28/01/2016 – Il mezzo di “distrazione di massa” del DDL costituzionale Renzi-Boschi

Il mezzo di “distrazione di massa” del DDL costituzionale Renzi-Boschi

di Giovanni Virga | 24 gennaio 2016
 

Sono stato tentato più volte di commentare il disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi sulla riforma del Senato, ma mi ero finora astenuto non solo perchè sarà surrettiziamente utilizzato (mediante l’indizione del referendum che è stato già preannunciato) come una specie di plebiscito a favore del Governo, ma soprattutto perchè viene già strumentalmente impiegato come un mezzo di “distrazione di massa”, per nascondere i veri problemi del Paese, che, com’è noto a tutti, sono quelli economici.

Il contrasto tra la riforma “epocale” del Senato, varata nel silenzio colpevole di molti costituzionalisti (molto più loquaci quando si trattò di commentare la riforma costituzionale proposta da Berlusconi) e la drammatica situazione economica del nostro Paese non potrebbe essere più stridente. Mentre si approvano, con grossi squilli di tromba, fantasmagoriche riforme costituzionali, l’economia del Paese continua inesorabilmente, giorno dopo giorno, a declinare (siamo già passati, in breve volger di tempo, dalla sesta posizione tra i Paesi maggiormente industrializzati, alla nona posizione; nella classifica mondiale della competitività l’Italia occupa ormai il 47° posto).

Basti pensare che, nello stesso giorno in cui il DDL costituzionale venne approvato per la prima volta dal Senato, mentre Renzi parlava di “giornata storica” per l’Italia, si era avuta notizia (questa sì, storica) della cessione ad una multinazionale americana del gruppo Indesit, che aveva trainato – con gli elettrodomestici – la ripresa nel primo dopoguerra e che disponeva di stabilimenti in ben 16 nazioni.

E nello stesso giorno dell’ultima votazione al Senato in seconda lettura del DDL, mentre Renzi dichiarava ancora una volta che si trattava di una giornata storica, si apprendeva che una banca di primaria importanza (il Monte dei Paschi di Siena) affondava in borsa sotto il peso dei suoi rilevanti crediti inesigibili od incagliati. Per lo stesso motivo, nello stesso giorno, altre banche importanti si trovavano in gravi difficoltà e subivano forti ribassi.

In realtà il vero problema dell’Italia non è la modesta riduzione del numero dei parlamentari promessaci dal DDL di riforma costituzionale, nè – come dirò – la lentezza del procedimento legislativo, ma il fatto che – nonostante la congiuntura favorevole (prezzo del petrolio e costo del denaro ai minimi storici) – l’economia non riparte, bloccata da un debito pubblico imponente, da una legislazione ed una pubblica amministrazione sempre più invadente e farraginosa e da una tassazione particolarmente punitiva.

A questi noti problemi si aggiunge ora anche il problema dei crediti inesigibili ed incagliati delle banche, valutati da taluni (per ciò che concerne i crediti inesigibili e cioè assolutamente irrecuperabili) in oltre 200 miliardi e da altri (per ciò che riguarda i crediti incagliati e cioè di difficile esazione) in oltre 370 miliardi.

Non è chiaro come ciò sia potuto accadere. Un comune mortale che chiede un prestito alla banca si vede infatti imporre una serie di garanzie reali e personali che coprono ampiamente il debito nel caso in cui non sia in grado di restituirlo. Non si comprende quindi come si sia creata una montagna di ben 370 miliardi incagliati che andranno svalutati, secondo le ultime indicazioni europee, fino al 17% del loro ammontare. Sorge quindi il fondato sospetto che molti crediti siano stati concessi ad imprenditori ben appoggiati, senza adeguate garanzie, grazie alle raccomandazioni dei politici. Anche perché in Italia, sulla scorta di quanto ha fatto per lungo tempo lo Stato, si sta diffondendo il pericolosissimo virus che spinge, nel caso di difficoltà, a non pagare più i debiti, specie ove l’operatore economico sia “too big to fail”.

