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I vetri oscurati del FOIA all’italiana

Pubblicato il 31 maggio 2016 

di Vitalba Azzollini

Egregio Titolare,

non è facile la vita di chi voglia commentare le riforme – rivoluzionarie per definizione – del governo attuale. Non è infatti sufficiente limitarsi a valutare i relativi provvedimenti, i cui tempi di pubblicazione sulla G.U. sono sempre più spropositati: serve andare oltre per verificare se tra le pieghe delle norme si annidi altro tipo di “rivoluzione” rispetto non solo agli obiettivi dichiarati, ma anche alle modifiche pubblicizzate tra una versione e l’altra dello stesso testo di legge. In particolare, con riguardo al c.d. FOIA nazionale, la comparazione del decreto definitivo, reso noto su alcuni siti, con lo schema ufficialmente divulgato nel mese di gennaio – per essere sottoposto al parere del Consiglio di Stato e delle commissioni parlamentari – può riservare sorprese che chiariscono taluni intenti del regolatore molto più di quanto non facciano dichiarazioni di esponenti del governo e slogan sapientemente declinati.

 

Successivamente all’approvazione del citato schema di decreto, il ministro Madia ha intrapreso un confronto con alcuni soggetti interessati, a seguito del quale ha operato significative correzioni al testo iniziale, introducendo la motivazione del diniego di accesso, sancendo la gratuità del servizio, prevedendo un ricorso stragiudiziale ecc.. Tuttavia, nel mentre mostrava manifestamente di accogliere talune istanze avanzate della “società civile”, al contempo, in modo meno palese, apportava al decreto revisioni tali da opacizzare realtà che necessitano invece di essere quanto più disvelate: in particolare, inserendo nella nuova versione ulteriori e più rilevanti paletti che limitano la portata della trasparenza annunciata.

Se tra i destinatari della disciplina del Foia italiano, nello schema di decreto divulgato a gennaio, c’erano associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato la cui attività fosse finanziata in modo maggioritario da pubbliche amministrazioni o in cui la totalità o la maggioranza dell’organo d’amministrazione o di indirizzo fosse designata da pubbliche amministrazioni, è stato ora previsto che obblighi di disclosure gravino sui predetti soggetti solo se, oltre alle caratteristiche sopra elencate, abbiano un bilancio superiore a cinquecentomila euro e il predetto finanziamento da parte delle P.A. si sia protratto per almeno due esercizi consecutivi nell’ultimo triennio; inoltre, il requisito concernente la designazione degli organi sociali, che nel testo originario era alternativo a quello del finanziamento, diviene invece aggiuntivo in quello varato.

Insomma, più che un’agevole via per la conoscenza, la nuova versione del decreto in discorso sembra un percorso ad ostacoli verso una trasparenza che, strada facendo, si è ridotta fino a diventare un vicolo stretto. Ma non è tutto: relativamente alle associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle P.A. o di gestione di servizi pubblici, il diritto alla conoscenza potrà essere esercitato “limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse” solo a condizione che il loro bilancio sia superiore a cinquecentomila euro. Anche in questo caso, tale ultimo requisito, inizialmente non previsto, sembra palesemente preordinato a ridurre in modo sostanziale una trasparenza molto enfatizzata. Infine – ciliegina su una torta abilmente confezionata con sorprese incluse – sono state eliminate dal novero dei soggetti passibili di disclosure le associazioni, le fondazioni e gli enti di diritto privato nei quali le pubbliche amministrazioni abbiano poteri di nomina dei componenti di organi degli governo e, quindi, capacità di incidere su tutto il resto: non sembra necessario aggiungere altro.

In conclusione, la nuova disciplina avrebbe consentito al cittadino di illuminare una serie di ambiti in cui lo Stato è coinvolto ma, nella versione finale, ha fatto ripiombare nel buio molti soggetti inizialmente destinatari del Foia nazionale, e senza che il regolatore rendesse trasparentemente conto delle ragioni sottostanti al mutato orientamento. Quando, in occasione del rigetto di eventuali istanze di accesso per mancanza dei nuovi requisiti prescritti, si scoprirà in concreto quali sono le fondazioni, le società, gli enti beneficiari dell’intervento restrittivo operato in sede di approvazione definitiva del decreto, forse sarà più chiaro il motivo delle modifiche sopra delineate e scientemente poco propagandate. Per un governo che ha dichiarato di voler finalmente incidere con efficacia sulla galassia dei soggetti riguardo ai quali lo Stato è variamente coinvolto, negare la disclosure su molti di essi non può dirsi di certo un buon inizio; quanto ad un altro inizio, vale a dire quello del declamato “cambio di verso”, invece, beato chi l’ha visto.

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