanzione «eccessiva», proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo in definitiva possibile introdurre, con legge o con contratto, sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali ad illeciti disciplinari, deve rilevarsi che nella specie la Corte di merito ha adeguatamente motivato circa la sussistenza nel caso esaminato di tale proporzionalità”. Come dire: il legislatore può prevedere sanzioni espulsive connesse a fatti predeterminati, ma quel che conta è il modus in rebus dei comportamenti sanzionati. È dunque evidente che il licenziamento hic et nunc del dipendente che attesta falsamente la propria presenza in servizio non sempre costituisce misura sanzionatoria proporzionata ex art. 2106 c.c. al fatto comunque commesso (fatto commesso una sola volta, false attestazioni per manciate di minuti, et coeteris paribus), con la conseguenza che il giudice adíto dal lavoratore licenziato ha buon gioco a dichiarare illecito il licenziamento e disporre la reintegrazione nel posto di lavoro tutte le volte che l’abbia ritenuto irragionevole perché sproporzionato al disvalore in concreto del fatto commesso in violazione dei doveri di servizio.

La conseguenza di ciò è ovvia: fra la previsione ex lege della misura epurativa e la sua effettiva irrogazione da parte dell’autorità disciplinare non v’è nesso di necessaria conseguenzialità [a necesse ad esse non valet consequentia]. D’altro canto, il regime sanzionatorio previsto dalla novella governativa in itinere colpisce praticamente tutte le omissioni possibili, tranne quella che l’ordinamento non può prevedere per “la contraddizion che nol consente”: il licenziamento del dirigente che non licenzia. Ci sarà pure un motivo!

Ed ora una notazione di costume. Il muscoloso intervento nomopoietico del legislatore delegato pare idoneo a sortire effetti antipodali rispetto a quelli auspicati, per conseguire i quali, esso, a ben vedere, è piú di ostacolo che altro, soprattutto per lo spirito da crociata che pare infondere nei datori di lavoro pubblici. Un chiaro esempio diserendipity, verrebbe da dire. Un po’ come accade a chi cercando aghi nel pagliaio finisce col trovare il partner tra le braccia dell’amante. Serendipity è anche la sorte toccata a Cristoforo Colombo: scoprire per caso le Americhe avendo sbagliato tutto, ma proprio tutto sull’organizzazione del viaggio. Ma la differenza fra i due casi non sfugge, né può sfuggire: qui il vantaggio è ed è stato chiaro; là, come nella materia oggi trattata, che esso non vi sia è davvero incontrovertibile.

Per colpire i “furbetti del cartellino” bastano le norme in vigore, la voglia di applicarle con decisione senza fare sconti e soprattutto agire in tempi che non facciano concorrenza a Mosé nel deserto. Aiuta e basta la riforma attuata con il d.lgs. 27.10.2009, n. 150. Il resto, a ben vedere, non solo non serve, ma odora di grida manzoniana.

 

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