27/07/2016 – Legittima la riorganizzazione che affida al Segretario comunale i compiti di coordinamento e controllo dell’avvocatura comunale

Legittima la riorganizzazione che affida al Segretario comunale i compiti di coordinamento e controllo dell’avvocatura comunale

V. Giannotti (La Gazzetta degli Enti Locali 26/7/2016)

I giudici di Palazzo Spada riformano la sentenza dei giudici amministrativi di prime cure, dichiarando inammissibile, da parte dell’avvocato interno, la questione di illegittimità del regolamento degli uffici e servizi che prevedeva l’ingresso nei ruoli dell’amministrazione degli avvocati dell’ente nella categoria giuridica D1, anziché in quella giuridica D3. Inoltre, rigettano l’appello incidentale dell’avvocato comunale, nella parte in cui il nuovo regolamento affida al Segretario le funzioni di coordinamento e controllo della presenza degli avvocati e a lui attribuiva il procedimento amministrativo in caso di affidamento di incarichi professionali ad avvocati esterni. Resta fermo che la nomina del responsabile dell’avvocatura interna spetti al Sindaco e non al Segretario Generale, ai sensi dell’art. 50, comma 10, del d.lgs. 267/2000 il quale riserva al Sindaco il potere di nominare i responsabili degli uffici e dei servizi e di attribuire gli incarichi dirigenziali. Tali sono i contenuti della sentenza 7.6.2016, n. 2434 del Consiglio di Stato, Sez. V.

Premessa

Un Comune procedeva alla riorganizzazione dei servizi dell’avvocatura civica prevedendo in particolare: 

a) il potere di indirizzo, coordinamento e controllo del segretario generale, ivi compreso il potere di nominare il responsabile e di conferire incarichi professionali ad avvocati esterni; 

b) l’accesso di ruolo ai dipendenti in possesso della qualifica D1; 

c) l’inserimento all’interno delle risorse decentrate dei compensi professionali dell’avvocatura; 

d) alcune disposizioni in ordine allo svolgimento delle attività degli avvocati addetti all’ufficio e alla rilevazione delle presenze in ufficio. Avverso le citate modifiche ricorreva l’avvocato dell’ente al fine di vedere dichiarate le illegittimità delle disposizioni ivi contenute. Il Tribunale amministrativo di prime cure, in parziale accoglimento del ricorso rilevava:

  • L’Illegittimità del regolamento comunale che attribuisce al Segretario comunale il potere di individuare, nell’ambito dei dipendenti comunali in possesso di determinati requisiti, il responsabile dell’Avvocatura. A tale riguardo, il Collegio rilevava che l’art. 50, comma 10, del d.lgs. 267/2000 riserva al Sindaco il potere di nominare i responsabili degli uffici e dei servizi e di attribuire gli incarichi dirigenziali. La disposizione regolamentare censurata, attribuendo al Segretario comunale il potere di nomina del responsabile dell’avvocatura comunale, si pone in insanabile contrasto con l’art. 50, comma 10, del d.lgs. n. 267/2000 e con lo stesso principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali. In altre parole, non può ritenersi conforme al sistema di competenze delineato dal testo unico sull’ordinamento degli Enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267) una disposizione regolamentare che attribuisca al Segretario comunale il potere di nominare i dirigenti e/o i responsabili dei servizi, spettando detto potere al Sindaco, per espresso dettato normativo;
  • L’Illegittimità della disposizione che prevede l’accesso nei ruoli dell’avvocatura comunale nella categoria contrattuale D1. Secondo il Collegio amministrativo nel nuovo sistema di classificazione basato sulle categorie la figura professionale di avvocato del Comune deve essere inquadrata nella categoria D3 (corrispondente alla ex VIII^ qualifica funzionale) e che deve considerarsi illegittima la disposizione regolamentare censurata che consente l’accesso al profilo professionale di avvocato anche a dipendenti inquadrati in categoria inferiore alla D3;
  • L’illegittimità dell’inserimento dei compensi all’avvocatura comunale nelle risorse del fondo delle risorse decentrate. In tale ambito il Collegio non aveva motivo di discostarsi dalla interpretazione espressa dalla Corte dei conti, secondo la quale i compensi professionali da corrispondere a titolo di onorari ai dipendenti comunali appartenenti all’Avvocatura interna costituiscono parte della retribuzione; essi non hanno valenza incentivante, in quanto con gli stessi non si mira ad aumentare la produttività del personale dell’avvocatura interna, bensì a compensare l’attività professionale svolta (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione n. 86/2013). A fronte di tale motivazione ne discende l’illegittimità dell’inserimento dei compensi dell’avvocatura all’interno delle risorse decentrate di cui all’art.15 lett. k) CCNL 01/04/99.

