22/06/2017 – Le relazioni sindacali nel lavoro pubblico L’intervento del d.lgs. 25 maggio 2017, n°75

Le relazioni sindacali nel lavoro pubblico L’intervento del d.lgs. 25 maggio 2017, n°75

 

 

(Gianfranco Rucco) Nella materia della competenza regolativa della contrattazione collettiva nazionale sulle relazioni sindacali, si deve registrare il recentissimo intervento del d.lgs 25 maggio 2017, n° 75, per definire esattamente la portata innovativa del quale appare utile richiamare in estrema sintesi lo stato immediatamente precedente della normativa in riferimento.

Con la riforma operata dal d.lgs. 150/2009 delle disposizioni dell’articolo 40, comma 1, nuovo testo, del d.lgs. 165/2001, alla fonte collettiva era riservata, tra l’altro, la regolazione delle “materie relative alle relazioni sindacali”, considerando, tuttavia, che le medesime disposizioni esplicitamente escludevano dall’ambito contrattuale collettivo le materie “attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell’articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, nonché quelle di cui all’articolo 2, comma 1, lett. c), della legge 23 ottobre 1992, n° 421”.

La locuzione “quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17”, non poneva particolari problemi esegetici avendo il legislatore chiaramente inteso confermare l’interdizione dell’intera area dei poteri di “micro-organizzazione” (come ampliata dall’articolo 5, comma 2, del d.lgs. 165/2001 nel testo risultante dalle modifiche recate dal d.lgs. 150/2009) e di gestione dirigenziale da qualsiasi tipo di relazione sindacale negoziale, mentre una più attenta riflessione doveva essere riservata alla locuzione “oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell’articolo 9”, perché il combinato disposto degli articoli 9 e 5, comma 2, del d.lgs. 165/2001, sembrava dettare una disciplina innovativa in materia di relazioni sindacali non negoziali, limitandone fortemente l’ambito.

In quel testo l’articolo 9 del d. lgs. 165/2001, infatti, disponeva che “i contratti collettivi nazionali disciplinano le modalità e gli istituti della partecipazione”, con ciò demandando alla fonte collettiva nazionale la modulazione del sistema delle relazioni sindacali, ma precisava l’area di possibile intervento in materia della fonte stessa con la locuzione “fermo restando quanto previsto dall’articolo 5, comma 2”; tale ultimo comma, al primo periodo, esplicitamente disponva che “nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’articolo 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove prevista nei contratti di cui all’articolo 9”.

Alla luce del combinato disposto dei due richiamati articoli sembrava doversi ritenere che, nell’intera area dei poteri dirigenziali di “micro-organizzazione” e di gestione, la fonte collettiva non potesse configurare relazioni sindacali diverse dalla sola informazione e, quindi, in tale area non sarebbero stati più configurabili, oltre a quelli negoziali, neppure moduli relazionali di partecipazione “forte” quali, ad esempio, la concertazione.

Una prima rimodulazione di tale cornice legislativa è stata effettuata con i commi 17 e 18 dell’art. 2 del d.l. n. 95 del 2012, convertito con la legge 7 agosto 2012, n. 135, che hanno modificato rispettivamente l’art. 5, comma 2. e l’art. 6, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in materia di poteri di organizzazione delle amministrazioni pubbliche e di organizzazione e disciplina degli uffici e dotazioni organiche.

Nella conseguente versione, il comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. n. 165 del 2001, ribadiva che le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici, e introduceva, limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, l’esame congiunto, ove previsto nei contratti di cui all’articolo 9. Lo stesso comma 2 precisava, infatti, che entrambe le forme partecipative (informazione ed esame congiunto) avrebbero operato solo se previste nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Pertanto, prima del d.lgs. 75/2017, sulla base della definizione della cornice normativa di riferimento, ferma restando l’area interdetta dall’art. 40, comma 1, d.lgs. 165/2001 alla contrattazione collettiva anche di secondo livello, le relazioni sindacali non negoziali si suddividevano, quanto ad area di esplicabilità, sulla base delle due etichette previste dall’art. 5, comma 2, cioè quella relativa alle determinazioni relative all’organizzazione degli uffici, ambito per il quale era prevista la sola informazione e quella relativa alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, ambito per il quale i CCNL potevano prevedere l’esame congiunto.

