Dispetti, testi riscritti e bocciati: Palazzo Chigi è un bordello

Dispetti, testi riscritti e bocciati: Palazzo Chigi è un bordello

07 settembre 2014

Anche questa volta, come accade ormai da mesi, l’ultimo gioiellino raccontato da Matteo Renzi – quel decreto sblocca Italia prima annunciato, poi decalogato, slidato, e perfino approvato in Consiglio dei ministri, per i lunghi giorni successivi non ha avuto un testo. Per settimane ne ha avuti ben più di uno. Ma alla fine nessun ministro sapeva davvero cosa aveva approvato. Tanto è che il padrone unico di quel testo come di ogni cosa che esce da palazzo Chigi, l’ex vigilessa Antonella Manzione, donna di quadri del Giglio magico di Renzi (quella di cuori è naturalmente Maria Elena Boschi), in extremis ha cercato di infilarci un’ideona. L’ha partorita nella notte fra lunedì e martedì, e se ne è innamorata così tanto da tirare giù dal letto – erano le due del mattino – i più stretti collaboratori. “Ho avuto un’idea straordinaria”, ha spiegato ai poveretti distrutti dal sonno, “scriviamo un articolo che dice che i comuni possono decidere di non fare pagare il tributo qualora dei gruppi di cittadini si assumano l’onere della pulizia e della valorizzazione del proprio quartiere”.

Siccome la Manzione ha nel sangue la stessa birra di Renzi, detto e fatto in men che si dica. Il mattino ha scritto la norma, e subito convocato d’urgenza un pre-consiglio dei ministri, convocando a palazzo Chigi capi di gabinetto e direttori del legislativo dei ministeri coinvolti. Letto il testo della sua grande idea, la Manzione si attendeva applausi e hurrà. Invece silenzio, glaciale. L’ex vigilessa ha cercato con gli occhi la sponda del più potente dei convitati, il capo di gabinetto del ministero dell’Economia e delle Finanze, Roberto Garofoli. Niente. Nemmeno un sospiro, un “oh” di meraviglia, un occhiolino. Silenzio e occhi subito abbassati. Il mondo è pieno di gufi, è evidente. La Manzione mica si è fermata davanti a qualche menagramo. La sua bella norma è stata inserita nel decreto, e inviata al Mef insieme a tutte le altre per avere l’ok di compatibilità ai fini della relazione tecnica. Quella e tutte le altre dello sblocca-Italia divenuto ormai il “Manzione-sblocca tutto” sono state massacrate come raramente si è visto dal ministero dell’Economia. Interi capitoli cassati, cancellati. L’ideona della Manzione no, anche per non scatenare una guerra mondiale. Ma il risultato è stato pressochè identico. Al suo fianco i tecnici di Pier Carlo Padoan hanno inserito un numerino: 14. E in calce la relativa nota di una quindicina di righe, che faceva a pezzi il testo: “Scusi, a che tributo si riferisce? Quali categorie di cittadini sarebbero interessate? Come fa il Comune ad esentarli e a controllare cosa hanno fatto?…”, e così via. Insomma, cassata anche quella.

La Manzione ha mandato sms a Renzi che le ha detto di tenere duro, contro quei gufi della Ragioneria. La grande idea è stata aggiunta al decreto con una formula del tutto generica che non metta in discussione le entrate (non ha relazione tecnica). Di fatto diventa uno spot, inapplicabile. I cittadini dovranno mettersi d’accordo con il proprio comune che stabilirà caso dopo caso se scontare un po’ di Tari a chi si fa le pulizie da solo. Forse in un piccolissimo comune si può, in una città metropolitana è impensabile. Resterà una slide come gran parte del programma Renzi. Che cova ancora più rabbia verso i tecnici dell’Economia. Che fanno il loro mestiere. D’altra parte chi la fa poi deve aspettarsela di ritorno. E la Manzione l’aveva appena fatta.

