15/07/2016 – L’amministratore pubblico condannato per concussione risponde anche di danno all’immagine

L’amministratore pubblico condannato per concussione risponde anche di danno all’immagine
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale dei conti e giornalista pubblicista

 

La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per il Veneto, con la Sent. n. 85 del 17 giugno 2016, ha stabilito che l’amministratore pubblico condannato per concussione deve risarcire il danno all’immagine causato alla pubblica amministrazione, oltre che per il reato commesso, anche perché la notizia che ha trovato forte amplificazione a livello locale, ha provocato un danno all’ente pubblico di appartenenza.

La vicenda

La Procura Regionale ha convenuto in giudizio all’epoca dei fatti l’assessore ai lavori pubblici di un Comune della Regione veneta, per sentirlo condannare al risarcimento del danno cagionato al Comune stesso quantificato in oltre 34mila euro oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, agli interessi legali decorrenti dal deposito della sentenza ed alle spese di giustizia.

In particolare il P.M. contabile, nel ricostruire i fatti salienti, ha riferito che la vicenda giudiziale traeva origine da specifica e concreta notizia di danno costituita dalla segnalazione avvenuta mediante invio, da parte Corte di Appello-Prima Sezione Penale- di copia della sentenza nei confronti dell’amministratore pubblico riconosciuto colpevole del delitto di concussione continuata.

In particolare il Tribunale ordinario aveva ritenuto colpevole l’amministratore del reato di concussione continuata, di cui agli art. 81 cpv. e 317 c.p., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, abusando della sua qualità di assessore ai lavori pubblici del Comune, minacciava un dipendente dello stesso Comune con mansioni di operatore ecologico, che, se non gli avesse dato dei soldi, lo avrebbe licenziato, costringendo, quindi, il soggetto passivo a dargli, in circa quaranta occasioni, somme di denaro per l’ammontare complessivo di 20.000.000 delle vecchie lire circa, con fatti svoltisi, dal 1998 fino ad epoca antecedente e prossima al 27 maggio 2002.

Il Tribunale ha ritenuto provata l’accusa sulla base dell’affermata credibilità della parte offesa (dipendente comunale), che ha fornito una versione dei fatti lineare, coerente, intrinsecamente credibile, avvalorata dalla circostanza della sua determinazione a denunciare i fatti illeciti solo dopo che l’amministratore era cessato dalla carica di Assessore.

La Procura ha sottolineato come, dalla sentenza penale di condanna, si evinca, altresì, che lo stesso Sindaco del Comune, venuto a conoscenza delle condotte illecite realizzate aveva suggerito al dipendente di rivolgersi ai Carabinieri nel caso le richieste di denaro fossero proseguite.

La Corte di Appello ha confermato l’accertamento della qualifica di Pubblico Ufficiale in capo all’ex amministratore ed ha avallato pienamente la ricostruzione della sentenza di primo grado, fatta salva la riduzione della pena in concreto irrogata.

Tale sentenza ha specificato che: ” (…) nel rapporto con l’assessore, si presenta quale soggetto debole, trattasi, infatti, di cittadino straniero, che sebbene titolare di un regolare lavoro si trova in una situazione di sudditanza e soggezione nei confronti di colui che, rappresenta il potere, ragion per cui sentirsi chiedere, indebitamente ed insistentemente del denaro, con la minaccia che, qualora non ottemperi alla richiesta, sarebbe divenuto un ex dipendente, integra a suo danno una vera e propria condotta estorsiva che, posta in essere da un pubblico ufficiale, abusando della propria funzione, configura il delitto di concussione”.

La Corte Suprema di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’ex assessore condannandolo al pagamento delle spese processuali.

Le contestazioni della Corte dei Conti

Per quanto attiene al danno contestato, la Procura contabile lo ha individuato nel danno non patrimoniale all’immagine pubblica, che investe il rapporto che lega la comunità degli amministrati all’ente per il quale il dipendente infedele agisce e postula il venir meno, da parte dei cittadini, del senso di affidamento e di fiducia nel corretto funzionamento dell’apparato della Pubblica Amministrazione, nonché del senso di appartenenza all’istituzione stessa che impone comportamenti assolutamente inappuntabili e trasparenti, nonché improntati ai principi di legalità, di imparzialità e di efficienza.

Nel richiamare precedenti giurisprudenziali conformi e delineare il quadro normativo di riferimento la Procura della Corte dei Conti rileva l’esperibilità dell’azione risarcitoria dinanzi alla Corte dei Conti solamente in presenza di delitti commessi da PP.UU. contro la Pubblica Amministrazione accertato con sentenza penale passata in giudicato.

