27/08/2016 – Certo che siamo proprio una categoria strana.

Certo che siamo proprio una categoria strana.

Giorni e notti a scervellarsi su come “risolvere problemi” al politico carnefice di turno, pur di salvare lo stipendio oppure, a seconda delle inclinazioni, anche solo per il gusto di compiacere il Sire.

E il nostro “risolvere problemi”, quell’attività che piace tanto ad inetti sottosegretari-zerbini che non amano i concorsi, si traduce spesso in contorsionismi linguistico-giuridici, in spericolate operazioni ermeneutiche, in arditi sofismi, spesso attaccati solo con un esile filo al sentiero della legalità e talvolta neanche quello.

In generale, menti raffinate, professionalità cristalline. Eppure, quando si tratta di difendere gli interessi di categoria, sembra che scatti una corsa a chi sbraca prima: l’acume è tutto dirottato a rammendare, minimizzare, giustificare le peggiori nefandezze di chiunque abbia deciso di farci del male, del nostro boia di giornata, possibilmente prospettando che l’alternativa (per definizione, l’unica diversa opzione possibile) sarebbe stata ancora peggio.

Questo atteggiamento fatalista, panciafichista, apparentemente autolesionista, talvolta emerge prepotentemente anche in questo sito.

Quello di exit strategy sembrava un concetto chiaro: dare la possibilità di accontentare chi non volesse sottostare al nuovo status che percepiva come peggiorativo rispetto al precedente.

Ma no, si è battuta la grancassa da più parti: 3200 dirigenti lo Stato non li può proprio riassorbire.

Ecco: “loro” creano il problema e “noi” subito a trovare la giustificazione, a evitare polemiche, a scantonare (mi si perdoni il gioco di parole), a ribadire che non può esserci una soluzione migliore.

Era stato lo stesso poco prima: siamo “responsabili anticorruzione”? Bene, festeggiamo! Hanno bisogno di noi, che bello, siamo vivi, sì, siamo un tantino incompatibili, sì, ci dotano di una pistola ad acqua, è vero, il funzionario anticorruzione non serve a una beata mazza e, sì, rischiamo pesantemente non volute operazione speculative a danno delle nostre venerabili terga: però che bello, siamo utili, serviamo; e la serva serve.

Ma d’altronde, chi si era mai preoccupato di – non dico demolire ma – ridiscutere alcuni stereotipi, che so, “il segretario comunale è spesa di personale dell’Ente locale”,  che inequivocabilmente lasciavano presagire tempesta? Guai, non disturbare il manovratore, addolcire, suffragare, smussare i toni. I sindacalisti gialli dettavano la linea e la maggioranza silenziosa dietro, Franza o Spagna purché se magna.

Oggi i giochi sono fatti e il risultato dice chiaramente che siamo stati spazzati via.

I dubbi no.

Chissà perchè l’exit strategy, intesa come complesso di misure volte al riassorbimento di – mediamente – preparati, fidati e versatili (i più versatili!) servitori dello Stato nella PA era impraticabile.

Chissà perchè proprio tutti e 3200 i segretari se ne sarebbero andati dagli enti locali.

Chissà perchè tra tutti questi segretari uscenti non se sarebbero trovati alcuni da prepensionare o accontentare in altro modo, anche ridisegnando la loro permanenza negli enti locali in altro e più proficuo modo.

Chissà perchè la richiesta di un’opzione da parte degli interessati, cioè quello che è stato fatto in tutti gli altri casi di trasformazioni così epocali e anche nel 1997 proprio nel caso degli stessi segretari, stavolta era impossibile.

Chissà perché non era possibile garantire un congruo periodo di “apicalità” solo ai segretari.

Chissà perchè quella “specialità” che hanno riconosciuto per legge ai “dirigenti dell’agenzia delle entrate” (sic) e che consente di evitare la previa mobilità per quegli incarichi non vale per noi.

Chiassà perchè nessuno di quelli che pretendevano di rappresentarci ha mai prospettato nulla di quanto sopra: al governo e al mondo.

Soprattutto, chissà perchè, se il problema lo hanno creato “loro”, ce lo dobbiamo risolvere “noi”.

Anzi, “io”, “tu” e “tu”. Perchè continuiamo a pensare a noi non come categoria (ormai, di reduci) ma come delle monadi. Perchè i nostri rappresentanti sindacali gialli ci hanno supportato e alimentato in questo delirio solipsistico, per i loro intrallazzoni e intrallazzucci nel retrobottega. Perché li abbiamo seguiti nel tempo, nel coltivare il nostro orticello anche al limite del lecito, e continuiamo e continueremo a pensare che, in fondo, “io speriamo che me la cavo” e pazienza se qualcuno non ce la farà.

Continueranno ad esserci, per intenderci, quelli che non vedono l’ora di fregare qualche comune al collega; quelli che al corso Spes si lamentavano (meschinamente, senza dare troppo nell’occhio) dei colleghi che erano lì perchè avevano ottenuto dal giudice la demolizione di un bando ai limiti del deliquenziale.

Ma “io speriamo che me la cavo” lo ripeteranno anche di fronte all’evidenza quelli di noi che, anche fra breve, non troveranno un impiego? Diranno che è colpa di chi prospettava la exit strategy o malediranno di non avere avuto la conoscenza giusta al momento giusto?

La categoria nel suo complesso merita tutto questo. Per l’ignavia con cui ha accolto il triste destino e la pervicace e perversa ostinazione nel difendere l’indifendibile.

A quelli che cercano di essere non dico padroni, ma almeno di influenzare il proprio destino – che, beffardamente, li penalizzerà rispetto agli “io speriamo che me la cavo” – non resta che armarsi di medicine, pazienza, denaro e buoni avvocati, oltre a confidare che la dea bendata si manifesti sotto forma di un giudice intellettualmente onesto. Singolarmente, ahimé, comme d’habitude.

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