31/08/2016 – La riforma della dirigenza PA

La riforma della dirigenza PA

30 Ago,2016 / Scritto da Francesco Verbaro
 

La riforma della dirigenza è un tema da addetti ai lavori ma è rilevante per il buon funzionamento della macchina amministrativa e per l’attuazione delle politiche pubbliche. La qualità dei servizi, la spesa dei fondi UE, l’efficienza e gli sprechi dipendono prevalentemente da una buona dirigenza, soprattutto da quella di vertice, e quindi dalle regole che la “governano”. È anche per questo che il legislatore e i governi periodicamente intervengono sulla normativa che disciplina lo status e il governo della dirigenza. Nel decennio 1998-2009 si contano almeno dieci interventi legislativi sulle norme relative agli incarichi dirigenziali, per non parlare delle sentenze della Corte Costituzionale in materia. In sintesi gli interventi si possono riassumere in due grandi filoni: il rafforzamento dell’accountability rispetto all’indirizzo politico; o il rafforzamento dell’indipendenza e imparzialità rispetto al ciclo elettorale. Il modello manageriale di derivazione anglosassone certamente ha supportato maggiormente il processo volto ad assicurare una maggiore rispondenza dell’azione amministrativa agli indirizzi politici, ma esso è stato introdotto in Italia, come è sempre capitato per altri “prestiti”, all’italiana. Nel caso specifico, in maniera debole e senza gli strumenti necessari, come la piena gestione delle risorse umane e finanziarie.

L’obiettivo di questa riforma, come ha dichiarato il Presidente del Consiglio, è quello di avere una dirigenza fondata sui risultati e non sullo status. Di fatto era l’obiettivo della riforma degli anni ’90, quando si contrattualizzò la dirigenza, distinguendo tra contratto di servizio a tempo indeterminato e contratto di incarico a termine e prevedendo altresì una nuova struttura della retribuzione, la rotazione degli incarichi a termine e creando il ruolo unico della dirigenza statale, secondo un modello di MBO.

L’attuale proposta di riforma cerca di fatto di riprendere lo spirito di quella del 1998 e di rafforzarlo, cercando di superare gli ostacoli che ne hanno impedito l’attuazione.

Le caratteristiche

L’attuale proposta trova applicazione nei confronti di una platea di oltre 25.000 dirigenti: statali, regionali e locali.

Innanzi tutto la novità più importante è la creazione di un “mercato” della dirigenza essenzialmente attraverso due istituti: la previsione di ruoli unici, già nota al nostro ordinamento, e la durata degli incarichi a termine senza il favor per la riconferma e attraverso la previsione di bandi pubblici per il conferimento degli incarichi. Ciò, secondo gli intenti del Governo, per reintrodurre e favorire la rotazione degli incarichi e per affermare una selezione per merito. Sulle procedure di conferimento degli incarichi vigileranno le Commissioni per la dirigenza pubblica previste per i tre ruoli. Dette Commissioni sono composte da rappresentanti dei vertici delle amministrazioni statali e dal Presidente dell’Anac, e ciò crea qualche dubbio sulla capacità delle stesse di poter assolvere alla mole di lavoro per esse prevista dalla nuova normativa. Certamente le Commissioni dovranno garantire che la scelta dei dirigenti avvenga per criteri di merito e capacità e non di appartenenza o fedeltà politica. Un ruolo non secondario per la riuscita della riforma, diretto a contenere gli “animal spirits” della politica.

Il ruolo unico venne introdotto nel 1998 e funzionò per i dirigenti dei ministeri per circa due anni. Successivamente venne abolito dalla legge “Frattini” (legge 145/2002) per dare maggiore stabilità alla dirigenza. Effettivamente si passò da una situazione di precarietà ad un’altra di eccessiva rigidità, rafforzata dal fatto (nelle amministrazioni centrali) che il conferimento di incarico dirigenziale generale diveniva stabile dopo tre anni di incarico e quindi con la creazione di una prima fascia della dirigenza giuridica e non solo economica, come immaginata all’inizio. Uno strumento attualmente funzionante come i ruoli unici della dirigenza pensati dalla riforma è quello dell’albo dei segretari comunali e provinciali, al quale si ispira probabilmente il modello di riforma proposto dal Governo.