Il Premier Renzi, allorchè il problema dei crediti incagliati è sorto in tutta la sua evidenza (con il decreto legge per la Banca Etruria, per la Banca Marche e per le altre), per cercare di arginare le polemiche che coinvolgono il padre del Ministro Boschi, ha promesso pubblicamente – nel corso di una puntata della trasmissione televisiva “Porta a porta” – l’istituzione di una apposita commissione parlamentare d’inchiesta. Tuttavia da allora non si è fatto niente e si cerca di cancellare le tracce della promessa con una raffica di provvedimenti di chiaro stampo elettoralistico (come l’improvvida misura dei 500 euro per i diciottenni).

Eppure c’è assoluto bisogno di fare chiarezza in argomento. Ma si continua a non fare niente, nonostante si parli continuamente dell’istituzione di una “bad bank” (che peraltro quasi tutti pronunciano in modo sbagliato, dato che in inglese “bad” non si pronuncia “bed”, ma in modo letterale “bad”, mentre bank non si pronuncia in modo letterale ma “benk”; affermando, come si suol ripetere nelle trasmissioni televisive, che ci vuole una “bed bank”, si afferma in inglese che ci vuole una “banca – letto”). Come se l’istituzione della “bad bank” sia in grado, d’incanto, di colmare le notevoli perdite subite dalle banche, che rischiano di rifettersi, tramite il meccanismo del “bail in” sui risparmiatori incolpevoli.

C’era stato ripetuto fino alla noia che il nostro sistema creditizio era solido. Ora, d’improvviso, si scopre un buco enorme. Ma ciò non stupisce, dato che l’Italia è solitamente il Paese nel quale, improvvisamente, si apre il giornale e si apprende che esistono enormi buchi da colmare. E ciò grazie ad una informazione – soprattutto televisiva – del tutto addomesticata. Invito pertanto tutti i lettori ad informarsi tramite internet, attraverso cui alcune notizie trapelano per tempo.

Grazie ad internet chi scrive segnalò già nel luglio dello scorso anno il grande pericolo che comportava per i risparmiatori italiani il recepimento del “bail in” già dolorosamente sperimentato da Cipro; uno strumento che, se si rilegge il mio intervento al riguardo, fu beffardamente presentato dal nostro  Ministro Padoan – con apposito comunicato ufficiale intitolato “Unione bancaria: con direttiva UE più tutele per depositi e creditori”– come una grande conquista per i depositi ed i risparmiatori.

Insomma Padoan, che aveva già dichiarato che quella dell’aumento del debito pubblico, e’ una questione “noiosa” e che addirittura ora attacca il nostro vero nume tutelare (Draghi) nonostante che quest’ultimo abbia salvato, con le sue dichiarazioni, temporaneamente il Monte dei Paschi dal definitivo naufragio in borsa, non solo ci frega, ma pure ci prende in giro, spacciando il “bail in” come una “conquista” dei risparmiatori (forse voleva dire “del risparmio privato”).

In quella occasione una trasmissione – “In onda” su “La 7” – dimostrò che i parlamentari che l’avevano votato non sapevano nemmeno che cosa fosse il “bail in”. Ormai tutti (soprattutto i risparmiatori di Banca Marche e di Banca Etruria, che l’hanno sperimentato sulla loro pelle), purtroppo, sanno che cos’è il “bail in”.

Il che ci riporta, indirettamente, al tema di apertura e cioè al DDL Renzi-Boschi.

Io non voglio evidenziare al riguardo le diverse imperfezioni ed i problemi che comporterà l’entrata in vigore del DDL, ma porre semplicemente ai lettori un quesito sul quale tutti dovremmo riflettere.

Infatti, tutti i commentatori finora intervenuti, hanno enfatizzato il vantaggio che il DDL comporterà: la velocizzazione del procedimento legislativo. Tuttavia, se è questa la finalità della riforma, vien fatto di chiedersi:  E’ un bene che il procedimento legislativo venga velocizzato? E, soprattutto, abbiamo bisogno di un numero ulteriore di leggi che vengono sfornate a getto continuo ogni anno, in aggiunta a quello imponente che già ci affligge?

Il Parlamento viene spesso considerato come una catena di montaggio che funziona bene solo se un crescente numero di “pezzi” viene sfornato ogni anno. In realtà al Parlamento non sono applicabili gli stessi criteri della catena di montaggio, anche perchè ogni nuova legge, per essere una buona legge, ha bisogno di un lungo periodo per la sua progettazione e discussione ed un ancor più lungo periodo di assestamento perchè entri in circolo e venga applicata. Già oggi ciò non avviene.