Avverso la decisione del TAR ricorre il Comune affidandosi ad solo motivo del ricorso riguardante l’accesso nei ruoli dell’avvocato civico nella categoria D1, accettando le altre statuizioni riguardanti la nomina del responsabile dell’avvocatura di competenza del Sindaco, e di esclusione dei compensi dell’avvocatura dal fondo del salario accessorio. Mentre con ricorso incidentale l’avvocato insiste nell’indipendenza, sia nel controllo della propria presenza da parte del Segretario, sia nella nomina dei difensori esterni di competenza dell’avvocatura.

Le motivazioni dei giudici di Palazzo Spada 

In riforma della sentenza dei giudici amministrativi di prime cure, i giudici di Palazzo Spada dichiarano privo di interesse il ricorrente all’annullamento del regolamento degli uffici e dei servizi che stabilisce l’ingresso nell’avvocatura comunale di personale con categoria contrattuale e giuridica D1 anziché D3. Il motivo della carenza di interesse risiede sia nel fatto che, un possibile ingresso di altri avvocati nella categoria D1, valendo solo per il futuro non tocca la categoria contrattuale dell’avvocato ricorrente che resta pur sempre nella categoria giuridica D3, sia nel fatto che essendo statuito che le risorse dell’avvocatura comunale siano poste fuori dal salario accessorio (parte non impugnata dal Comune) rende indenne l’avvocato da eventuali riduzioni del suo salario accessorio anche in caso di ingresso di nuovi avvocati. In merito alle doglianze dell’avvocato evidenziante nel ricorso incidentale circa l’illegittima assegnazione al Segretario generale rispettivamente, delle funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo del servizio avvocatura e del potere di individuare legali esterni, il Collegio amministrativo di appello le giudica infondate. Infatti, nessuna lesione delle descritte prerogative di “piena indipendenza ed autonomia” previste dalla legge di ordinamento professionale è configurabile per effetto dell’attribuzione al segretario generale di poteri di indirizzo, coordinamento e controllo e della nomina di legali esterni all’ente, dal momento che l’autonomia riconosciuta agli avvocati degli enti pubblici concerne la «trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell’ente», e non attiene invece a aspetti di carattere organizzativo, su cui si incentrano invece le norme regolamentari censurate. In particolare:

  • la legge assegna alla figura organizzativa di interrelazione tra l’apparato amministrativo dell’ente ed il livello a legittimazione politica dell’ente stesso i necessari poteri di coordinamento del servizio legale rispetto alla complessiva organizzazione amministrativa comunale, del quale quell’ufficio è comunque componente;
  • per quanto riguarda l’individuazione di legali esterni, è indubbio che le valutazioni di ordine fiduciario che connotano l’individuazione di legali esterni all’avvocatura comunale e l’affidamento agli stessi del patrocinio dell’ente in giudizio ovvero di incarichi di consulenza extragiudiziale, si collocano nell’ambito delle funzioni di supporto del preminente livello a legittimazione politica, cioè del sindaco, al quale è attribuita la rappresentanza dell’ente;
  • il controllo affidato al Segretario di verifica della presenza degli avvocati, sia mediante utilizzazione del sistema automatizzato delle presenze, ovvero mediante autocertificazione, lungi dal realizzare un’ingerenza gerarchica nell’esercizio intrinseco della prestazione d’opera intellettuale propria della professione forense, e cioè «nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell’ente», trova la sua ratio nella doverosa partecipazione dell’avvocato civico all’organizzazione amministrativa dell’ente stesso.
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