Per la prima volta, grazie ad una costante giurisprudenza costituzionale, una riforma della dirigenza non prevede la cessazione automatica degli incarichi all’entrata in vigore della stessa.

Con la riforma si prevede che gli incarichi dirigenziali sono sempre conferiti mediante procedura comparativa con avviso pubblico. Per quelli di vertice si prevede un ruolo delle Commissioni che selezionano una rosa di tre candidati. Così si interviene per “depoliticizzare” la procedura di conferimento di incarico.

I dirigenti che non conseguono un incarico rimangono senza incarico iscritti al ruolo unico. Essi hanno l’obbligo di partecipare nel corso ad almeno 5 procedure comparative ogni anno. Solo i dirigenti in disponibilità a seguito di valutazione negativa cessano dal servizio decorso un anno in disponibilità, per gli altri dirigenti troverebbero applicazione gli articoli 33 e 34 del d.lgs. 165/2001 sulla cd “mobilità collettiva”.

La qualifica della dirigenza è unica come previsto originariamente e viene meno quindi l’articolazione in due fasce giuridiche che si è affermata negli anni 2000. Alla prima fascia non si accedeva per concorso, ma con il decorrere di un periodo di anzianità in incarichi di uffici dirigenziali generali. Si prevede, come norma transitoria, una riserva per conferire incarichi ai dirigenti già di prima fascia appartenenti ai ruoli dell’amministrazione che conferisce l’incarico. Inoltre si conferma che al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l’articolo 2103 del codice civile. 

Il rapporto di lavoro segue l’incarico e pertanto nella sua carriera il dirigente avrà più datori di lavoro. Certamente dovranno essere veicolate e trasferite di volta in volta le informazioni su ferie, status disciplinare, requisiti onorabilità, incarichi esterni, conflitti di interesse, etc. Per questo il Dipartimento della funzione pubblica provvede alla tenuta e all’aggiornamento della banca dati del Sistema della dirigenza pubblica, che dovrà contenere l’indicazione degli uffici dirigenziali presso ciascuna delle amministrazioni statali, regionali e locali e dei relativi titolari nonché, per ciascun dirigente di ruolo, il curriculum vitae, la collocazione nella graduatoria di merito dei concorsi, il percorso professionale e gli esiti delle valutazioni.

La durata degli incarichi è rigida e cioè pari a 4 anni, con la possibilità per una volta di consentire un rinnovo breve di due anni. Per gli esterni la durata può essere anche inferiore. L’incarico viene conferito con provvedimento di natura datoriale al quale accede un contratto. L’unica novità riguarda i dirigenti generali per i quali si prevede un programma contenuto nel contratto individuale, per evidenziare il ruolo strategico e maggiormente connesso all’indirizzo politico. Vengono introdotte delle modifiche al trattamento economico, prevedendo per legge che la componente accessoria della retribuzione dirigenziale debba costituire almeno il 50% della retribuzione complessiva. Si rafforza l’indirizzo verso la cd. “pesatura” delle posizioni dirigenziali, poco presente soprattutto presso le amministrazioni centrali, attraverso la previsione di un decreto ministeriale per i ministeri.

Si rafforzano gli strumenti gestionali in capo ai dirigenti per remunerare il personale più meritevole assegnato, attraverso un vincolo per la contrattazione di destinare almeno il 2% della retribuzione a non più di un decimo dei dipendenti.

Importante, inoltre, aver previsto obblighi di formazione e il coinvolgimento dei dirigenti nella formazione a cascata. Strumenti presenti in molti altri ordinamenti europei.

Le procedure per l’accesso vengono nuovamente modificate, così come viene prevista la riforma della Scuola nazionale della PA che viene trasformata in Agenzia. Alla base si prevede un forte ruolo della Scuola che però dovrà essere svolto, come sempre, senza “oneri aggiuntivi”. Il potenziamento della SNA non passa solo da leggi, ma da un rafforzamento del capitale umano e dello staff tecnico. Saprà la SNA rispondere a questa sfida?

