08.07.2015 – Le cause e gli effetti delle malattie: proviamo a distinguere. E se ripartissimo dalle fondamenta?

Le cause e gli effetti delle malattie: proviamo a distinguere. E se ripartissimo dalle fondamenta?

 

Il “principio di separazione” costituisce il fondamento del nuovo diritto amministrativo, affermatosi a partire dai primi anni ’90 del secolo scorso.

In forza di tale principio, le competenze degli  organi politici sono (dovrebbero essere) nettamente separate da quelle degli organi burocratici, secondo una rigida ed invalicabile linea di demarcazione.

In realtà, si sa bene che l’amministrazione pubblica è un continuum in cui è velleitario, se non vano, distinguere in maniera “manichea” competenze e responsabilità.

Del resto, l’art. 95 della Costituzione è chiarissimo: “I Ministri sono responsabili ….. individualmente degli atti dei loro dicasteri”. Corrispondentemente l’art. 50 del TUEL, con formula solo apparentemente meno rigida, prevede: “Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell’amministrazione del comune e della provincia.” . Formula che viene però adeguatamente integrata nel comma successiva dalla seguente previsione: il sindaco sovrintende “al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti”.

La domanda sorge spontanea: come si può essere responsabili degli atti della propria amministrazione se una parte cospicua di essi sfugge al controllo del titolare dell’ufficio ed anzi ad esso è sottratta per principio?

Del principio di separazione si è fatto un uso sempre più spinto. Ne è esempio l’art. 14 del D.lgs. 29/1993 (poi trasfuso nel corrispondente art. 14 del D.lgs. 165), il quale nell’originaria stesura prevedeva ancora un significativo potere di “avocazione” da parte dell’organo politico riguardo “gli atti di competenza dirigenziale”. L’estremismo un po’ demagogico, patrocinato dalla magistratura, ha finito per escludere pressoché totalmente quella significativa valvola di sfogo.

Così abbiamo vertici politici formalmente chiamati a rispondere degli atti delle loro amministrazioni senza essere formalmente autorizzati ad intervenire su di essi. Anzi! In forza di letture talebane del “principio di separazione”, essi sono (sarebbero) totalmente esclusi da ogni possibile ingerenza rispetto a tali atti.

L’ultimo comma dell’art. 14 del vigente TUPI è un maestoso monumento all’ipocrisia ma anche la testimonianza di quanto involuto sia l’approccio ai problemi della PA.

Come scrive Foucault nel pensiero che campeggia nella home di questo forum: “ogni società ha il suo proprio ordine della verità, la sua politica generale della verità: essa accetta cioè determinati discorsi, che fa funzionare come veri”. Tale massima vale anche per il principio di separazione: un dogma, la cui rigida osservanza sta generando grande stress nella P.A. e sta alimentando la fame di spoil system che molti denunciano come inaccettabile.

Ma se di una malattia non si curano le cause è sterile ed anche ipocrita dolersi degli effetti.

Dal principio di separazione, come rigidamente inteso nella riflessione e nella pratica, discende l’esigenza – crescente –da parte della classe politica di infeudare la dirigenza, come conferma il contenuto del DDL 1577/3098.

Ossia la necessità di reductio ad unum, improvvidamente cancellata per via funzionale, cerca di trovare spuri surrogati dal punto di vista organizzativo.

Quindi se la dirigenza politica viene espropriata della sua funzione di sintesi apicale dell’amministrazione, essa viene tentata di riprendersi con la sinistra ciò che le viene sottratto dalla destra.

Il principio di separazione (specie se estremisticamente inteso, come spesso accade) è una sesquipedale sciocchezza che, contravviene ad un chiaro dettato costituzionale (art. 95 comma 2) ma che finisce soprattutto per alimentare le pulsioni più inquietanti. La domanda di spoil system e di assoggettamento diretto della dirigenza è un modo surrettizio per cercare di ovviare alle distorsioni oggettivamente indotte dal rigore del principio di separazione.

La politica cerca di riprendersi, in maniera impropria e quindi per altra via (tortuosa), ciò che impropriamente le è stato sottratto.

Restituiamo – al di là di ogni ipocrisia – quindi al vertice politico ciò che naturalmente gli spetta: il controllo funzionale sull’attività amministrativa dell’ente. Solo in questo modo si potrà disinnescare la voglia di “spoil system”; intorno al quale ovviamente crescono ulteriori male piante: dal clientelismo più becero all’asservimento della dirigenza.

Il principio di avocazione di ultima istanza, adeguatamente strutturato, può tornare a garantire al vertice politico quell’indispensabile ruolo di sintesi dell’Amministrazione che invece il principio di separazione gli nega.

Il sonno della ragione genera sempre mostri e, se aveva ragione Foucault nel breve periodo, alla lunga la Storia si prende le sue rivincite; spesso in maniera contorta e più dolorosa. Ah! Se solo riuscissimo a sconfiggere l’ipocrisia!

Se ci pensate bene questo sistema – quello fondatosi sul principio di separazione enfaticamente inteso – finisce per alimentare una doppia contraddizione con i principi della Carta costituzionale: dapprima con l’art. 95 ma ora anche con l’art. 98.

 

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