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Uno smemorato giocatore d’azzardo a Palazzo Chigi

Sep 21, 2015

Nel corso del torrenziale intervento alla Direzione del Pd il premier Matteo Renzi, tra le innumerevoli lodi attribuite all’azione del suo governo, ha anche detto che la legge di Stabilità 2016, che si preannuncia “molto complicata” ma che “non metterà le mani in tasca agli italiani” (ma dove l’abbiamo già sentita, questa?), “riceve in eredità” il disinnesco delle clausole di salvaguardia. Certamente, ma nel senso che è Renzi che riceve in eredità da Renzi le clausole di salvaguardia. Pressoché tutte.

Si tratta di una forma assolutamente rudimentale di fact checking, non serve una laurea in astrofisica. Basta recuperare la legge di Stabilità dello scorso anno, la prima della fulgida Era Renziana. Quella della lotta senza quartiere all’austerità ed ai “burocrati di Bruxelles”, quella del “taglio delle tasse” attraverso gli 80 euro, ma anche quella che si è ipotecata il futuro stabilendo un aumento progressivo delle aliquote Iva.

Ebbene, ribadiamolo: il grosso delle clausole di salvaguardia con cui oggi Renzi lotta, e che di fatto stanno costringendo lui e Pier Carlo Padoan a trovare fantasiosi argomenti per varare una legge di Stabilità fortemente espansiva (a rigoroso deficit, s’intende), in grado di “coprire”, ma proprio in senso letterale, il buco creato lo scorso anno, sono state create da Matteo Renzi medesimo. L’unica clausola di salvaguardia non imputabile a Renzi è quella, introdotta dal governo di Enrico Letta, che prevedeva per il 2015 un taglio alle agevolazioni fiscali per 3 miliardi (destinati a divenire 4 miliardi nel 2016 e 7 nel 2017) in caso di mancata “razionalizzazione della spesa”. Dal che si evince quanto Letta fosse prudente, o specularmente quanto Renzi sia giocatore d’azzardo.

A Renzi si deve una clausola di salvaguardia che prevede, nel triennio 2016-2018, l’aumento progressivo delle aliquote Iva dal 10 al 13% per la intermedia e dal 22 al 25,5% per quella ordinaria, con un aumento di gettito da imposte indirette che la Nota di aggiornamento al DEF dello scorso anno quantificava in “12,4 miliardi nel 2016, di 17,8 nel 2017 e di 21,4 miliardi nel 2018”. Vista la debordante tendenza del premier ad incolpare di ogni nequizie i suoi predecessori, è utile che i nostri occhiuti e vigili giornalisti ricordino questo “dettaglio”. Nel 2015 Renzi è andato all-in coi conti pubblici, e nel 2016 cercherà di farsi fare credito dalla direzione della casa da gioco, mentre sprona gli italiani a non aver paura, e spendere quei maledetti soldi che tengono nei depositi bancari. Il tentativo di buttare la palla (ed il dissesto) in tribuna appare sempre più evidente.

 

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