Centrale sarà inoltre il ruolo del Dipartimento della funzione pubblica, che soprattutto a livello di reclutamento dovrà mappare le posizioni dirigenziali e le programmazioni triennali dei fabbisogni di tutte le amministrazioni. Una mappatura importante che potrebbe mettere ordine al caos e alle duplicazioni di funzioni se svolta in maniera incisiva e non formale.

L’applicazione del corso concorso e del concorso secondo criteri nazionali a regioni ed enti locali dovrebbe migliorare la qualità del reclutamento soprattutto nelle amministrazioni del sud. Così anche la formazione obbligatoria per un anno dopo il concorso e la previsione di una conferma dopo una iniziale assunzione a tempo determinato.

Per regioni ed enti locali si dovranno attendere le intese in conferenza unificata, ricordando comunque che nella legge di riforma costituzionale sono competenza dello Stato le norme “sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l’uniformità sul territorio nazionale”.

In attuazione della delega viene superata la figura dei segretari comunali, i quali confluiscono nel Ruolo dei dirigenti locali.

 

Prime considerazioni e alcuni pericoli

Alcune preoccupazioni emergono e riguardano l’applicazione della nuova normativa, che è il campo di battaglia e di prova di ogni riforma.

La prima attiene la copertura amministrativa e gestionale della riforma. Le clausole imposte dal Ministero dell’economia e delle finanze sull’invarianza degli oneri, in questo caso non costituiscono un esempio di risparmio, ma ancora una volta una mancata copertura volta a compromettere una riforma. Sia il Dipartimento della funzione pubblica sia la Scuola superiore richiedono un rafforzamento importante per far fronte alle nuove competenze. Lo stesso dicasi per le Commissioni per la dirigenza, le quali per funzionare avranno bisogno non solo della partecipazione di figure rappresentative, ma anche di esperti che dedichino tempo e competenze.

E’ il solito vizio italiano le “riforme” sono fissate da leggi e si esauriscono nelle stesse leggi e non diventano mai piani, con risorse assegnate e obiettivi di efficienza ed efficacia. E’ uno degli effetti collaterali nell’essere un paese di civil law.

Per evitare che un mercato della dirigenza, obiettivo della riforma, non generi un sistema di precarietà e indebolisca ulteriormente la dirigenza, occorrerà un ruolo incisivo delle Commissioni, nella predisposizione di criteri puntuali e nell’assicurare la trasparenza e correttezza delle procedure selettive. Il rischio di un’ulteriore politicizzazione della dirigenza c’è ed è su questo che occorre lavorare.

L’altro aspetto riguarda i tempi di entrata in vigore a regime della riforma, che richiederanno, tra entrata in vigore del decreto, regolamento, istituzione della Commissione, intese e criteri di conferimento, almeno due anni.

Con le difficoltà a rinnovare i contratti collettivi, inoltre, non sarà facile adeguare il quadro contrattuale sulla retribuzione e l’omogenizzazione delle retribuzioni previsti dallo schema di decreto.

Poco spazio viene destinato al dialogo con il mondo privato, anche se viene incrementato il periodo di aspettativa da 5 a 10 anni per i dirigenti che vogliono operare nel privato.

Si è trascurato, infine, il ruolo che deve essere svolto dagli organi di indirizzo politico con l’attività di programmazione e valutazione e che costituisce un pilastro centrale per lagovernance delle amministrazioni. Obiettivi generici, irrilevanti o fissati in ritardo determinano a monte il fallimento dell’azione amministrativa.

Infine, la riforma della dirigenza ha come obiettivo quello di migliorare la guida della “macchina” amministrativa. Ma la macchina amministrativa avrà bisogno anche di strade certe e mappe chiare, attraverso un ridisegno dello Stato, e un rafforzamento della struttura, con migliori e più qualificate competenze. Come nelle automobili, infine, anche per le macchine amministrative vi è spazio per rottamazione, la sharing economy e per le nuove tecnologie. Su questo troppo c’è ancora da fare.

Oltre a ridisegnare la dirigenza delle amministrazioni, in altre parole occorre reinventare le amministrazioni.

 

Francesco Verbaro

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