03.07.2015 – Cantone al Parlamento: «Piani anticorruzione troppo burocratici»

Cantone al Parlamento: «Piani anticorruzione troppo burocratici»

di Alberto Barbiero

 

I piani anticorruzione devono diventare strumenti fondamentali per la corretta gestione dei processi gestionali negli enti locali e nelle società partecipate. La relazione al Parlamento del presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (clicca qui per la sintesi) e la determinazione n. 8/2015 (su cui si veda anche Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 26 e del 29 giugno) sull’applicazione delle norme in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza nelle società controllate dalle amministrazioni territoriali evidenziano la necessità di un salto culturale, per pervenire a una maggiore efficacia dei piani nelle dinamiche organizzative.

Ottica burocratica

Nell’analisi sul primo ano di attività dell’Anac, il presidente Raffaele Cantone ha infatti evidenziato come le amministrazioni pubbliche abbiano rispettato l’obbligo di adozione e di pubblicazione del piano anticorruzione, rilevando tuttavia come dall’analisi dei documenti (ne sono stati vagliati circa 1300) emerga una scarsa qualità in termini di metodo, sostenibilità ed efficacia: risulta chiaro che moltissimi enti hanno inteso l’adozione del piano solo come adempimento burocratico. Nella relazione dell’Anac si evidenzia come le criticità derivino dalle notevoli differenze tra i soggetti tenuti ad adottare il piano, in termini sia organizzativi sia di competenze, con un esplicito riferimento alla scarsa preparazione, che non ha fatto comprendere l’importanza dell’adempimento.

Contenuti scarsi

In relazione ai profili contenutistici dei piani anticorruzione, l’Anac evidenzia vari problemi: dalla sostanziale assenza di un’analisi del contesto esterno in cui opera l’amministrazione, alla scarsa mappatura dei processi interni (solo nel 10% dei casi), passando per l’inadeguata propensione ad applicare metodi di ponderazione del rischio, sino alla bassa propensione a prevedere misure specifiche rispetto a quelle obbligatorie previste dal piano nazionale anticorruzione (peraltro molto generiche, quando definite). Dalla relazione del presidente dell’Anac e dalla determinazione n. 8/2015 (riferita alle società partecipate) emerge un dato molto critico: sia le amministrazioni sia gli organismi partecipati operano con una prospettiva di controllo ex post, non utilizzando, invece (salvo pochi casi), le più diffuse metodologie di audit nell’ambito dei processi gestionali.

Verso la semplificazione

Questo dato viene confermato dall’analisi dell’Anac, che evidenzia lo scarso utilizzo della rotazione (anche nelle amministrazioni medio-grandi), la limitata realizzazione della formazione obbligatoria e la previsione da parte di solo circa il 60% delle amministrazioni di misure per raccogliere le segnalazioni dei dipendenti sugli illeciti commessi. Il sistema del whistleblower stenta a decollare sia perché la tutela normativa non viene ritenuta efficace, sia per la scarsa propensione alla segnalazione (spesso concepita come “delazione”), mentre curiosamente risulta più efficace la segnalazione diretta all’Anac. L’Autorità tuttavia considera i piani anticorruzione come strumenti di notevole importanza, rispetto ai quali è necessaria un’adeguata sensibilizzazione delle amministrazioni, sostenuta anche mediante la semplificazione della struttura degli stessi piani.

Trasparenza

Più confortante risulta l’analisi dell’Anac sulla trasparenza, che ha rilevato nel complesso un livello di pubblicazione dei dati molto elevato e quasi prossimo alla totalità delle amministrazioni, con riferimento alla grande maggioranza degli obblighi previsti dalla legge. Tuttavia emerge dalle verifiche la scarsa attenzione alla qualità e alla completezza dei dati da parte di alcune pubbliche amministrazioni: rispettoa tale problema l’Autorità ritiene necessaria una sensibilizzazione verso le amministrazioni a non vivere l’adempimento come un obbligo formale-burocratico, ma come un dovere “civico” e di accountability.

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