27/07/2016 – Incarichi esterni, trappola per la responsabilità amministrativa

Incarichi esterni, trappola per la responsabilità amministrativa

A. Bianco (La Gazzetta degli Enti Locali 26/7/2016)

Nella giurisprudenza si fissano in modo sempre più chiaro i presupposti che in concreto determinano la maturazione di responsabilità amministrativa in capo a dirigenti ed amministratori. Essa si determina nel caso in cui siano stati conferiti incarichi a soggetti esterni violando i vincoli di motivazione e le finalità di riduzione del loro numero e della relativa spesa. È da considerare altrettanto consolidata la considerazione che essa matura per i maggiori oneri determinati dalla lite temeraria. Non può essere invocata come esimente la insindacabilità delle scelte amministrative nel caso in cui i suoi presupposti non risultino in linea con il dettato normativo. Ed infine, elemento che presenta per alcuni aspetti tratti di significativa novità, essa matura nel caso in cui l’ente abbia concesso il rimborso delle spese legali ad un dipendente prosciolto per reati connessi allo svolgimento dei propri compiti di istituto, ma senza garantire il rispetto dei vincoli dettati dal legislatore e dal contratto collettivo nazionale di lavoro.

Dalle indicazioni dettate dalla giurisprudenza, in modo prevalente della Corte dei Conti, ma si devono segnalare anche le convergenti indicazioni della Corte di Cassazione e della giurisprudenza amministrativa, emerge la necessità che dirigenti, dipendenti ed amministratori pubblici prestino particolare attenzione sia alla necessità di garantire il rispetto del vincolo della motivazione, nonché di dedicare particolare attenzione al rispetto delle finalità per le quali il legislatore ha previsto la necessità di rispettare specifici percorsi procedurali.

Appare opportuno ricordare in premessa che si deve considerare ormai come ampiamente consolidato che, nel caso di un “uso abusivo dello strumento processuale”, occorra verificare la presenza degli elementi tipici della maturazione di responsabilità amministrativa. Ed a tal fine è opportuno che la pronuncia disponga la informazione alla Procura della Corte dei Conti. In questa direzione le ultime indicazioni ci vengono dallasentenza 13 luglio 2016 n. 233 del TAR dell’Emilia-Romagna, sede di Parma.

I limiti agli incarichi a soggetti esterni

Si deve considerare come consolidata la necessità di contenere il numero e la spesa per il conferimento di incarichi a soggetti esterni, sulla scorta delle indicazioni che il legislatore detta da numerosi anni. Tali vincoli si applicano sia alle consulenze sia al conferimento di incarichi professionali. Una parte essenziale è costituita dalla necessità di dovere rispettare gli obblighi di motivazione ed i percorsi procedurali previsti, a partire dai criteri e dalle procedure di scelta del soggetto cui conferire tali incarichi. L’ultima indicazione in questa direzione ci viene dalla sentenza della prima sezione giurisdizionale della Corte dei Conti n. 247 del 27 giugno 2016.

I punti fermi fissati dalla normativa sono così riassunti: “la necessarietà della consulenza, la sua specificità in relazione a una carenza professionale accertata all’interno dell’amministrazione, nonché la sua temporaneità.. una consulenza ..  resta comunque ingiustificata se non se ne prova la necessarietà, la specificità e la eccezionalità in uno con la temporaneità”. 

Ciò significa che occorre avere ben chiara la assoluta necessità di evitare il ricorso a questo strumento per lo svolgimento della “normale attività amministrativa”. Ed ancora, viene evidenziata la necessità di rispettare i vincoli di motivazione, con particolare riferimento alla necessità di dovere dimostrare la mancanza di “risorse interne da utilizzare, se esista o meno un ufficio legale all’interno dell’ente”. Ovviamente, il ricorso alla motivazione della “prassi invalsa” non può in alcun modo essere invocato come motivazione della scelta.

Altro vincolo essenziale dettato dalla giurisprudenza è il seguente: “l’onere di motivazione dei provvedimenti adottati incombe, ai sensi di legge, sull’amministrazione .. essa deve essere puntuale con riferimento all’oggetto del deliberato, soprattutto quando in esercizio del potere discrezionale l’amministrazione pone in essere iniziative che la giurisprudenza non ha esitato a definire eccezionali, come quelle del ricorso a consulenti esterni”. 

