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Finanza locale la solita allegra stangata #tasse #leggedistabilità

Pubblicato il 15 novembre 2014 di rilievoaiaceblogliveri

Nell’immaginario propagandistico del Governo, la legge di stabilità avrebbe dovuto essere la più grande operazione di riduzione delle tasse mai vista. Dell’affermazione è vera l’ultima parte: la riduzione delle tasse non si è mai vista e continua a non vedersi proprio.

Come ha affermato lo stesso Ministro Padoan, nel 2015 la pressione fiscale nel 2015 passerà al 43,2%, rispetto al 43,3% del 2014; ma, dal 2016 salirà al 43,6%.

E queste stime non tengono ancora conto né dell’incremento dell’imposizione fiscale di regioni e comuni, né dell’attivazione delle “norme di salvaguardia”, introdotte con le manovre finanziarie di Monti e Letta, mai eliminate, per effetto delle quali l’Iva potrebbe schizzare al 25,5%.

In quanto all’imposizione fiscale locale, non occorrerà aspettare molto, per vedere l’impennata della pressione e, dunque, delle entrate fiscali dei comuni.

L’alzata di scudi dei sindaci contro il taglio nei loro confronti di 1,2 miliardi di euro ha prodotto, a ben vedere, il risultato che tutti si aspettavano. Di fatto, al taglio dei trasferimenti statali ai comuni corrisponderà un aumento quasi simmetrico della tassazione sulla casa.

La gigantesca partita di giro (lo Stato taglia, ma i comuni potranno incrementare le entrate in misura praticamente simmetrica) avrà la denominazione molto british di “local tax”, come concordato tra Governo ed Anci, l’associazione nazionale dei comuni che, sarebbe bene ricordare, non è affatto una controparte dell’Esecutivo: basti pensare che il Sottosegretario alla presidenza del consiglio è l’ex presidente dell’Anci, Graziano Delrio, e che il Sottosegretario alla Funzione Pubblica è l’ex direttore generale dell’Anci, Angelo Rughetti.

Sembra piuttosto evidente che tra Governo ed Anci si sia prodotto niente più che un banale gioco delle parti: il Governo che mostra di apportare tagli alla spesa pubblica, “colpendo” i comuni con 1,2 miliardi di tagli (che, in media, per comune significano meno di 150.000); i sindaci che strepitano ed urlano, sottolineando l’insostenibilità di ciò; il Governo che mostra accondiscendenza ma “a saldi invariati”; Governo ed Anci che concordano su quanto tutti i più avvertiti avevano compreso subito: a fronte dei tagli, un bell’incremento dell’imposizione locale.

Insomma, non se ne esce. Ciò che la manovra 2015 presenta come “risparmi” o “tagli”, altro non è chela compensazione di una voce di spesa del bilancio dello Stato in diminuzione, con l’incremento di un’altra corrispondente voce d’entrata..

Dunque, ecco maturare la local tax. Che, a quanto è dato capire, sarà null’altro se non il ripristino dell’Imu sulla prima casa, ma molto più aggressiva: infatti, si dovrà garantire la conferma del gettito mostruoso di 24 miliardi complessivi che le riforme della tassazione sulla casa di questi ultimi anni hanno determinato.

Infatti, la local tax sarà un mostruoso Giano bifronte, riunendo Imu e Tasi in un’unica imposta (ma la Tari a quanto sembra resterà intatta).

Tuttavia, l’ennesima riforma non sarà a somma zero: a rimetterci sarà il contribuente, perché le casse dei comuni, meno pingui a causa dei tagli, debbono recuperare la minire generosità dello Stato nel trasferire loro risorse.

Dunque, si prevede che le seconde case paghino il 12 per mille (contro unl’11,4 per mille del 2014 tra Imu e Tasi). Mentre le prime case saranno colpite con aliquote comprese tra il 2,5 e il 5 per mille, sostanzialmente come l’Imu del 2012, introdotta dal governo Monti.