Nel caso in esame ne ha ritenuto l’indubbia sussistenza, finanche indipendentemente dalla diffusione della notizia sui mezzi di informazione, non possedendo l’elemento del c.d. clamor fori valenza costitutiva bensì mero effetto amplificativo della lesione già prodotta. Peraltro, assumerebbe rilevanza il giudizio di sussistenza e fondatezza della condotta illecita da cui derivava, una notevole perdita di prestigio dell’ente locale presso l’opinione pubblica.

La pronuncia irrevocabile di condanna emessa in sede penale a carico dell’ex amministratore per un reato contro la Pubblica Amministrazione ed il clamor fori che ne è derivato hanno comportato un vulnus dell’onore e del prestigio del Comune, che la Procura ha allegato mediante produzione di copia di articoli di stampa riguardante la vicenda.

Circa la valutazione economica del danno inferto all’Amministrazione, infine, la Procura ha esplicitato i criteri o parametri di riferimento oggettivo, soggettivo e sociale, individuati dalla giurisprudenza contabile ai fini di una quantificazione in via equitativa del predetto danno, ritenendo congrua la misura risarcitoria richiesta in considerazione che il giudice possa discostarsi dal limite minimo – pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita – stabilito dalla disposizione contenuta dell’art. 1, comma 62, L. 6 novembre 2012, n. 190 (legge anticorruzione) che ha introdotto i commi 1-sexies e 1-septies all’art. 1, L. 14 gennaio 1994, n. 20, sia perché misura solamente “presunta” che può cedere di fronte alla prova contraria di un diverso ammontare, sia in quanto norma non applicabile al caso di specie essendo entrata in vigore solo posteriormente alla commissione dei fatti ed attesa la sua natura “sostanziale” e, quindi, “irretroattiva”.

La sentenza della Corte dei Conti

I giudici contabili veneti ricordano che nel nostro ordinamento nessuna distinzione è mai stata operata tra la disciplina giuridica della responsabilità degli amministratori e quella dei dipendenti pubblici, unitariamente considerata.

Siffatto convincimento è rafforzato dal panorama normativo e giurisprudenziale in cui è possibile rintracciare agevoli riscontri in tali termini.

Ne costituisce fulgido esempio la L. 14 gennaio 1994, n. 20 e s. m. e i, che tratta in maniera assolutamente unitaria la responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici, come si evince in modo evidente dalla lettura dell’art. 1, comma 1-bis, secondo cui: “Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”.

I giudici contabili affermano che sia innegabile che l’attenzione rivolta dalla stampa locale alle vicende giudiziarie del convenuto mediante la comunicazione della notizia dei fatti criminosi all’opinione pubblica abbia comportato un’oggettiva perdita di considerazione e di prestigio per la P.A., incrinando quel necessario rapporto e indispensabile clima di fiducia riposta dalla cittadinanza nei confronti dei pubblici poteri e dei suoi dipendenti ed amministratori.

È, quindi, piuttosto ragionevole ritenere che dalla natura e gravità delle condotte illecite osservate dell’ex amministratore e dalla conseguente diffusione della notizia nell’opinione pubblica sia derivato quel discredito e quella grave perdita di prestigio con conseguente lesione della sfera dei diritti della personalità dell’ente pubblico di appartenenza del convenuto, costituenti quei beni-valori coessenziali all’esercizio delle pubbliche funzioni, costituzionalmente significativi e tutelati dagli artt. 54 e 97 della Costituzione.

Tale convincimento del Collegio si basa su ragioni legate alle funzioni e al ruolo svolti dall’autore del danno da risarcire, alla gravità, frequenza e durata delle condotte illecite (circa quaranta episodi spalmati in quattro anni circa), tutte particolarmente odiose, all’entità delle utilità complessivamente conseguite non disgiunte dalle condizioni economiche ed alla retribuzione della persona offesa (circa venti milioni delle vecchie lire incidenti sul bilancio di un dipendente inquadrato in posizione economica di non elevato livello), alla risonanza che la vicenda ha avuto occupando spazi su organi di informazione, anziché circoscritta negli angusti ambiti giudiziari e comunali.

Per tali motivi la Corte dei Conti condanna l’ex amministratore al risarcimento del danno all’immagine in favore del Comune liquidato nella somma di 25.000,00 (venticinquemila) euro, oltre alla rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo indici ISTAT, interessi legali a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza e le spese di giudizio, in favore dello Stato.

Corte dei conti-Veneto, Sez. Giurisdiz., 17 giugno 2016 n. 85

 
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