In tale ambito sono dettate indicazioni assi utili sul terreno operativo per definire l’ambito entro cui si deve parlare di insindacabilità delle scelte discrezionali: esse sono “quelle cosiddette di merito o di opportunità e non anche le valutazioni tecnico-discrezionali che sono tradizionalmente sindacabili sotto il profilo dell’eccesso di potere e della erroneità ed illogicità. Le scelte di merito, pertanto, non sfuggono ad una verifica di legittimità sotto il profilo del rispetto dei fini e del non abuso dei mezzi e/o di illiceità sotto il profilo del neminem laedere. Solo una volta verificata la compatibilità e la ragionevolezza delle scelte con i fini istituzionali, l’articolazione concreta e minuta dell’iniziativa intrapresa assume i caratteri dell’insindacabilità.. sono sindacabili tutti i comportamenti che si palesino anti giuridici”.

La insindacabilità

Dalla insindacabilità delle scelte discrezionali non deriva la conseguenza che questa sfera di attività sia sottratta al controllo della giurisprudenza della Corte dei Conti. In questa direzione, la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 10814 dello scorso 25 giugno 2016, ci dice quanto sia da considerare consolidata il seguente dato: “l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute da soggetti sottoposti, in astratto, alla giurisdizione della Corte dei conti non ne comporta la sottrazione ad ogni possibilità di controllo. L’insindacabilità nel merito .. non priva, infatti, la Corte dei conti della possibilità di accertare la conformità alla legge dell’attività amministrativa, verificandola anche sotto l’aspetto funzionale: in ordine cioè, alla congruità dei singoli atti compiuti rispetto ai fini imposti, in via generale o in modo specifico, dal legislatore”.

Ed ancora costituisce un “limite all’insindacabilità delle scelte discrezionali della pubblica amministrazione, l’esigenza di accertare che l’attività svolta si sia ispirata a criteri di ragionevole proporzionalità tra costi e benefici. Ne consegue che la Corte dei conti, nella sua qualità di giudice contabile, può verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico”. Per cui, “l’esercizio dell’attività amministrativa deve ispirarsi a criteri di economicità e di efficacia, costituenti specificazioni del più generale principio costituzionale di cui all’art. 97 della Costituzione e rilevanti non solo sul piano della mera opportunità, ma anche della legittimità dell’azione amministrativa”.

Le spese legali

Elementi di novità, in direzione di una maggiore rigidità nel richiamo al rispetto dei vincoli dettati dal legislatore e dai contratti collettivi nazionali di lavoro, stanno maturando con riferimento alla maturazione di responsabilità amministrativa per il rimborso delle spese legali ad un dipendente, nonostante lo stesso sia stato assolto in via definitiva. La responsabilità viene individuata, anche con riferimento ad un dirigente che rilascia un parere, nel mancato rispetto delle indicazioni procedurali dettate dalla normativa e dalla contrattazione. In questa direzione si muove la sentenza della terza sezione d’appello della Corte dei Conti n. 303 dello 8 luglio 2016.

La violazione di tali vincoli si è concretamente realizzata nel caso specifico nel fatto che il dipendente “non avesse tempestivamente avvisato la propria Amministrazione dell’inizio di un procedimento penale nei suoi confronti ed avendo egli scelto un legale di sua fiducia, senza il preventivo accordo con l’Azienda Sanitaria d’appartenenza, ciò avrebbe dovuto indurre il Dirigente del Servizio Legale a fornire un parere negativo in relazione all’istanza di rimborso, non sussistendo i requisiti fondamentali per l’eventuale e successiva rifusione delle spese di patrocinio legale ad un dipendente della P.A.”; questo vincolo è finalizzato a rendere possibile la “valutazione dell’Ente, tesa ad assicurare una buona e ragionevole amministrazione delle risorse economiche”.

La violazione di queste disposizioni determina la conseguenza che “il rimborso delle spese legali è stato concesso in assenza di presupposti di legge necessari, rappresentati dalla tempestiva conoscenza dell’apertura del procedimento nei confronti del dipendente e dalla conseguente ed imprescindibile valutazione della sussistenza o meno di conflitto d’interessi”.

La responsabilità matura anche in capo al dirigente del servizio legale che ha rilasciato un parere positivo per il rimborso in quanto tale atto “proveniente da organo qualificato, pur se atto preparatorio ed ausiliario ed a contenuto non decisorio, atteso che funge da presupposto di diritto preordinato al corretto esercizio degli atti di amministrazione attiva e quindi influente sul procedimento di formazione degli stessi, ha tuttavia un’efficacia causativa del danno”.

 

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