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Dirigenti, con la riforma saltano anche blocco alle assunzioni e tetto al trattamento accessorio

di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

 

Il 27 novembre è scaduto il termine assegnato dalla legge Madia al Governo per emanare i decreti attuativi della riforma sulla dirigenza pubblica. La Corte Costituzionale prima e le vicende politiche dopo hanno reso il percorso quasi impossibile e nessun provvedimento è stato ufficialmente adottato. Solo un treno perso? Non sembra: la mancata attuazione della legge delega dovrebbe portare almeno un paio di ricadute nella gestione del personale dirigente.

Il tetto al trattamento economico accessorio 

Una prima fattispecie riguarda il tetto al trattamento economico accessorio. La previsione, contenuta nell’articolo 9, comma 2-bis, del Dl 78/2010 per il periodo 2011-2014, è stata riproposta con la legge di stabilità 2016, al comma 236 dell’articolo unico. È previsto che tale trattamento, a partire dal 1° gennaio 2016, non possa superare l’importo determinato per il 2015. Nessun dubbio che, fra i destinatari della disposizione, siano ricompresi anche i dirigenti, in quanto la stessa norma parla di trattamento economico accessorio del personale, anche di livello dirigenziale. Ma la versione 2016 del tetto è sottoposta a un vincolo temporale: «nelle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi degli articolo 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124…». E l’articolo 11 prevede l’emanazione del decreto di riforma della dirigenza, il cui termine, come detto, è scaduto a fine novembre.

Congelamento dei posti vacanti 

Discorso del tutto analogo lo si può effettuare per il congelamento dei posti vacanti di dirigenti operato per effetto del comma 219 dell’articolo 1 della legge 208/2015. Come si ricorderà, la disposizione stabiliva che fossero resi indisponibili i posti dirigenziali delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001, vacanti alla data del 15 ottobre 2015, con una serie di eccezioni. Questo ha comportato che, per i predetti posti, non fosse possibile procedere alla loro copertura. Anche in questo caso, la norma esordisce stabilendo che il nuovo regime è applicato «nelle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi degli articolo 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell’attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190». Mentre il primo termine, come specificato in precedenza, è spirato il 27 novembre, la realizzazione del disposto della legge 190/2014 (ricollocazione del personale in esubero degli enti di area vasta) si è conclusa, per alcune regioni nel secondo semestre del 2016, mentre per le restanti amministrazioni regionali scadrà comunque il 1° gennaio 2017. 

Quindi, cosa fare? Nella gestione delle risorse umane siamo ormai abituati al caos legislativo, in cui qualsiasi soggetto può affermare tutto e il contrario di tutto: troverà qualche interpretazione, anche a livello istituzionale, in linea con la propria tesi. La prudenza, in ogni caso, è d’obbligo per il povero operatore, il quale si troverà davanti al dilemma: applicare i vincoli, che possibilità di ricorso da parte dei dirigenti (o futuri tali) interessati oppure considerare superate le norme, con il rischio di una possibile azione di responsabilità? Ancora una volta, in questa confusione, quanto meno, il dolo o la colpa grave dovrebbe essere esclusa.

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