La cosa che appare, tra le molte altre, più paradossale di questa ennesima stangata di tasse per i cittadini è il vichiano corso e ricorso all’imposizione sulla casa, che testimonia perfettamente la poca consistenza tecnica, oltre che politica, della strana maggioranza che sostiene il Governo.

Bisognerebbe ricordare che una delle condizioni per la nascita delle “larghe intese”, viste, a seguito della rielezione del Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano, come unico rimedio all’impasse dei risultati elettorali, fu proprio l’abolizione dell’imposizione sulla prima casa. Il governo Letta ebbe vita estremamente difficile, sul piano delle scelte economico finanziarie, proprio per dover assecondare il diktat di un alleato, che per altro poco dopo si spaccò in due tronconi, che impose un intervento di riforma della casa che produsse un caos senza precedenti nella definizione delle aliquote, nei tempi di riscossione e, soprattutto, che generò il mostro a tre teste Iuc-Tari-Tasi, senza aver mai, comunque, eliminato del tutto l’Imu.

A meno di un anno e mezzo di distanza da tutto questo, la marcia indietro: si torna all’Imu, sotto il nome di local tax, ma non si torna indietro sul gettito, anche perché gran parte dei 24 miliardi raccolti dai comuni sono versati al bilancio dello Stato.

Dunque, ammesso che si ottenga il risultato di semplificare il sistema, e ci sarà da vedere considerato che ora si pone il problema delle esenzioni (chi dovrà determinarle, entro quali limiti, eccetera), comunque sicuramente il carico fiscale non diminuirà.

Si conferma, dunque, una tendenza decennale, attestata dalle rilevazioni Istat sui conti consuntivi dei comuni: la loro spesa non diminuisce per nulla, anzi tende ad aumentare, passando dai circa 81 miliardi del 2001 ai circa 83 del 2011; e in quanto alle entrate, a fronte di una diminuzione di quelle da trasferimenti dello Stato, si assiste ad un aumento costante, che ha portato le entrate fiscali locali a passare dai circa 22 miliardi del 2002 ai 33 del 2011: un incremento mostruoso del 50%, figlio del gioco delle parti che puntualmente si sta ripetendo anche per il 2015.

Ma, non basta. Stato ed Anci hanno concordato anche su un altro elemento deleterio per la finanza locale e quella pubblica in generale: l’ennesima proroga della possibilità di utilizzare le entrate da oneri di urbanizzazione per fare fronte alle spese correnti, anche allo scopo di attutire ulteriormente gli effetti della riforma della contabilità (che rivela la sua inutilità sostanziale; sarà solo l’adeguamento formale alle imposizioni della Ue, senza risultati veri sul piano gestionale).

Utilizzare entrate straordinarie, come gli oneri da urbanizzazione, per spese continuative è uno sfacelo conclamato da anni, ma che viene nonostante ciò continuamente reiterato.

E’ perfettamente noto che finanziare spese correnti, cioè continue e costanti nel tempo, con entrate straordinarie, per quanto ingenti, è quanto di più sbagliato: infatti, la spesa corrente è permanente, l’entrata straordinaria, in quanto tale, si verifica solo una volta.

In sostanza, utilizzando l’entrata straordinaria per la spesa ordinaria si impoverisce il patrimonio e si favorisce una spesa allegra, coi piedi d’argilla.

Non solo: proprio perché le entrate da oneri drogano la correlata spesa corrente, i comuni sono spinti sempre di più a barattare il territorio per avere denaro fresco, approvando sempre più piani di lottizzazione, per altro nonostante un mercato immobiliare in crisi nerissima.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: non solo bilanci locali pieni di debiti e di residui attivi inventati, che andrebbero cancellati subito (ma si evidenzierebbe la loro sostanziale falsità, con la creazione immediata di buchi mostruosi), ma anche territorio devastato dalle troppe costruzioni, assentite al solo scopo di fare cassa. Le conseguenze di piogge molto intense, ma comunque normali in autunno, sono anche causa di un modo di gestire la finanza locale che non cambia le sue deleterie abitudini.

 

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