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Sono legittimi i tagli per le Province e le Città metropolitane
di Girolamo Ielo – Dottore commercialista/revisore contabile Esperto finanza territoriale

Alcune Regioni hanno posto dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 421422423 e 427L. 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015).

Le norme impugnate. Il comma 421 dispone che la dotazione organica delle Città metropolitane e delle Province delle Regioni a statuto ordinario, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge medesima, è ridotta in misura pari al 30 e al 50 per cento della spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della L. 7 aprile 2014, n. 56, tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge. Il comma 422 prevede che, tenuto conto del riordino delle funzioni viene individuato il personale che rimane assegnato a Città metropolitane e Province e quello da destinare alle procedure di mobilità. Il comma 423 stabilisce che sono determinati i piani di riassetto organizzativo, economico, finanziario e patrimoniale delle Città metropolitane e delle Province e sono, altresì, definite le procedure di mobilità del personale interessato, disponendo, altresì, che il personale destinatario delle procedure di mobilità è prioritariamente ricollocato presso le Regioni e gli enti locali e in via subordinata presso le amministrazioni dello Stato. Il comma 427 stabilisce che, nelle more della conclusione delle procedure di mobilità, il relativo personale rimane in servizio presso le Città metropolitane e le Province, con possibilità di avvalimento da parte delle Regioni e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che tengano conto del riordino delle funzioni e con oneri a carico dell’ente utilizzatore e che, a conclusione del processo di ricollocazione, le Regioni e i Comuni, in caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di affidamento di funzioni alle Città metropolitane e alle Province o ad altri enti locali, dispongono contestualmente l’assegnazione del relativo personale con oneri a carico dell’ente delegante o affidante, previa convenzione con gli enti destinatari.

Il pronunciamento della Corte. La Corte costituzionale si è pronunciata con la Sent. n. 159 del 7 luglio 2016. La Corte dopo aver dichiarato l’inammissibilità di alcune questioni è entrata nel merito, dichiarandole non fondate.

Competenza regionale e competenza statale. Viene dedotto in primo luogo che la normativa censurata rientrerebbe nella materia «organizzazione amministrativa degli enti locali», affidata alla competenza legislativa residuale delle Regioni, e, in subordine, che, anche a volerla ricondurre alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», travalicherebbe i limiti propri dei principi fondamentali, essendo priva del carattere della transitorietà e comprendendo precetti di dettaglio. Ad avviso della Corte la prima censura non è fondata. La Corte, dopo aver ricordato che l’art. 1, L. n. 56 del 2014 disegna il nuovo assetto degli enti territoriali di area vasta nei suoi aspetti funzionali e organizzativi e fatto presente che la disciplina del personale costituisce uno dei passaggi fondamentali della riforma, dichiara che la normativa contenuta nei censurati commi 421 e seguenti dell’art. 1, L. n. 190 del 2014, quale passaggio attuativo della riforma, deve farsi rientrare nella stessa competenza esclusiva dello Stato. Quanto alla seconda censura, è vero -come rilevato dalle Regioni- che alla normativa non è estranea anche la finalità del coordinamento della finanza pubblica: ciò è implicito nell’impostazione stessa della riforma, in cui l’aspetto finanziario ha svolto fin dall’inizio un ruolo rilevante, ed è particolarmente evidente per le disposizioni in esame volte alla razionalizzazione della spesa relativa al personale. Ma da ciò non può desumersi che una riforma di questa portata possa essere ricondotta a tale materia e non a quella di gran lunga prevalente degli “organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”.

