28.04.2015 – Le sanzioni per gli incarichi esterni svolti illegittimamente

Le sanzioni per gli incarichi esterni svolti illegittimamente

 

di Arturo Bianco

Ai dipendenti pubblici, a differenza di quelli privati, si applica il principio della esclusività della prestazione professionale. Per cui essi non possono svolgere altre attività lavorative, anche occasionali, sia per conto di Pubbliche Amministrazioni, sia per conto di privati. Questo divieto ha un carattere assoluto e non superabile per le attività che presentino rischi, anche potenziali, di conflitto di interessi con quelle svolte presso l’ente. Per il resto tale divieto conosce tre eccezioni: alcune attività che lo stesso legislatore consente, con una elencazione che ha carattere tassativo; i dipendenti pubblici in part time fino al 50% ed i dipendenti che sono stati autorizzati da parte della propria amministrazione. La violazione di questi vincoli determina la maturazione tanto di responsabilità disciplinare quanto di responsabilità amministrativa/contabile.

I PRINCIPI GENERALI

Il principio di carattere generale è costituito dalla applicazione della esclusività. Siamo in presenza di una disposizione consolidata, basta ricordare che essa era già contenuta nel DPR n. 3/1957, il cd testo unico delle leggi sull’impiego civile. Con le novità introdotte dalla legge n. 662/1996, cd finanziaria 1997, e nei DLgs n. 29/1993 e n. 165/2001, segnatamente dall’articolo 53, questo vincolo è stato rimarcato, nonostante la avvenuta privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. E sono state nel frattempo dettate 3 eccezioni. La prima riguarda un elenco di attività contenute nella citata disposizione: docenza, cessione del diritto d’autore, aggiornamento professionale di dipendenti pubblici, attività svolte per il sindacato etc. Siamo in presenza di attività che la sentenza della Corte dei Conti della Lombardia n. 54 del 16 aprile definisce “liberalizzate, ovvero liberamente esercitabili senza previa autorizzazione, in quanto espressive di basilari libertà costituzionali”. La seconda eccezione riguarda i dipendenti pubblici che sono in part time fino al 50%. La citata sentenza detta al riguardo una indicazione assai innovativa: anche lo svolgimento da parte di questi dipendenti di attività ulteriori deve essere previamente autorizzate da parte della propria amministrazione. La terza eccezione riguarda le attività che sono state autorizzate dall’ente. Occorre ricordare che le autorizzazioni ai dipendenti a tempo pieno o in part time per una frazione superiore al 50% non possono comunque consentire lo svolgimento di attività professionali e/o continuative, dovendo in ogni caso restare nell’ambito delle attività occasionali. Non possono comunque essere svolti gli incarichi che presentino una condizione, anche potenziale, di conflitto di interessi con le attività svolte per conto dell’ente.

LE SANZIONI DISCIPLINARI

Lo svolgimento di incarichi al di fuori degli ambiti consentiti da parte del legislatore determina la maturazione di responsabilità disciplinare. In questo senso vanno le disposizioni previste dall’articolo 53 del DLgs n. 165/2001. Nel codice disciplinare questa violazione non è oggetto di una specifica sanzione. Si applicano quindi i principi di carattere generale fissati dallo stesso: l’articolo 3, comma 1, del CCNL 11.4.2008 così li riassume: “a) intenzionalità del comportamento, grado di negligenza, imprudenza o imperizia dimostrate, tenuto conto anche della prevedibilità dell’evento; b) rilevanza degli obblighi violati; c) responsabilità connesse alla posizione di lavoro occupata dal dipendente; d) grado di danno o di pericolo causato all’ente, agli utenti o a terzi ovvero al disservizio determinatosi; e) sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti, con particolare riguardo al comportamento del lavoratore, ai precedenti disciplinari nell’ambito del biennio previsto dalla legge, al comportamento verso gli utenti; f) al concorso nella mancanza di più lavoratori in accordo tra di loro”. Si deve inoltre tenere conto della eventuale recidiva: in questo caso la sanzione deve essere aumentata.

LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA/CONTABILE

La citata sentenza n. 64 della Corte dei Conti della Lombardia fissa in modo molto preciso le regole che si devono applicare nei procedimenti aperti contro i dipendenti che hanno svolto incarichi senza autorizzazione.

In primo luogo, essa ricorda che la competenza spetta al giudice contabile, tanto più a seguito delle novità introdotte dalla legge n. 190/2012, cd anticorruzione, anche se questa norma non ha natura “innovativa, ma meramente ricognitiva di un pregresso prevalente indirizzo tendente a radicare in capo alla Corte dei Conti la giurisdizione in materia”.

La stessa sentenza chiarisce che non vengono violati i principi dettati né dall’articolo 36 della Costituzione, diritto ad un trattamento economico proporzionale alla attività, né dall’articolo 97, buon andamento delle attività amministrative. E non vengono violati neppure i principi della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo: “non vi è alcuna “ingiustificata ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto alla vita privata e familiare”; non vi è lesione alcuna del “rispetto del principio di legalità”; non vi è alcuna arbitrarietà dell’ingerenza dello Stato e giusto equilibrio tra gli interessi generali e la salvaguardia dei diritti dell’individuo“. 

Questa violazione va comunque considerata coma una colpa grave. In questa direzione spingono sia la considerazione del “chiaro precetto normativo”, sia la “limpida formulazione” 

Assumono una grande importanza le indicazioni sulla maturazione della prescrizione. Trattandosi di responsabilità amministrativa/contabile, essa è quinquennale, per come previsto dalla legge n. 20/1994. Il termine iniziale della prescrizione non matura in questo caso dal momento in cui il dipendente ha ricevuto il compenso in modo illegittimo, ma dal momento in cui ciò è stato scoperto. La sentenza arriva a questa conclusione, che di fatto amplia notevolmente l’arco temporale entro cui la sanzione può essere irrogata, anche nel caso in cui non vi sia stato un “doloso occultamento” da parte del dipendente stesso. Ad esempio, nel caso in cui il dipendente si sia limitato al silenzio con il proprio ente: “nella specie è applicabile la regola della decorrenza della prescrizione da quando il fatto dannoso diviene conoscibile secondo ordinari criteri di diligenza (c.d. conoscibilità obiettiva). In altre parole, pur non vertendosi in materia di doloso occultamento del danno da parte della convenuta, non riscontrandosi condotte maliziose tese a celare i proventi aliunde percepiti, appare ben evidente, alla luce del basilare parametro dell’art.2935 c.c., alla cui stregua va letto l’art. 1, co. 2 della legge 14.1.1994 n. 20 (“il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in 5 anni decorrenti dalla data in cui è stata realizzata la condotta produttiva del danno“), che la percepibilità, intesa come conoscibilità obiettiva e non certo soggettiva, ancorata cioè a possibili indolenti riscontri subiettivi tardivi del danno erariale arrecato dalla convenuta da parte dell’amministrazione danneggiata, va individuata nella data” della scoperta, cioè nel caso specifico “dall’ispezione svolta dalla Guardia di Finanza”.

Per la determinazione della sanzione, infine, viene detto che essa deve essere calcolata con riferimento “all’importo effettivamente entrato nella sfera patrimoniale del dipendente”, quindi con la esclusione della ritenuta d’acconto, ma non delle “tasse ulteriori eventualmente pagate dalla convenuta nel periodo 2003-207 a seguito degli introiti extralavorativi de quibus”. Ovviamente la Corte dei Conti può esercitare il potere riduttivo.

 

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