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giovedì 14 aprile 2016

Subito i diritti di rogito ai Segretari nei comuni senza dirigenza, ma restano comunque dubbi sulla costituzionalità della norma

 
Abbiamo segnalato in un precedente post che la Corte Costituzionale con sentenza n. 75/2016 ha affermato che dopo il DL 90/2014 i diritti di rogito spettano, oltre ai Segretari di fascia C, anche ai Segretari che operano negli enti privi di dirigenza, correggendo un’evidente errore interpretativo a parere di chi scrive in cui era caduta la Sezione Autonomie della Corte dei Conti con la deliberazione n. 21/2015.
La notizia è oggi riportata in un articolo di Arturo Bianco dal titolo Segretari, diritti di rogito bloccati solo nei Comuni senza dirigenti (contenuto accessibile solo agli abbonati).
Queste le conclusioni cui giunge Bianco nell’articolo: “La sentenza della Consulta apre nell’immediato la strada alla rivisitazione delle indicazioni fornite dalla magistratura contabile e, nel contempo, sembra chiudere le porte a giudizi di illegittimità della disposizione nazionale, visto che nega la esistenza di disparità in questa disposizione“.
Se non mi sembra possano esserci dubbi sulla rivisitazione delle indicazioni fornite dalla magistratura contabile a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, dubbi personalmente li nutro sul fatto che la “partita” sulla costituzionalità della norma possa dirsi conclusa. Ovviamente il problema riguarda principalmente gli enti in cui sono presenti dirigenti. Infatti, ricordo che per una questione analoga, relativa ai compensi per le avvocature pubbliche, due TAR hanno già sollevato la questione di costituzionalità (Tar Trento n. 138 del 10 marzo 2016 e Tar Molise, ord., 25 marzo 2016, n. 161). I dubbi di costituzionalità nascono innanzitutto in merito all’utilizzo dello strumento normativo prescelto. “Occorre ricordare come la Corte Costituzionale con sentenza n. 171/2007 abbia per la prima volta dichiarato incostituzionale una norma per vizi formali del decreto legge. La stessa Corte dal 1995 ha affermato che l’esistenza dei requisiti della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza può essere oggetto di scrutinio di costituzionalità, ma che tale controllo “non si sostituisce e non si sovrappone a quello iniziale del Governo e a quello successivo del Parlamento in sede di conversione – in cui le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti – ma deve svolgersi su un piano diverso, con la funzione di preservare l’assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito è predisposto”. Ebbene con la sentenza 171/2007 la Corte ha dichiarato incostituzionale una norma ritenendola “intrusa”. Il giudizio di “intrusione” è derivato dal fatto che né il titolo del decreto, né il preambolo facevano intendere l’esistenza dei requisiti di necessità e d’urgenza. 
Se si analizza in tale ottica il D.l. 90/2014 si può notare che lo stesso è titolato “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari” e che nel preambolo, in merito alle norme riguardanti la pubblica amministrazione, la straordinaria necessità e urgenza di emanare il decreto è tesa “a favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di semplificazione per l’accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione”. A parere di chi scrive, l’art. 10 del D.l. 90/2014 potrebbe rientrare nella categoria di “norma intrusa” in un decreto legge, in quanto essa non può essere retta e giustificata dai presupposti che sorreggono, invece, il decreto” (in questi termini si vedano le osservazioni riportate nell’articolo Le funzioni rogatorie ed i relativi compensi a seguito del D.L. 90/2014, pubblicato sulla rivista Management locale – rivista di amministrazione, finanza e controllo, n. 5/2015, in particolare il paragrafo 7).
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