Irragionevolezza della normativa: 1. Le Regioni sostengono l’irragionevolezza della normativa che ha slegato la riduzione del personale dal riordino delle funzioni. In particolare, a parere delle ricorrenti, i principi di funzionalità ed efficienza impongono che lo spostamento delle risorse umane avvenga solo a seguito della riallocazione delle funzioni, permettendo così di calibrare le prime rispetto alle seconde. A questo proposito la Corte ricorda che le leggi regionali sono state emanate con tempistiche diverse, ma tutte in ritardo rispetto alla scadenza indicata; inoltre, mentre alcune provvedono compiutamente al riordino delle funzioni, altre ne rimandano l’attuazione concreta a interventi successivi. In conclusione, alla data di emanazione della normativa censurata, da una parte, il nuovo assetto funzionale era ben lungi dall’essere realizzato e, dall’altra, risultava evidente la molteplicità delle soluzioni previste. Il legislatore statale ha dunque ritenuto necessario intervenire, sia per imprimere una spinta acceleratoria, sia per assicurare l’uniformità dei nuovi assetti istituzionali. In tal modo viene garantita la possibilità di assegnare le funzioni alla sede istituzionale che si ritiene più opportuna, sia pure assumendosi l’onere finanziario del personale necessario al loro esercizio.

Irragionevolezza della normativa: 2. Altro profilo di irragionevolezza viene dedotto dalle ricorrenti in relazione al rischio, che la nuova disciplina comporterebbe, di non corrispondenza tra funzioni e risorse. La Corte ricorda che la L. n. 56 del 2014 aveva già direttamente effettuato l’individuazione delle funzioni fondamentali delle Province e di quelle delle Città metropolitane. E’ dunque, anche sulla base di tale operazione che si è proceduto a quantificare le risorse umane e materiali necessarie per il loro esercizio. Ciò porta ad escludere, continua la Corte, che vi sia stata, come lamentato dalle Regioni, una riduzione del personale aprioristica e quindi di per sé irragionevole in quanto del tutto slegata dalla valutazione delle funzioni.

Taglio personale e funzioni. Quanto all’assunto che il taglio del personale renderebbe impossibile lo svolgimento delle stesse funzioni fondamentali, si tratta di una mera affermazione non supportata da alcun dato circa l’entità del personale addetto alle funzioni fondamentali.

Principi di sussidiarietà e adeguatezza. Nel ricorso le Regioni sostengono che le stesse sarebbero costrette a tradire i principi di sussidiarietà e adeguatezza nella riallocazione delle funzioni non fondamentali, perché condizionate dalla dotazione organica che la disciplina impugnata ha cristallizzato. Ad avviso della Corte l’intervento dello Stato è proprio finalizzato ad evitare che l’utilizzo “ampio” di questi principi porti a conservare in capo agli enti intermedi gran parte -o comunque una porzione notevole- delle funzioni non fondamentali: ciò, infatti, sarebbe contraddittorio rispetto alla prospettiva in cui si muove il legislatore statale, che, come è noto, è quella della soppressione delle Province o quantomeno del loro ridimensionamento.

Riduzione dotazione organica. Per le Regione sarebbe irragionevolmente discriminatoria la riduzione in modo della dotazione organica per tutti gli enti coinvolti, e quindi senza tener conto delle diverse realtà territoriali. Questa censura non è fondata. Le considerazioni circa la portata della riforma e la necessità di una disciplina uniforme rendono evidente l’impossibilità di tener conto di presunte specificità territoriali. La disciplina in esame non risponde certo a logiche di primalità, legate invece a situazioni naturalmente contingenti.

Principio buon andamento pubblica amministrazione. Quanto alla violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione evocato sotto il profilo del rischio di assorbimento di personale non qualificato, non va dimenticato che l’art. 4,D.P.C.M. 26 settembre 2014 prevede che le amministrazioni interessate al riordino individuino il personale attenendosi, tra l’altro, al criterio dello svolgimento, in via prevalente, di compiti correlati alle funzioni oggetto di trasferimento. Resta comunque la possibilità che ad un così rilevante riassetto organizzativo-funzionale segua un’adeguata riqualificazione del personale, ma ciò non può costituire ragione di impedimento e tantomeno vizio di legittimità costituzionale.

Corte Cost., 7 luglio 2016, n. 159

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