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Centralizzazione degli appalti: misura populistica ed antieconomica

Da molto tempo chi scrive (vedi da ultimo il n. 36 di La Settimana degli Enti Locali) sostiene la tesi della scarsissima utilità, ai fini della revisione della spesa pubblica, della centralizzazione degli acquisti.

Si tratta di un’idea focalizzata soprattutto dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, così “facile” e “populistica” da aver fatto presto breccia nella considerazione popolare e dei media.

E’ bastato, infatti, fornire pochi comprensibili argomenti: a) le centrali di spesa sono 35.000, troppe, occorre ridurle per “semplificare”; b) si creano “economie di scala”; c) si riduce la corruzione.

Le affermazioni sono suggestive e fascinose. Peccato che andrebbero supportate con analisi ricognitive molto più precise sul piano numerico. Perché ancora manca qualsiasi studio tecnico capace di supportare la tesi, data per dogma, secondo la quale gli acquisti dalle centrali di committenza, come la Consip, siano più convenienti.

Il dogma, per solito, porta con sé l’esempio trito della famosa siringa che costerebbe 4 euro a Reggio Calabria ed 1 solo euro a Milano, frutto, ovviamente, della sola vulgata, ma mai dimostrato in atti.

Sta di fatto, comunque, che la centralizzazione, pur invocata e brandita, non ci sarà mai, né davvero né al completo. Infatti, l’Anac ha accertato che non potranno essere oggetto di centralizzazione degli appalti quelli non soggetti all’applicazione completa del codice dei contratti, ovvero quelli elencati all’allegato IIB, mentre la normativa che confusamente va delineandosi anche nel ddl di stabilità evidenzia la sottrazione alle centrali degli appalti sotto i 40.000 euro, così come appare chiaro che saranno centralizzati prevalentemente solo gli appalti di valore superiore alla soglia comunitaria.

Dunque, al di là dei proclami, la normativa si va orientando nella direzione di riservare alle centrali di committenza solo una parte, e nemmeno quella maggioritaria, delle procedure di gara.

Ciò testimonia indirettamente come la strada indicata sia tutt’altro che l’unica e comunque davvero in grado di far conseguire maggiori risparmi o efficienza.

Comincia ad accorgersene, finalmente, anche il mondo dell’economia. Sul sito lavoce.info l’economista Gustavo Piga nell’articolo “Costano cari gli acquisti centralizzati” entra pienamente nel dibattito, evidenziando molteplici punti di debolezza dell’impianto dogmatico costruito da Cottarelli in poi.

L’economista sostiene che per effetto della “maggiore centralizzazione la dimensione delle gare d’appalto crescerà ulteriormente (basta ricordare, come ha fatto Raffaele Cantone, che la dimensione media dei lotti in Italia è salita dal 2011 al 2014 del 33 per cento, da 600mila a 800mila euro), rendendo ancora più difficile la vita a micro, piccole e medie imprese che dalla domanda pubblica dovrebbero invece ottenere quelle commesse che rappresentano ossigeno e occasione di crescita dimensionale”. E questo, in un quadro nel quale, invece, la Commissione Ue chiede di garantire spazi per le piccole e medie imprese.

In secondo luogo, il Piga evidenzia che “la legge scoraggia le migliori stazioni appaltanti dal darsi da fare per spuntare buone condizioni di prezzo. Leggere per credere: le amministrazioni pubbliche locali più virtuose che riescono a fare meglio di Consip (magari perché più vicine alle imprese e quindi con minori costi di trasporto o magari perché più competenti della pur brava Consip su una specifica merceologia) saranno obbligate a comprare ai più alti prezzi Consip.

Il paradosso è ancora più clamoroso se si pensa che ci apprestiamo ad approvare una nuova direttiva europea sugli appalti tutta basata sulla fiducia e la maggiore discrezionalità delle stazioni appaltanti. Il disegno di legge di stabilità invece di assicurarsi che le peggiori imparino a comprare bene, si preoccupa che le migliori non comprino a prezzi più bassi. Altro che fiducia e discrezionalità…”.

Questo passaggio appare centrale. A differenza di quanto viene continuamente propagandato, non è per niente vero che gli acquisti tramite Consip siano più convenienti. Come può dimostrare chiunque materialmente si occupi di appalti, accade regolarmente che se si pongono a base di gara i prezzi delle convenzioni (pochissime, troppo poche) gestite dalla società del Mef, si ottengono ribassi cospicui.

La centralizzazione rischia di creare situazioni di monopolio, riducendo i competitori del mercato, consentendo di mettere sotto controllo gli approvvigionamenti della PA da parte di pochissimi soggetti, che ovviamente saranno spinti a “fare i prezzi” ed assoggettare il mercato alle proprie esigenze. Le famose “economie di scala” in questo modo si vanno letteralmente a far benedire.

Si ribatterà che tuttavia la centralizzazione degli appalti serve per migliorare la programmazione e la trasparenza degli acquisti, semplificando le procedure grazie alla riduzione dell’eccesso di soggetti operanti come committenti.

Sempre il Piga dimostra che è possibile giungere al risultato della semplificazione delle procedure di gara ed al beneficio del controllo del rispetto dei parametri di prezzo in modo del tutto differente, molto più semplice ed agevole “come avviene in Corea del Sud, dove la centralizzazione non riguarda le gare, ma l’informazione: le stazioni appaltanti rimangono infatti autonome, le piccole imprese hanno i loro appalti riservati, ma il primo ministro ha la possibilità di controllare in tempo reale se vi sono sprechi, dato che tutte le gare si svolgono sulla stessa piattaforma on-line”.

E’ l’uovo di Colmbo. Espropriare le singole amministrazioni dell’autonomia di gestire gli approvvigionamenti non ha senso. E’ proprio per questo che la centralizzazione che si ha in mente di realizzare sarebbe comunque molto parziale: le centrali uniche non avrebbero nemmeno lontanamente la possibilità di soddisfare le richieste di approvvigionamento (la spesa pubblica per questi scopi ammonta a circa 130 miliardi) in tempo.

Occorre seguire un’altra strada, utilizzando due strumenti. Il primo, lo si predica da una vita, senza costrutto: è quello della pubblicazione di “prezzi di riferimento”. Un soggetto come la Consip può essere utilissimo se stipula convenzioni, sia allo scopo di permettere alle amministrazioni di accedere a quegli approvvigionamenti senza sforzi procedurali, sia allo scopo di fornire appunto basi di gara come parametro. L’Anac ha il compito a sua volta di pubblicare i prezzi di riferimento da utilizzare per gli appalti, ma fin qui si è limitata al costo della carta in risme.

Il secondo fondamentale strumento da utilizzare è quello del controllo. Non occorre che alle amministrazioni appaltanti si sostituiscano poche centrali uniche. Al contrario, bastano pochi servizi amministrativi, alle dipendenze funzionali dell’Anac, che controllino che ciascun bando e capitolato sia stato redatto tenendo conto, nel porre la base di gara, dei prezzi di riferimento e delle convenzioni esistenti, prima che le gare siano avviate. E se si stabilisse, come in Corea, di utilizzare un’unica piattaforma informatica nella quale gestire gli appalti, tutto risulterebbe trasparente ed agevole da controllare.

Basterebbe un investimento serio nell’informatizzazione, anche per fare piazza pulita della follia dell’AvcPass.

Ma, il ddl di stabilità proprio nell’ambito della spesa per informatizzazione e digitalizzazione nella PA intende imporre una riduzione della spesa pari al 50%. Testimonianza che la strada per razionalizzare gli appalti e la spesa che si è deciso di intraprendere è profondamente sbagliata.

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