14.04.2015 – Per l’accesso al ruolo serve il corso-concorso

Per l’accesso al ruolo serve il corso-concorso

di Pasquale Monea e Marco Mordenti

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Le questioni sollevate dal progetto di riforma della Pa, di cui si discute in questi giorni in Senato, non sono solo finanziarie le questioni sollevate dal progetto di riforma. Il bilanciamento delle opposte esigenze di autonomia e fiduciarietà connesse alla scelta del segretario era già al centro della riforma Bassanini del 1997, che aveva previsto due fasi distinte: 

• Un corso-concorso selettivo ai fini dell’accesso all’albo nazionale; 

• Una scelta ampiamente discrezionale in capo a ciascun sindaco. 

È stato ripetutamente segnalato in questi anni il rischio di “asservimento” legato a un utilizzo distorto degli spazi di flessibilità concessi al vertice politico, e lo stesso Franco Bassanini ha affermato che la temporaneità degli incarichi deve essere correlata alla performance, in modo da renderla meno permeabile alle vicende della politica. Si pone quindi l’esigenza di rafforzare le garanzie per chi è chiamato a svolgere il ruolo apicale.

La scelta del nuovo dirigente apicale 

L’obiettivo dichiarato della riforma è quello di individuare un equilibrio più avanzato tra fiduciarietà e autonomia, in modo da favorire una piena assunzione delle responsabilità legate al ruolo apicale, con riferimento sia alle funzioni di coordinamento sia a quelle in chiave anticorruzione che appaiono ogni giorno sempre più indispensabili. In questa ottica il disegno di legge 1577 abolisce la figura esistente e il relativo albo, ampliando i margini di scelta del nuovo dirigente apicale all’interno del ruolo unico (o meglio dei tre ruoli, come si evince dall’articolo 9, comma 1, lettera b), n. 4); è del tutto evidente che se a questa previsione non si accompagnerà l’introduzione di una compiuta disciplina che valorizzi merito e professionalità quali presupposti fondamentali per il conferimento dell’incarico, si potrà determinare un grave arretramento sotto il profilo della qualità e dell’autonomia della figura apicale, a scapito di legalità ed efficienza. Nel testo non vi sono prescrizioni specifiche sulle modalità di scelta del dirigente apicale, ma emerge la volontà di mantenere il sistema fondato su una “doppia selezione”, la prima concorsuale (articolo 9, comma 1, lettera c), la seconda politica (comma 1, lettera f).

La fase concorsuale 

Il primo aspetto da precisare, nella legge delega, è che l’accesso alla dirigenza apicale richiede l’organizzazione di un corso-concorso da parte della Scuola nazionale dell’amministrazione, secondo il modello francese dell’Ecole nationale d’administration. Una scarsa chiarezza su quest’aspetto finirebbe per lasciare il dubbio che ogni singolo ente possa autonomamente bandire e realizzare un concorso in completa autonomia, facendo perdere del tutto quella situazione di terzietà e di garanzia necessaria per il buon funzionamento del sistema. Con il corso-concorso nazionale si potrà garantire un’adeguata dotazione rispetto ai fabbisogni degli enti, sotto il profilo quantitativo e qualitativo; in particolare, si potranno organizzare procedure selettive efficaci ed omogenee, in grado di individuare le migliori professionalità disponibili sul territorio. È consdivisibile la possibilità di avvalersi delle migliori istituzioni di formazione, in modo da giovarsi delle eccellenze esistenti in campo sia giuridico che manageriale.

Il profilo professionale 

Per ciascun incarico dirigenziale dovranno essere definiti i requisiti necessari in termini di competenze ed esperienze professionali, tenendo conto della complessità, delle responsabilità organizzative e delle risorse umane e strumentali (articolo 9, comma 1, lettera f). Questa previsione generica merita qualche riga aggiuntiva per la figura apicale. Occorre definire nella legge delega – se non una sezione speciale all’interno del ruolo unico (prevista peraltro per casistiche analoghe all’interno del ruolo statale) – uno specifico profilo professionale, da utilizzare già in fase di corso-concorso, in modo da individuare i soggetti in possesso di competenze multidisciplinari adeguate rispetto all’incarico di direzione apicale, sotto il profilo giuridico e gestionale (lo stesso articolo 97 della Costituzione vieta di assegnare la titolarità di uffici pubblici a dirigenti potenzialmente sprovvisti di adeguate capacità). Del resto la stessa esigenza si pone anche per altri profili dirigenziali, laddove siano richieste competenze non fungibili, come ha sottolineato per esempio il vicepresidente Anci Umberto Di Primio (sindaco di Chieti) secondo cui «i ruoli stessi dovranno essere articolati in più profili professionali, per tenere conto da un lato della specificità delle funzioni svolte, e dall’altro della complessità organizzativa dei diversi enti».

L’affidamento dell’incarico 

Gli incarichi dirigenziali sono attribuiti dal Sindaco per tre anni rinnovabili, con facoltà di rinnovo degli incarichi senza procedura selettiva per una sola volta (articolo 9, comma 1, lettera g). Si potrebbe disporre la possibilità di prorogare tutti gli incarichi alla dirigenza locale fino a fine mandato, per evidenti ragioni di continuità amministrativa; al tempo stesso la proroga potrebbe rendere un po’ meno gravoso il percorso lavorativo di questa categoria, particolarmente esposta alle difficoltà di varia natura legate ai frequenti trasferimenti, rendendola più autonoma e motivata. Il conferimento degli incarichi avviene mediante procedura con avviso pubblico, sulla base dei requisiti definiti dall’amministrazione alla luce dei criteri generali definiti dalla Commissione chiamata a gestire il ruolo, in conformità al profilo professionale definito dal legislatore. Per gli incarichi di vertice, la norma prevede la preselezione da parte della Commissione di un numero predeterminato di candidati in possesso dei requisiti, tenuto conto «delle attitudini e delle competenze del singolo dirigente, dei precedenti incarichi e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all’estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti all’incarico da conferire». Occorre valutare con estrema attenzione il nuovo sistema. Si tratta peraltro di un’innovazione di relativo peso giuridico, che si limita a trasferire una fetta di potere discrezionale dai sindaci alla Commissione nazionale e che, nel nuovo contesto dei ruoli unici, non sembra restituire alla dirigenza margini adeguati di effettiva autonomia.

 

 

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