20.03.2015 dal sito quotidianoentilocali.sole24ore

La pronuncia era una di quelle più attese da tutti: amministrazioni pubbliche, dirigenti, operatori del diritto, amministratori e, non da ultimi, contribuenti. Puntuale, con la sentenza 37/2015 della Corte costituzionale (su cui si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 18 marzo) è arrivata una bocciatura che era già nell’aria all’indomani dell’approvazione della norma travolta dalla scure costituzionale (art. 8, comma 24, del DL n. 16/2012); una norma che, tentando di arginare una fisiologica carenza di dirigenti nell’amministrazione finanziaria, consentiva, obliterando qualche notorio principio costituzionale, l’affidamento di incarichi dirigenziali a propri funzionari in assenza di procedure concorsuali o, comunque, selettive, pur in attesa di ricoprire i posti dirigenziali vacanti a seguito di procedure concorsuali che, per la cronaca, non si sono a tutt’oggi ancora concluse.

 

Il principio 

L’attacco della sentenza è di quelli che non lasciano scampo, non solo per l’amministrazione finanziaria, diretta destinataria, ma per tutte le amministrazioni pubbliche che d’ora in poi non potranno mai più sottrarsi all’applicazione di questo principio. La pronuncia non lascia alibi: «Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio». Anche il passaggio a una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso». La massima appare delle più scontate se si ha riguardo a uno dei principi cardine del sistema pubblico consacrato nell’articolo 97 della Costituzione, laddove si proclama la trasparenza e l’imparzialità dell’azione pubblica.

 

La prassi 

Questa convinzione tende però a scemare se si osservano da vicino alcuni comportamenti ancora oggi abbastanza diffusi presso le amministrazioni pubbliche, come dimostra l’esperienza delle Agenzie fiscali oggi arenatasi sul dettato della Corte, amministrazioni i cui organi di governo non di rado non disdegnano di scegliere i “propri” dirigenti mediante meccanismi informati a un malinteso concetto di fiduciarietà personale del rapporto dirigenziale e non invece fondati sulla necessaria fiduciarietà professionale del rapporto stesso, la quale può essere rinvenuta e provata solamente utilizzando sistemi di selezione pubblici e comparati, per quella scelta del “migliore” che, ancora, rappresenta la difesa di valori che l’ordinamento civile riconosce e tutela. La decisione della Corte conferma che la tutela di tali valori appare irrinunciabile, anche di fronte ad esigenze primarie quali quella costituite dalla necessità di assicurare il normale funzionamento di un pezzo rilevante dell’apparato pubblico.

 

Le conseguenze 

Questa decisione non mancherà di produrre inevitabili effetti sui comportamenti e sugli strumenti ordinamentali interni di tutte le amministrazioni pubbliche, che d’ora in poi si troveranno costrette, laddove ancora ferme ai malintesi convincimenti della scelta discrezionale dei dirigenti, a rivedere al più presto norme regolamentari e condotte di scelta. Anche la scelta dei tempi di intervento non appare casuale e, certamente, non mancherà di suscitare attente riflessioni, dal momento che la decisione arriva al limitare di un’importante riforma della dirigenza pubblica che il Parlamento si appresta a varare mediante l’approvazione della legge-delega: resisterà il principio della selezione pubblica alla tentazione di una scelta discrezionale di una parte della dirigenza pubblica? Il monito della Consulta dovrà indurre ad attente meditazioni.

 

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto