12/08/2016 – I rischi di un premierato assoluto

I rischi di un premierato assoluto

di Salvatore Sfrecola

 

Revisione costituzionale e riforma elettorale spianano la strada a quello che per i contestatori della riforma è un autentico “mostro giuridico” che travolge i principi supremi della Costituzione e della democrazia parlamentare. “In effetti l’impostazione di fondo che c’è dietro questo progetto di grande riforma (comprensivo della riforma elettorale) – ha detto il Professore Domenico Gallo nella sua introduzione all’atto della presentazione del Comitato per il NO -, non è quello della revisione della Costituzione, ma del suo superamento, cioè dell’abbandono del progetto di democrazia costituzionale prefigurato dai padri costituenti per entrare in un nuovo territorio, dove le decisioni sono più “semplici”, perché, per legge, il governo è attribuito ad un unico partito, sciolto dagli impacci di dover mediare con partiti e partitini di una coalizione; dove il Parlamento è ridotto ad un’unica Camera (che legifera e dà la fiducia, mentre l’altra Camera, il Senato, ha un ruolo sostanzialmente decorativo), sottoposta ad un ferreo controllo da parte del Governo del partito unico, al quale la legge elettorale garantisce una maggioranza assicurata e la riforma costituzionale garantisce il controllo dell’agenda dei lavori parlamentari, dove le istituzioni di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte costituzionale) sono deboli e non possono interferire con l’esercizio dei poteri di governo che, invece, sono “forti””.

Aggiungendo di ritenere “sempre valide le considerazioni di Raniero La Valle in occasione della riforma Berlusconi del 2005: “Cadute le linee di difesa del patto costituzionale, venuti meno i pastori posti a presidio dei cittadini, il popolo rimane ora l’ultimo depositario della legittimità costituzionale e l’ultima risorsa, l’ultima istanza in grado di salvare la democrazia rappresentativa nel nostro paese. Esso non dovrà semplicemente “difendere” la Costituzione del 48, ma dovrà instaurarla di nuovo. Non dovrà solo sottrarla all’oscuramento cui oggi è condannata, ma riscoprirla ed illuminarla come mai ha fatto finora”.

Le considerazioni ulteriori sono molto dure: “solamente la cancellazione della memoria può consentire di far passare come innovazione delle riforme istituzionali che tendono a restaurare forme di potere autocratico superate dalla storia. Soltanto attraverso la cancellazione della memoria si può far passare per innovativa una legge elettorale che restaura gli stessi meccanismi manipolatori della legge Acerbo”. Per chi ha studiato poco la storia o ha scarsa memoria il riferimento è alla legge che consentì a Mussolini di dilagare nelle elezioni alla Camera dei deputati nel 1924.

È la preoccupazione di Gustavo Zagrebelsky. Per il presidente emerito della Corte costituzionale, uno dei massimi giuristi del diritto pubblico, la riforma del Senato sommata all’Italicum (legge elettorale della Camera) “realizza il sogno di ogni oligarchia: umiliare la politica a favore delle tecnocrazie” (Il mio No per evitare una democrazia svuotataLa Repubblica, 19 gennaio 2016).

L’Italicum, infatti, aggiunge all’azzeramento della rappresentatività del Senato e al centralismo che depotenzia il pluralismo istituzionale, l’indebolimento radicale della rappresentatività della Camera dei deputati. In particolare, il premio di maggioranza alla singola lista consegna la Camera nelle mani del leader del partito vincente — anche con pochi voti (minoranza dell’elettorato e ancor più minoranza in relazione agli aventi diritto al voto) — nella competizione elettorale, secondo il modello dell’“uomo solo al comando”, come indicato nel dibattito politico giornalistico. Ne derivano effetti collaterali negativi anche per il sistema di checks and balances. Ne risente infatti l’elezione del Capo dello Stato, dei componenti della Corte costituzionale, del Consiglio Superiore della Magistratura. E ne esce indebolita la stessa Costituzione. Il sistema complessivo dei bilanciamenti, ovvero di quei pesi e contrappesi necessari per garantire l’equilibrio politico istituzionale tra poteri, e tra le diverse forze politiche in campo, è ordinato a piena garanzia del popolo sovrano. In sostanza un rischio evidente per la democrazia, un cambiamento surrettizio della forma di governo che rapidamente porterebbe ad una sorta di “Premierato assoluto” denunciato senza mezzi termini di Michele Ainis (Nella riforma di Renzi c’è un pericolo nascostoL’Espresso, 5 ottobre 2015). Un modello che, come sottolineato da molti osservatori, potrebbe avere effetti preoccupanti. In proposito vale la pena di sottolineare che, nella sentenza che ha giudicato illegittima la legge elettorale, la Corte costituzionale ha chiaramente sottolineato che le ragioni della governabilità non devono comunque prevalere su quelle della rappresentatività. In particolare, il fatto che il nuovo sistema conceda il premio di maggioranza ad una sola lista, e che la Camera, con i suoi 630 deputati, possa senza difficoltà decidere, a maggioranza, in merito a tutte o quasi tutte le cariche istituzionali. Per questo motivo, si sostiene, il Premier ha ridotto i senatori ma lasciato un numero abnorme di deputati, superiore a quelli di ogni altra democrazia occidentale, compresi gli Stati Uniti d’America che, con una popolazione di oltre 381 milioni di abitanti, hanno 435 deputati. Lì, secondo i critici, sta la prova della strumentalità della scelta “riformatrice”.

La nuova legge elettorale, inoltre, mantiene un numero rilevante di nominati dai partiti (i “capilista” almeno 100 deputati, ma potenzialmente di più) e garantisce un notevole premio in seggi ad una lista che al primo turno potrebbe aver ottenuto solamente il 30% (o meno) dei voti. Con il 30% al primo turno, una lista che si affermi al ballottaggio, può dunque avere ben 340 seggi, vale a dire il 54% del plenumdell’Assemblea di Montecitorio.

11 agosto 2016

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