15.06.2015 – Riforma Madia, dirigenza a rischio precarizzazione tra vecchi e nuovi errori

Riforma Madia, dirigenza a rischio precarizzazione tra vecchi e nuovi errori

di Gaetano Scognamiglio

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In un condivisibile commento al disegno di legge in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (AC 3098) pubblicato sul Quotidiano degli enti locali e della Pa del 3 giugno, Francesco Verbaro fra l’altro testualmente afferma: «L’obiettivo evidente (della riforma) è quello di generare un mercato della dirigenza ampio, nel quale la politica possa scegliere la dirigenza, riducendo le garanzie nei momenti delicati del conferimento, revoca e conferma dell’incarico e sulla durata dello stesso. Il rischio di “precarizzare” e indebolire una dirigenza già debole è evidente. Il problema della nostra dirigenza pubblica non è stato quello di essere resistente all’indirizzo politico, ma essersi caratterizzata per i troppi «sì» sbagliati, troppi mancati controlli e per la scarsa propensione al risultato. Si crea una dirigenza maggiormente rispondente all’indirizzo politico, ma probabilmente ancor meno autorevole».

Non si può che essere d’accordo, sottolineando che il progetto di riforma si muove su un sentiero già aperto dai precedenti interventi legislativi, che partono dall’errato presupposto dell’esistenza nel nostro Paese di una dirigenza potente e autoreferenziale da ridimensionare e precarizzare.

È invece proprio la mancanza di uno status autorevole che riduce molti a essere meri esecutori, abdicando al proprio ruolo: come è possibile, per fare un piccolo esempio, che siano state consentite da chi aveva il dovere di controllarle, tutte le cosiddette spese pazze di alcuni gruppi politici regionali, se non per condiscendenza verso la politica, non tanto come appartenenza di parte quanto come potere al quale non è possibile opporsi, perché quel potere ha gli strumenti per decidere su nomine, revoche e compensi?

La dirigenza locale 

Nel caso della dirigenza locale poi il problema è ancora più delicato perché nella Pubblica amministrazione locale il rapporto numerico fra politica e dirigenza vede crescere di molto il numeratore, rispetto alle amministrazioni statali, con una conseguente influenza politica più rilevante. Questa particolarità, insieme alle altre specifiche caratteristiche degli ordinamenti territoriali, dovrebbe fra l’altro far riflettere se non sia più realistico prendere atto – nei limiti consentiti dall’articolo 117 della Costituzione – delle diversità esistenti fra le varie tipologie di amministrazioni, così come fa l’ordinamento francese che distingue fra fp statale, fp territoriale e fp ospedaliera.

L’audizione della Corte dei conti 

In questo quadro il disegno di legge, con riferimento alla dirigenza, come è stato rilevato nei primi due punti del documento della Corte dei Conti rilasciato in occasione dell’ultima audizione sul Ddl di questo mese, lede l’effettiva autonomia e non tiene conto, per l’assegnazione degli incarichi, delle competenze specifiche degli interessati (pag. 10, doc. citato). 

La deprofessionalizzazione risulta particolarmente evidente nel caso dei segretari di Comuni e Province, di cui vengono disperse nel contenitore indifferenziato del ruolo unico le competenze professionali specialistiche acquisite sia sul campo sia – per le ultime leve – attraverso anni di formazione mirata a costruire la figura.

Siamo probabilmente alla conclusione di un ciclo inaugurato con la cosiddetta separazione fra politica e amministrazione (concetto peraltro male espresso e peggio declinato) sulla quale si tentò di costruire, a partire dagli anni novanta, specialmente per gli enti locali, una figura dirigenziale autonoma e competente, che superasse l’insostenibile leggerezza dell’essere dirigente, caratteristica del precedente ordinamento (1) , con l’aggravante rispetto al passato del rischio che sempre di più la politica decida e il dirigente ne risponda. Né l’autonomia può imporsi – come sta accadendo – con leggi e pronunce di magistratura ordinaria e contabile che sovraespongono sotto il profilo sanzionatorio la dirigenza, perché il naturale effetto non potrà che essere – come in effetti è – il rimpallo se non il blocco decisionale.

La legge sui controlli interni 

Beninteso la responsabilità dell’attuale situazione non può attribuirsi solo alla politica ma deve essere ripartita alla pari con una dirigenza, per quanto in sofferenza (2) , incapace di esprimersi in modo propositivo come corpo (salvo lodevoli eccezioni di carattere associativo) e impreparata e immatura per cogliere importanti occasioni di crescita e di responsabilizzazione, come quella offerta da quell’ottima legge che era la riforma dei controlli interni, il Dlgs 286/1999, che avrebbe potuto contribuire non poco a rendere trasparenti i processi decisionali delle amministrazioni, molto più di tutte le trasparenze, che inondano di dati ma che lasciano nell’ombra la dinamica sostanziale e le conseguenti responsabilità dei processi decisionali.

Fu da quel fallimento che nacque la riforma Brunetta, che contemporaneamente contribuì ad additare all’opinione pubblica la burocrazia indistintamente intesa come responsabile di tutti i disservizi e le complicazioni che devono sopportare cittadini e imprese.

Ma la burocrazia non è che lo specchio della legislazione, i comportamenti degli attori stanno a valle delle leggi. Di fronte a normative emergenziali che si susseguono da anni, come grida manzoniane, di fronte all’emblematica legge sui contratti pubblici modificata più di 280 volte dalla sua emanazione, di fronte a pareri contraddittori di autorità di controllo e di organi giurisdizionali, come si può sperare che a valle del caos normativo e interpretativo la burocrazia possa esprimersi con semplicità, efficienza e tempestività, specie se questa burocrazia dovesse un domani essere selezionata più per l’appartenenza politica che per la specifica professionalità?

Su questi punti è auspicabile una seria riflessione da parte del Legislatore, che tenga conto dei risultati raggiunti, anche sul piano della crescita dell’etica pubblica, con le precedenti riforme.

 

(1) Gaetano Scognamiglio e Roberto Serpieri, La nuova dirigenza degli Enti Locali, Editrice Cel per la collana editoriale dell’Anci, Bergamo, dicembre 1992, pag. 4.

(2) Come evidenziato nell’ultimo rapporto su La Pa vista da chi la dirige, quaderni Formez, n. 78, Roma, dicembre 2013.

 

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