Sulla base della regolazione apportata dalla cornice legislativa sopra descritta si è nel tempo provveduto ad aggiornare la lettura interpretativa delle clausole contrattuali concernenti il sistema delle relazioni sindacali, mediante appostiti caveat finalizzati a richiamare l’attenzione sull’intervento delle disposizioni legislative e sulla necessità di una lettura diacronica delle regole contrattuali, ai fini di una loro corretta applicazione.

Il decreto legislativo 75/2017 interviene sulla ricordata cornice legislativa anzitutto confermando sostanzialmente, all’art. 11, l’area interdetta alla contrattazione collettiva anche di secondo livello (cfr. articolo 40, comma 1, lett. a).

Inoltre, l’art. 2 del citato decreto reca disposizioni che rimodulano come segue l’art. 5, comma 2, del d.lgs. 165/2001: “2. Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’articolo 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro nel rispetto del principio di pari opportunità, e in particolare la direzione e l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici, sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, fatte salve la sola informazione ai sindacati ovvero le ulteriori forme di partecipazione, ove previsti nei contratti di cui all’articolo 9”.

In considerazione delle modifiche testé ricordate, nell’economia dello schema di riforma la distinzione dei moduli di relazioni sindacali nell’area della micro-organizzazione non è più direttamente suddivisa dalla legge sulla base delle etichette precedentemente configurate dalla legge, ma è rimessa all’autonomia collettiva che resta libera di definire le forme di partecipazione ulteriori rispetto all’informazione.

Secondo una tendenza interpretativa che si va affermando e che potrebbe tradursi in un indirizzo per la contrattazione collettiva nazionale di lavoro essa, nella declinazione delle tipologie e delle corrispondenti modalità dei modelli partecipativi, dovrà operare in coerenza con le tendenze del dialogo sociale in atto a livello europeo ed in tale prospettiva dovrà prevedere, oltre all’informazione, anche ambiti di consultazione sindacale.

Appare pertanto utile richiamare alcuni aspetti definitori dell’Accordo denominato “Quadro generale sulla informazione e consultazione dei funzionari pubblici e dei dipendenti delle amministrazioni dei governi centrali” stipulato a Bruxelles il 21 dicembre 2015 tra la TUNED e l’EUPAE, che ha come obbiettivo quello di stabilire un quadro generale di requisiti minimi comuni di informazione e consultazione dei lavoratori publici attraverso i loro rappresentanti, comprese le organizzazioni sindacali, nelle amministrazioni centrali.

Il citato Accordo, nel Preambolo, afferma che l’informazione e la consultazione dei lavoratori pubblici “sono essenziali per un dialogo sociale di qualità” e che un “dialogo sociale nazionale forte sostiene buone condizioni di lavoro, consente un servizio pubblico di qualità e consente la corretta gestione del cambiamento in tutte le fasi economiche”.

Tale dialogo “aiuta a far crescere la fiducia e le buone condizioni di lavoro ed è anche orientato verso la protezione dei posti di lavoro (i licenziamenti debbono essere l’ultima risorsa) e verso il miglioramento dell’occupabilità (ad esempio attraverso la formazione)”.

Tanto premesso, l’Accordo, nell’articolo 3, detta alcune definizioni tra le quali quelle di Informazione e Consultazione, che risultano utili ai fini in esame.

“Per Informazione si intende la trasmissione da parte del datore di lavoro ai rappresentanti dei lavoratori, di dati al fine di consentire loro di prendere conoscenza della questione trattata e di esaminarla. L’informazione deve essere data nei tempi, nei modi e nei contenuti adeguati atti a conentire ai rappresentanti dei lavoratori di procedere ad una valutazione approfondita del potenziale impatto delle misure proposte.”

