28.01.2015 – Grandi riforme e comportamenti quotidiani nella PA. Riflessioni in margine a un caso di danno erariale

Per l’ennesima volta, dopo 21 anni, si parla di riforma del pubblico impiego

Grandi riforme e comportamenti quotidiani nella PA. Riflessioni in margine a un caso di danno erariale

di Alessandro Cacciari Magistrato

Alla fine dell’anno 2014 leggevo un’intervista dell’on. del Rio il quale, tra le altre cose, affermava che nell’anno 2015 sarà presentata una nuova legge di riforma del pubblico impiego. Nel 1993 fu emanata la prima legge sulla contrattualizzazione del pubblico impiego (Dlgs 3 febbraio 1993, n. 29) e da allora ne sono state emanate molte altre, al ritmo, credo, di almeno una all’anno. Dopo 21 anni sembra che questa riforma sia sempre al punto di partenza, come una eterna incompiuta. Interrogandomi sui motivi della situazione mi è caduto l’occhio su una recente sentenza della Corte dei conti riguardante la condanna per danno erariale di Sindaco, Giunta Comunale e due dirigenti di un’amministrazione ritenuta tra le più virtuose d’Italia. Si tratta della sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna 18 novembre 2014, n. 155. Non è dato sapere di quale Comune si tratti: la normativa sulla tutela della riservatezza ha infatti imposto ai giudici di omettere il nome del Comune e di indicare i condannati solo con le loro iniziali. Vero è che conoscendo la Sezione della Corte che ha emesso la sentenza e la data di quest’ultima, è sufficiente leggere le cronache locali regionali dei giorni successivi per individuare quale sia il Comune interessato, mentre sul sito del medesimo sono reperibili i nominativi di amministratori e dirigenti condannati. La riservatezza imposta dal Dlgs 30 giugno 2003, n. 196, ha quindi il sapore di un’involontaria comicità e il segreto rischia di essere quello di Pulcinella. Non intendo però violare questo segreto, pur facilmente aggirabile con una semplice connessione Internet.

La questione di fondo

Il Sindaco di questa ignota città, all’indomani della sua elezione, il 3 giugno 2011 con una lettera indirizzata alla dirigente del Dipartimento Organizzazione indica il nominativo delle persone che dovranno rivestire incarichi alle sue dirette dipendenze, tra le quali compare quella destinata ad assumere il ruolo di responsabile del Gabinetto. Fin qui tutto bene. L’art. 90 del Dlgs 18 agosto 2000, n. 267, consente espressamente la nomina fiduciaria dei diretti collaboratori del sindaco, pur con l’intermediazione del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi. Il fatto è che la lettera non indicava la categoria e il profilo professionale in cui il responsabile di gabinetto avrebbe dovuto essere inquadrato, e però ne quantificava dettagliatamente il compenso nella misura di â?¬ 45.000,00 annui. Non è dato sapere in base a quali criteri la somma sia stata calcolata (forse il nominando aveva contratto un mutuo di entità corrispondente?); il Sindaco sembra ignorare che esistono, in base alla legge ed alla contrattazione collettiva, precisi livelli di inquadramento del personale cui corrispondono altrettanti titoli di studio. La richiesta era quindi carente di elementi fondamentali per individuare la categoria e il profilo professionale in cui il nuovo Responsabile di gabinetto avrebbe dovuto essere inquadrato, e con essi il compenso che legittimamente avrebbe potuto essergli attribuito, a cominciare dal titolo di studio posseduto. Il nostro futuro Responsabile possedeva il diploma di ottico.

La dirigente del Dipartimento Organizzazione, ricevuta la missiva, lungi dal fare presente queste carenze al sindaco provvede invece ad individuare la categoria professionale per la quale è previsto un emolumento corrispondente alla sua richiesta: trattasi della categoria “D”, posizione economica “D1”, per l’accesso alla quale è previsto però il possesso del diploma di laurea e non di ottico.

La faccenda viene portata a conoscenza della Procura della Corte dei conti dagli esposti di due consiglieri comunali dell’opposizione, e il risultato è stata la condanna del sindaco, degli assessori che in giunta avevano votato la delibera di assunzione del Responsabile con il suo illecito inquadramento economico e dei dirigenti del Dipartimento Organizzazione e del Settore Personale alla rifusione del danno erariale cagionato. Quest’ultimo è stato quantificato nella differenza tra la retribuzione effettivamente percepita dal Nostro e quella che gli sarebbe invece spettata nella posizione professionale associabile al suo titolo di studio, ossia la categoria “B”.

Cosa c’entra questo con la riforma del pubblico impiego e della pubblica amministrazione?

Riassumiamo i fatti.

Un Sindaco appena eletto indica alla dirigenza competente il compenso che avrebbe dovuto essere attribuito al suo nominando Responsabile di gabinetto senza tenere in alcun conto i vincoli derivanti dalla legge e dalla contrazione collettiva, dimostrando così una tale noncuranza della normativa da domandarsi se la stessa fosse da lui conosciuta. Non so quale delle due ipotesi, la volontaria violazione della normativa o l’ignoranza della stessa, sia più preoccupante.

La dirigenza, lungi dal far notare queste problematiche al potere politico, accondiscende completamente ai suoi desiderata e invece di indicare la categoria professionale in cui legittimamente il nuovo Responsabile di gabinetto avrebbe potuto essere inquadrato, individua quella che corrisponde al compenso autonomamente determinato dal sindaco.

Nella vicenda il potere politico ha mostrato noncuranza e forse addirittura ignoranza della normativa in materia di pubblico impiego, mentre la dirigenza non ha evidenziato quella autonomia gestionale che costituisce uno degli assi portanti della riforma dell’impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni a partire dal Dlgs 29/1993. E si tratta, ripeto, di una delle amministrazioni che viene ritenuta tra le più virtuose nel territorio nazionale.

Conclusioni

Ecco quindi che quando sento parlare, per l’ennesima volta dopo 21 anni, di riforma del pubblico impiego mi assale un certo scetticismo: finché certi comportamenti sia da parte della politica, che da parte di dirigenti e funzionari, non verranno cambiati, non ci sarà alcuna legge che tenga. Concludo però con una nota di ottimismo, non di maniera. Mi capita di svolgere convegni e seminari di formazione per dipendenti pubblici, sia statali che di enti locali, e in quelle sedi ho constatato che col passare del tempo, le “nuove leve” assunte negli enti pubblici mostrano una grande preparazione e una forte consapevolezza del proprio ruolo. Allora la riforma del pubblico impiego, quella vera, forse non dipenderà dall’ennesimo decreto legislativo che sarà emanato da questo o quel governo ma da un ricambio generazionale, grazie al quale potranno essere eliminati comportamenti come quelli che ho descritto. Questo sembra che stia iniziando per quanto riguarda il lato gestionale dell’amministrazione, ovvero l’impiego pubblico; lascio ai lettori valutare se un processo altrettanto virtuoso si possa ravvisare nella politica

 

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