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tratto da “La Settimana degli enti locali” del 18.03.2014

 

Quel deleterio stile di governo da sindaco

di L.O.

Renzi ha più volte rivendicato di voler applicare al Governo del Paese lo stile e il dinamismo proprio di un sindaco. I fatti dimostrano che è vero, ma il dato è tutt’altro che confortante.

I sindaci, magnificati da molti come esempio di bravi amministratori, sono, e non a caso, principali responsabili della situazione criticissima del livello dei servizi e delle condizioni finanziarie degli enti locali, testimoniata dal gravissimo caso del comune di Roma.

Non si tratta di un caso. Il sistema elettorale comunale ha il pregio, reale, della stabilità. Alla quale, però, è stato totalmente sacrificato quello della qualità del governo.

I sindaci sono eletti direttamente ed in modo autonomo dai consigli. Dispongono di una forza politica fortissima, dato che la giunta la nominano loro: gli assessori dipendono totalmente dai sindaci e, anzi, formalmente non hanno potere alcuno, perchè la giunta coadiuva il sindaco solo mediante deliberazioni collegiali.

I consigli, oltre ad avere una legittimazione e visibilità nettamente inferiori ai sindaci, dispongono anche di competenze estremamente limitate.

Insomma, i sindaci sono molto, ma molto di più di vertici politico-amministrativi: sul piano politico, dispongono di un potere davvero assoluto, nell’accezione latina (dal verbo ab-solvo, sciolgo) di slegato da qualsiasi bilanciamento o contrappeso.

Se aggiungiamo che le riforme Bassanini e del Titolo V della Costituzione hanno, improvvidamente, abolito ogni controllo esterno sugli atti, il quadro è completo.

I sindaci agiscono in un ambito nel quale hanno la sensazione che ogni decisione dipenda esclusivamente dalla loro volontà e intenzione. Non essendovi contrappesi o controlli, sono completamente refrattari ad ogni limitazione che derivi dall’applicazione delle regole normative, viste come impedimenti fatti presente ad arte da chi voglia boicottare o rallentare le loro iniziative.

In provincia di Verona, un comune dotato di dirigenza sta modificando, su iniziativa del sindaco, statuto e regolamento di organizzazione, per far esercitare le funzioni dirigenziali al segretario comunale e ai quadri. È una cosa assolutamente vietata dall’articolo 109, comma 2, del d.lgs. 267/2000, dall’impianto del d.lgs. 165/2001 e anche dal contratto collettivo dei segretari comunali. Eppure, quel sindaco va avanti. Perchè? Nessuno controlla dall’esterno questi atti tutti contrari a legge, prima che entrino in vigore. Il controllo interno dovrebbe essere assicurato dal segretario comunale, che si guarda bene, sia perchè soggetto altrimenti allo spoil system, sia perchè potenzialmente gratificato economicamente. Risultato: un’organizzazione totalmente illegittima, senza che esistano rimedi non contenziosi per evitarla.

Altro esempio, stavolta generico. C’è da realizzare un’opera pubblica. Il progetto prevede un certo costo, ma i soldi non sono sufficienti? Il sindaco, sempre grazie al terreno di coltura ove opera, o chiede di eliminare dal progetto elementi pur necessari, oppure impone che l’opera sia realizzata per stralci; oppure, male che vada ottiene di inserire, per la quadratura dei bilanci, oneri di urbanizzazione incerti o incrementi di entrata da sanzioni per violazione del codice della strada. Senza che nessuno possa fermare questi azzardi, che conducono, poi, ad opere realizzate male, oppure ad impegni di spesa fondati su previsioni di entrata irreali, o una tantum.

Non è affatto un caso che vi siano ritardi nei pagamenti o che non si possa conoscere con precisione l’ammontare dei debiti delle pubbliche amministrazioni. I sindaci contribuiscono in modo decisivo a modalità gestionali opache e azzardate, con cui si spendono soldi che non si hanno, o si assegnano poteri decisionali a soggetti incompetenti, ma forse compiacenti.

Da qui, la finanza creativa, che cerca di aggirare vincoli di spesa connessi al patto di stabilità, costituendo società ed enti colabrodo, spesso, poi, fonti di estese “parentopoli”.

Questo stile è pericolosissimo. E non crea danni solo alla comunità amministrata, ma alla Nazione intera, come dimostra il decreto “salva Roma”, comunque non nuovo, negli ultimi anni preceduto da generosi interventi in leggi finanziarie estive per salvare dal tracollo ad esempio Catania e Brescia.

Comunque, un organo quasi autoreferenziale, slegato da qualsiasi controllo, finchè si tratta di decidere “di fare una zona pedonale o asfaltare una strada” (tra virgolette per esemplificare e banalizzare il livello locale delle decisioni), potrebbe anche funzionare, pur sapendo che comunque i comuni muovono qualcosa come una spesa di 82 miliardi che non hanno la minima intenzione di intaccare (il volume di spesa è costante da 10 anni nel periodo 2002-2011 secondo i consuntivi elaborati dall’Istat).

È evidente che questa modalità sciolta e disinvolta, applicata anche al Governo dello Stato eleva esponenzialmente rischi e problemi.

L’abitudine ad agire senza coperture o confidando nelle “multe” sembra proprio la fonte ispiratrice che fa apparire a Renzi possibile considerare oggi finanziabile parte della spesa prevista dal piano presentato mercoledì 13 marzo, ad esempio, con i risparmi sugli interessi del debito pubblico, dovuti alla riduzione dello spread, risorse che, invece, potrebbero essere utilizzabili solo l’anno prossimo una volta effettivamente contabilizzate. E, comunque, non si tratterebbe di risorse certe e immutabili.

Esattamente come gli oneri di urbanizzazione, ritenuti dai sindaci sempre la valvola di salvezza per far quadrare ogni conto, anche se solo sulla carta.

Simile stile, che fa andare i comuni sulle montagne russe appoggiandosi su un solo binario, esteso al Paese fa correre rischi spaventosi. Soprattutto tenendo presente che i danni derivanti non si materializzerebbero subito, ma dopo 5-10 anni, in modo graduale, silenzioso, però subdolo e costante.

Tanto che comuni che si ritrovino col territorio totalmente edificato, iniziano a consentire costruzioni anche su colline ghiaiose, come la villa sulla linea di Imperia, scivolata per le piogge così da far deragliare il treno.

Ecco, citando Bersani e il suo celeberrimo motto “quando piove, piove per tutti”, occorre ricordarsi che prima o poi “piove”. E l’acqua, vitale, come nei Promessi Sposi, per lavar via la peste, può anche essere devastante, quando mette alla luce scelte sbagliate, frutto di stili di governo che andrebbero seriamente rimessi in discussione, nella direzione esattamente opposta a quella di eliminare il Senato ed aumentare i poteri dell’Esecutivo e del premier, che invece si sta intraprendendo, per giungere al “sindaco d’Italia”, col rischio di far deragliare non più un treno, ma il Paese.

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