“Per Consultazione si intende lo scambio di opinioni e l’instaurazione di un dialogo tra i rappresentanti dei lavoratori e il datore di lavoro. La consultazione deve essere organizzata nei tempi, nei modi e nei contenuti adeguati atti a consentire ai rappresentanti dei lavoratori di esprimere un parere e quindi cercare di avere la possibilità di influenzare le misure proposte dall’amministrazione, sulla base delle informazioni fornite in merito alle misure proposte alle quali la consultazione è connessa.”

Secondo la ricordata tendenza interpretativa, in attuazione del nuovo quadro legislativo, la contrattazione collettiva nazionale dovrà individuare le materie riservate alla informazione e per quanto riguarda la consultazione, potrà configurarne modalità diverse di svolgimento in dipendenza della diversità degli ambiti cui si riferisce: più snelle quando la consultazione si riferisca all’organizzazione degli uffici, più approfondite quando la consultazione attenga a decisioni datoriali che implichino riflessi più diretti sul rapporto di lavoro.

Risulta a questo punto utile, a sommesso avviso di chi scrive, rispondere ad un’esigenza di ulteriore definizione delle ricordate etichette, considerando l’uso non sempre univoco e coerente che viene fatto di diverse locuzioni, quali organizzazione degli uffici, organizzazione del lavoro, gestione del rapporto di lavoro, gestione delle risorse umane.

A tale proposito, sulla base delle acquisizioni della teoria dell’organizzazione e di alcune indicazioni legislative, alle quattro locuzioni, collegandole in coppie omogenee sotto il profilo dell’organizzazione, si ritiene possano essere attribuiti i seguenti significati esemplificativi.

Organizzazione degli uffici: distribuzione di compiti e responsabilità tra le varie unità operative; modalità d’integrazione tra strutture al fine del perseguimento di un obiettivo; individuazione e attribuzione di responsabilità di processo o di struttura in capo a singoli dipendenti. In questo ambito si ritiene possa rientrare anche la gestione del rapporto di lavoro, intesa come ottimale allocazione del personale rispetto allo svolgimento dei compiti dell’ufficio cui lo stesso è adibito.

Organizzazione del lavoro: meccanismi per il funzionamento ottimale di strutture e risorse. Essa comprende le decisioni operative e gestionali per il funzionamento della struttura amministrativa, nonché l’organizzazione delle risorse professionali in base agli obiettivi; l’organizzazione del lavoro comprende la programmazione d’istituti di valorizzazione del personale (rotazione, formazione, articolazione dell’orario, etc.), ma esclude l’adozione puntuale ed individuale di soluzioni gestionali (spostamenti transitori, mutamento di mansioni, etc.). In questo ambito si ritiene possa rientrare anche la gestione delle risorse umane, che si sostanzia nelle misure e negli strumenti per determinare motivazione, impegno e partecipazione del personale rispetto agli obiettivi di performance dell’organizzazione (e che deve essere tenuta distinta dalla gestione del rapporto di lavoro che è prerogativa dirigenziale).

Delle due “coppie”, la prima è relativa alla organizzazione della struttura e la seconda al suo ottimale funzionamento; in questo senso, la prima concerne l’organizzazione statica e quindi le tipiche prerogative dirigenziali derivanti dagli obiettivi e dalle risorse a disposizione, la seconda concerne l’organizzazione dinamica ed implica l’esigenza di un coinvolgimento del personale.

Sulla base di questa distinzione, alla prima “coppia” si ritiene possano essere ricondotte modalità di relazioni partecipative agili e alla seconda modalità di relazioni partecipative maggiormente approfondite.

Ovviamente possono essere seguiti anche percorsi definitori diversi, con differenti approdi quanto ad ambiti dei diversi moduli di relazioni sindacali: quello che mi sembra possibile affermare, come chiaramente si evince dalle citate definizioni di informazione e consultazione e dalle loro dinamiche operative, è che i moduli di relazioni sindacali di informazione e consultazione ispirate ai principi del dialogo sociale europeo non possono essere improntati né ad una logica pan-contrattuale né ad una formale-adempimentale, distorsioni entrambe che si sono ampiamente registrate nell’esperienza attuativa del sistema delle relazioni sindacali nel lavoro pubblico italiano e che in tal senso dovrà operare la contrattazione collettiva nazionale di lavoro.

Gianfranco Rucco

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