13/12/2016 – Il diritto di accesso

Il diritto di accesso
 

di Arturo Bianco

Le amministrazioni pubbliche devono garantire il diritto di accesso una volta che la specifica commissione nazionale per il diritto di accesso abbia accolto la relativa istanza e, di conseguenza, l’ente e per esso i dirigenti devono limitarsi a dare applicazione a tale deliberazione, tranne che l’ente adotti un provvedimento formale di rigetto. Le istanze di accesso volte ad esercitare un controllo sull’attività della pubblica amministrazione vanno rigettate, così come quelle che hanno un contenuto generico e presuppongono lo svolgimento di una attività di ricerca, soprattutto se complessa ed impegnativa, da parte dell’amministrazione. Sono queste le indicazioni più recenti dettate in materia di diritto di accesso da parte della giurisprudenza amministrativa. Occorre ricordare che il prossimo 23 dicembre diventano operativi i principi dettati in materia dal D.Lgs. n. 97/2016, cd FOIA, in base al quale invece le esigenze di controllo possono essere poste a base delle richieste di accesso, che non hanno peraltro più bisogno di una specifica motivazione. Attendiamo sul punto le indicazioni dell’ANAC, che ha già in corso una procedura di consultazione su uno specifico documento.

LA DECISIONE DELLA COMMISSIONE NAZIONALE

La sentenza del Tar del Lazio, sezione terza quater, n. 10507/2016, detta le regole da applicare nel caso in cui il diritto di accesso sia stato deliberato dall’ apposita commissione nazionale. Leggiamo espressamente che “la decisione, favorevole al richiedente, assunta dall’organo amministrativo competente in materia, impone all’Amministrazione, se intende confermare il diniego, di adottare un provvedimento espresso in tal senso entro 30 giorni; in caso contrario l’accesso è consentito. Il decorso del termine, senza che l’Amministrazione intervenga, cristallizza la situazione in senso definitivamente favorevole al richiedente, senza lasciare più spazio ad ulteriori interventi dell’Amministrazione stessa, il cui potere è in questo caso consumato. La mancata conferma del diniego da parte dell’Amministrazione si traduce in una rinuncia della stessa ad opporsi all’accesso. Proprio perché in tal modo si consolida definitivamente il giudizio espresso dal difensore civico o dalla Commissione, non appare neppure ipotizzabile che, prodottosi l’effetto legale in questione, su di esso l’Amministrazione possa ancora intervenire in via di autotutela”. Di conseguenza i dirigenti devono limitarsi in questo caso a dare corso al diritto di accesso.

LE PROVE SELETTIVE

La sentenza del Tar del Lazio, sezione prima quater, 11777 del 24 novembre ha dettato le regole da applicare nel caso in cui il diritto di accesso sia richiesto nell’ambito di prove selettive/concorsuali, escludendo le istanze che sono finalizzate all’esercizio di forme di controllo generalizzato e quelle che sono generiche.

In premessa, occorre considerare la natura del contenzioso in materia di diritto di accesso, per trarne la conclusione –consolidata in giurisprudenza- che si deve tenere conto delle ragioni addotte dalla pubblica amministrazione anche nel caso in cui il giudizio verta sul silenzio-rigetto: siamo in presenza di un giudizio “rivolto ad accertare la sussistenza o meno del titolo all’accesso nella specifica situazione alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall’amministrazione per giustificarne il diniego. Tant’è vero che, anche nel caso di impugnativa del silenzio-diniego sull’accesso, l’amministrazione può dedurre in giudizio le ragioni che precludono all’interessato di avere copia o di visionare i relativi documenti, e la decisione da assumere, che deve comunque accertare la sussistenza o meno del titolo all’esibizione, si deve formare tenendo conto anche di tali deduzioni”.

Il diritto di accesso sussiste sicuramente nei confronti degli atti adottati dalla commissione di selezione: “non vi è infatti dubbio, al riguardo, che i ricorrenti, che hanno partecipato alla procedura medesima, vantano idoneo titolo alla loro ostensione”.

Occorre inoltre ricordare che, sulla base delle previsioni della legge n. 241/1990 e della giurisprudenza costante, “la domanda di accesso, che riguarda nella fattispecie un vasto ambito di attività amministrativa, è inammissibile, in quanto preordinata a un controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione”. Tali sono “gli atti relativi a tutti i soggetti interessati dalle varie procedure concorsuali, conciliative e di mobilità poste in essere, che riguardano un numero elevatissimo di soggetti e di pratiche”.

Altro principio assai importante dettato dalla sentenza è il seguente: “l’accesso agli atti amministrativi, infatti, per nota e costante giurisprudenza, non può tradursi in un onere di ricerca e di elaborazione da parte dell’Amministrazione, che contrasterebbe con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso l’esercizio del relativo diritto, il buon andamento dell’Amministrazione, riversando sulla stessa l’onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di attività. Costituisce invero, in materia di diritto di accesso, principio fondamentale quello per cui l’accesso non può ridondare in attività di ricerca ed elaborazione dati, sicché la richiesta di accesso non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati, ovvero riferita ad una pluralità di atti della cui ricerca deve farsi carico l’Amministrazione, seppur sulla base di criteri indicati”.

L’ACCESSO GENERALIZZATO

Per la sentenza della sesta sezione del Tar di Napoli 4508/2016 le richieste di accesso generalizzate e/o finalizzate allo svolgimento di attività di controllo devono essere respinte.

Dalle richieste deve “emergere con sufficiente chiarezza quale sia l’interesse conoscitivo che si pone in rapporto di collegamento qualificato con la posizione azionata di soggetto al quale è stato contestato un inadempimento contrattuale”. Ed ancora: “essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è condizione sufficiente perché l’interesse rivendicato possa considerarsi diretto, concreto e attuale, essendo anche necessario che la documentazione cui si chiede di accedere sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento. L’ordinamento prevede, infatti, che l’esibizione dei documenti sia strumentale alla tutela di un interesse concreto e meritevole di tutela e la necessità di un collegamento specifico e concreto con un interesse rilevante impedisce che l’accesso possa essere utilizzato per conseguire improprie finalità di controllo generalizzato sulla legittimità degli atti della P.A.

Segnatamente, la legittimazione all’accesso ai documenti amministrativi deve ritenersi consentita a chiunque possa dimostrare che il provvedimento o gli atti endoprocedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti anche nei suoi confronti; pertanto, il diritto di accesso può essere esercitato anche indipendentemente dall’esistenza di una lesione della posizione giuridica del richiedente, essendo invece sufficiente un interesse personale e concreto, serio e non emulativo, a conoscere gli atti già posti in essere e a partecipare alla formazione di quelli successivi”.

INDICAZIONI CONCLUSIVE

Siamo in presenza di un insieme di indicazioni chiare, visto che si individuano in modo molto netto gli elementi discriminanti dell’accesso finalizzato all’esercizio di forme di controllo sull’operato dell’amministrazione e della genericità della richiesta, per la decisione sulla accettazione della richiesta. Si deve infine evidenziare che si mettono in evidenza sia l’importanza che assume la “variabile” della gravosità del carico di lavoro che ne scaturisce sull’amministrazione e che non deve determinare in ogni caso un pregiudizio per la sua attività amministrativa, sia la necessità di dovere dimostrare la presenza di uno specifico interesse tutelato dall’ordinamento.

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