25/07/2016 – Le bozze della riforma Madia: dirigenti pubblici in prova per 3 anni. Governo al lavoro sul decreto. I nodi non sciolti.

Le bozze della riforma Madia: dirigenti pubblici in prova per 3 anni. Governo al lavoro sul decreto. I nodi non sciolti.

di Andrea Bassi. 

Il governo è al lavoro sul decreto di riforma della dirigenza pubblica. Il testo potrebbe essere portato in consiglio dei ministri prima della pausa estiva. La delega scade il prossimo 29 agosto, e l’intenzione del ministero della funzione pubblica, sarebbe quella di non chiedere una proroga come è accaduto con altri pezzi della riforma della pubblica amministrazione che porta il nome del ministro Marianna Madia. Alcune bozze del testo già circolano, ma ci sono dei nodi politici che ancora non sono stati sciolti. Come per esempio, la responsabilità esclusiva dei dirigenti davanti alla Corte dei Conti per atti da loro compiuti, che potrebbe lasciar fuori invece, eventualmente, i vertici politici che danno gli indirizzi alla macchina amministrativa. Per il resto molti punti della riforma avrebbero già assunto una loro forma. Alla dirigenza si potrà accedere in due modi: o attraverso un concorso pubblico, oppure attraverso un corso-concorso.

Il primo, in pratica, è riservato ai funzionari pubblici che hanno almeno cinque anni di servizio, oppure hanno un dottorato di ricerca o un master di secondo livello, oltre a coloro che hanno ricoperto incarichi dirigenziali per almeno cinque anni. Il corso-concorso è invece la strada di accesso alla dirigenza per chi non è già un dipendente della pubblica amministrazione. Ma per partecipare non sarà sufficiente avere la laurea. La bozza di provvedimento prevede che sia anche necessario un dottorato di ricerca o un master di secondo livello presso un’università italiana o straniera.

LE NOVITÀ

L’altra novità è che i dirigenti entrati per concorso, saranno in prova per tre anni. Alla fine di questo primo periodo, dovranno sottostare ad una valutazione e potranno rimanere in carica solo se la passeranno. Coloro che entrano con il corso-concorso, invece, saranno assunti come funzionari, e potranno diventare dirigenti anche loro dopo tre anni e a valle di una valutazione. I dirigenti, poi, saranno licenziabili. Chi rimarrà senza incarico, si vedrà corrisposta solo la parte tabellare della retribuzione. Per ogni anno fuori dagli organigrammi, poi, subirà un taglio dello stipendio del 10%. Dopo sei anni nei quali non è riuscito a trovare una collocazione, il dirigente pubblico, sempre dopo una valutazione negativa sull’ultimo incarico ricoperto, potrà anche essere licenziato. L’unica via d’uscita per rimanere nei ranghi della pubblica amministrazione, sarà quella di accettare una retrocessione a semplice funzionario. I dirigenti, poi, dovranno centrare tutti gli obiettivi che verranno assegnati. Chi manca i target avrà una decurtazione della parte variabile della retribuzione che potrà arrivare fino all’80%.

Tutti gli incarichi dirigenziali, poi, saranno a tempo. Non potranno durare più di quattro anni, prorogabili una sola volta e dopo una valutazione positiva dell’operato, per un periodo massimo di altri due anni. È il principio della rotazione. Siccome tutti i dirigenti dello Stato saranno inseriti in un unico ruolo, questo significa che dovranno spostarsi anche da una amministrazione ad un’altra, per esempio dall’agenzia delle entrate a un ministero, o viceversa.

In attesa che il decreto sulla dirigenza pubblica venga limato, prima della pausa estiva un provvedimento che arriverà per l’approvazione definitiva sul tavolo del consiglio dei ministri, è quello sulle partecipate che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe portare ad una riduzione da 8 mila a mille delle controllate pubbliche.

Il Messaggero – 23 luglio 2016

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