Un esempio evidente è costituito non solo dall’imponente numero dei decreti legge emanati negli ultimi anni, che di fatto hanno  reso irrilevante il Parlamento, chiamato a convertirli, ma anche dalla recente legge di stabilità 2016, composta da ben 999 commi, pubblicata nella G.U. n. 302 del 30 dicembre 2015 – Suppl. ord. n. 70 e in vigore dal 1° gennaio 2016. Si tratta quindi di 999 commi che sono entrati in vigore dopo appena un giorno dalla loro pubblicazione. Per non parlare poi dell’origine di questi 999 commi: essi sono frutto di un maxiemendamento presentato dal Governo, che i parlamentari sono stati chiamati ad approvare a spron battuto mediante la questione di fiducia.

Se già ciò avviene in un sistema di bicameralismo perfetto, figuriamoci quel che avverrà quando, se sarà approvata in via definitiva la riforma, si approderà ad un sistema quasi monocamerale.

A mio sommesso avviso noi non abbiamo bisogno di un numero crescente di leggi frettolosamente varate dagli uffici legislativi del Governo ed approvate a spron battuto dalla Camera dei deputati che dovrà apporre una specie di timbro. Abbiamo invece bisogno di poche leggi, ma ben congegnate ed adeguatamente meditate e discusse, con una serie di provvedimenti regolamentari attuativi. E soprattutto un’opera di riordino legislativo che disboschi la selva di leggi che ci affligge e che rende complicato se non impossibile qualsiasi attività, specie quelle economiche. Si parla sempre di semplificazione, ma ogni nuova legge, specie se mal fatta e non adeguatamente meditata, comporta quasi sempre nuove complicazioni.

Ecco perchè il DDL Renzi-Boschi, al di là delle sue imperfezioni tecniche e lacune, mi sembra da bocciare nella parte riguardante la riforma del Senato. Esso è invece da condividere nella parte in cui cerca di porre rimedio a diverse magagne della riforma del Titolo V; una riforma questa che ha creato molti più problemi di quelli che era destinata a risolvere nel rapporto tra Stato e Regioni e che ha costretto la Corte costituzionale ad un superlavoro ed a creare dei criteri “cuscinetto” (previo accordo, intesa forte, parere della conferenza Stato-Regioni) che non hanno funzionato. Proprio la necessità di porre nuovamente mano, dopo appena qualche lustro,  alla Costituzione per riparare ai guasti della riforma del Titolo V dimostra indirettamente quanto delicate siano le riforme costituzionali.

Proporrei quindi di scindere il preannunciato referendum in due tronconi: uno, quello della c.d. riforma del Senato (che peraltro è rimessa ad una legge elettorale ancora tutta da inventare mediante l”indicazione” degli elettori), da bocciare; quello della controriforma del Titolo V, da approvare. Ma so bene che i nostri politici, adducendo una asserita unicità della riforma, ci proporranno un unico quesito binario. Di guisa che saremo costretti, votando si o no, ad approvare o disapprovare l’intero “pacchetto”.

Si tratta dello stesso problema della riforma costituzionale proposta dal Governo Berlusconi: in quel caso si unirono nel quesito referendario alcune parti di riforma (riduzione del numero dei parlamentari) da condividere ed altre (un federalismo spinto, propugnato dalla Lega di Bossi) da bocciare.

Rimane comunque al fondo una profonda contraddizione: ci avevano convinto tutti (anche tramite le trasmissioni di Benigni) che avevamo la Costituzione “più bella del mondo”; se ciò è vero, perchè mutarla ad ogni cambio di stagione?

Una cosa comunque è certa: se non si vareranno in fretta riforme economiche serie ed incisive, la  riforma “epocale” del Senato non risolverà un bel nulla; forse, grazie ad essa, Renzi e la fidata Ministra Boschi entreranno nei libri di storia e sicuramente distrarranno ancora per un anno gli elettori, ma l’Italia continuerà a declinare ed il debito pubblico ad aumentare.

Giovanni Virga, 24 gennaio 2016.

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