Per lunghe settimane infatti il decreto sblocca Italia era girato di ministero in ministero, arricchendosi di norme e di relazioni di accompagnamento. Quello che è arrivato in mano al Giglio magico (unico esterno ammesso, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio) la sera del mercoledì che precedeva il Consiglio dei ministri era ormai di quasi 300 pagine. L’hanno discusso, esaminato, emendato con alcune osservazioni della Boschi, la sola del gruppo che può dettare legge a Renzi, e poi sospeso. Perchè alle 23 il premier febbricitante non ce la faceva più: bandiera bianca, a letto con una buona dose di tachipirina. Il mattino dopo quel testo un po’ emendato, un po’ sospeso, è apparso sul tavolo di una riunione interministeriale con Padoan, Maurizio Lupi e i rispettivi staff. Qualche limatura, qualche aggiunta, e il più era fatto. Almeno pensavano loro. Perchè invece nel pomeriggio (a meno di 24 ore dal Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto approvarlo), il testo dello sblocca Italia è approdato, quel pomeriggio di giovedì, a un pre-consiglio dei ministri convocato e presieduto dalla Manzione. Lei ha guardato in faccia i colleghi degli altri ministeri e sventrato il testo iniziale, bollandolo come un lavoro malfatto. Chissà dopo il massacro cosa è davvero approdato poi il giorno dopo a palazzo Chigi. Ma è destino dello sblocca-Italia che anche dopo l’approvazione ufficiale nei giorni successivi ha perso per strada parecchi capitoli, anche norme chiave espressamente annunciate alla vigilia (come quelle sulla banda larga improvvisamente fattesi strettissime).

Regna il caos a palazzo Chigi, e in quel caos c’è molto della spiegazione della nebulosa in cui è ripiombata l’Italia, nonostante le ben diverse premesse dell’avvento del giovane Renzi a Palazzo. Il premier che fa tutto lui e tutto in fretta si è ben presto consegnato in mano alla burocrazia contrapponendole al massimo qualche fragile petalo del Giglio magico e la volenterosa vigilessa, con il risultato di aggiungere caos a caos. Deciso ad andare in fretta e a non contornarsi di veri collaboratori, Renzi per le prime settimane a palazzo Chigi ha pensato davvero di potercela fare da solo. Scriveva lui i testi, e prescindeva dal ministero dell’Economia grazie al librone che si era fatto preparare: una riclassificazione del bilancio di previsione 2014 dello Stato italiano secondo i criteri dei bilanci comunali che lui conosceva meglio. Bell’idea non fosse che conciato così il bilancio dello Stato non significa un fico secco: lo leggi per competenza con cifre del tutto illusorie (sono quelle sperate, non quelle reali), e non hai alcuna indicazione di cosa davvero c’è in cassa. La nasata è dietro l’angolo. E difatti il povero Matteo è andato avanti di nasata in nasata.

La prima gliela ha fatta sbattere il ferreo Giorgio Napolitano. Al Quirinale avevano saputo per vie informali che Renzi non faceva mai i pre-consigli dei ministri con i vari capi dei ministeri coinvolti. Li teneva all’oscuro e li faceva trovare davanti al fatto compiuto in Consiglio dei ministri. Napolitano ha raccolto i malumori (perfino il decreto sugli 80 euro era stato approvato così) e inviato una letteraccia di richiamo al povero sottosegretario Delrio, che quei pre-consigli avrebbe dovuto presiedere. Così facevano prima di lui i vari Filippo Patroni Griffi, Gianni Letta, Enrico Letta, Enrico Micheli e Marco Minniti.

Incassato il colpo, Renzi ha dovuto chinare il capo e riprendere la vecchia tradizione dei pre-consigli per mettere a punto con gli altri le norme legislative. Ma per rispondere da par suo, a presiedere i pre-consigli non ha mandato Delrio, come sarebbe stato prassi, ma la sua fedelissima ex vigilessa. In quella sede si affrontano temi tecnici, e non era certo pane della Manzione (pesciolino in mare infestato da pescecani, e quello con i denti più aguzzi è il Garofoli dell’Economia, vicinissimo a Massimo D’Alema). Ma si devono anche dare direttive politiche, e ancora più strana per questo è sembrata la scelta della Manzione. Renzi però aveva il suo uovo di Colombo: quando la vigilessa presiede il pre-consiglio dei ministri, lo fa sempre in diretta sms con il premier. Guarda il telefonino e poi taglia corto con i convenuti: «Il presidente ha deciso così…». D’altra parte Renzi di lei si fida, e di pochi altri.

di Franco Bechis

 

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