funzioni fondamentali – il presidente di ANPCI invita i consigli comunali ad adottare una delibera

Cari colleghi, vi allego il testo di una Delibera da sottoporre ai vostri Consigli Comunali per l’approvazione.

 

Con tale Delibera, tra l’altro, si delega “l’Anpci a proporre, in tutte le sedi istituzionali, una radicale revisione della legislazione in tema di obbligatorietà della gestione delle funzioni fondamentali che sia rispettosa dell’autonomia costituzionale conferita ai Comuni.”

Ricordate, quante più delibere saranno adottate maggiore sarà la forza dell’Anpci!!!

La Deliberà dovrà essere inviata

1- Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri

2- Al Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie

3- All’Anpci

Vi ringrazio e vi saluto tutti.

Franca Biglio

 

questo il testo della delibera

 

IL CONSIGLIO COMUNALE

Premesso che la normativa vigente (art. 14, commi 27 e ss. del D.L. 31.05.2010, n. 78 e s.m.i.) impone ai comuni minori la gestione in forma associata delle funzioni fondamentali con scadenze rigorosamente fissate dalla legge;

Preso atto preliminarmente che la stessa precisa individuazione delle c.d. “funzioni fondamentali” -che pure costituisce il fulcro della materia- è risultata alquanto problematica e frutto di successive revisioni ed integrazioni, a dimostrazione di quanto incerte siano essere le stesse basi fondanti di una manovra così ambiziosa ed impegnativa;

Rilevato che la prospettiva indicata dal legislatore, fondantesi sul principio che le aggregazioni intercomunali debbano incardinarsi a partire dalle c.d. “funzioni fondamentali”, appare estremamente problematica e irta di controindicazioni operative anche molto gravi, come di seguito si prova ad illustrare:

le “funzioni fondamentali”, anche ignorando il carattere del tutto empirico, contingente ed incerto della loro individuazione, sono frutto di definizioni astratte e prefigurano modelli “accademici” di approccio alla realtà che, in effetti, risulta di gran lunga più complessa e complicata di quanto gli undici enunciati lettere a)- l.bis) – riportati nel comma 27 del citato art. 14, D.L. 78/2010 lasciano supporre, ed in effetti, in sede locale (quasi) nessun comune risulta rigidamente organizzato e strutturato secondo i predetti, astratti enunciati normativi, per cui si registra un immediato quanto evidente iato tra le definizioni legislative ed i dati di realtà. Non sembra esistere quindi quella minima, quanto necessaria rispondenza tra enunciato normativo e realtà locali che costituisce indispensabile presupposto di “ragionevolezza” di ogni prescrizione legislativa.

Le “funzioni fondamentali”, come definite dalla legge, evidenziano anche al loro interno incomprensibili ma anche gravi tratti di confusione, specie laddove associano profili operativi notoriamente ed evidentemente eterogenei. Si pensi, a titolo d’esempio, alla funzione indicata nella lettera f del ridetto comma 27 (organizzazione e gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e riscossione dei relativi tributi), dove è fin troppo noto che le competenze e le professionalità che si occupano della “organizzazione e gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani” non sono tutt’uno con quelle che si occupano dei profili “tributari” della materia, tanto è vero che normalmente in sede locale le due funzioni sono disgiunte e quasi sempre affidate ad uffici diversi.

Analogo discorso vale anche per altre funzioni indicate nel ridetto comma 27. Ad ulteriore esempio si veda la lettera h) che associa in maniera che appare arbitraria “l’edilizia scolastica” (materia di carattere squisitamente “tecnico” e tradizionalmente affidata alla cura degli uffici tecnici comunali) agli altri “servizi scolastici” (es. mense, trasporti, borse di studio, assistenza scolastica etc….),      che invece richiedono competenze di carattere più squisitamente amministrativo e che di fatto sono quasi sempre affidati ad altri uffici locali.

Esiste quindi, già in principio, una insanabile irriducibilità tra le funzioni individuate dalla legge e gli assetti organizzativi locali che risulta tale da rendere in molti casi impossibile e comunque estremamente difficile ed oneroso tradurre legittimamente in pratica il dettato normativo;

in questo modo si finisce per scaricare su enti strutturalmente deboli, come i comuni minori, un’improba opera di adeguatio rebus et legis, resa ancora più problematica dai tempi rigidamente contingentati prefissati dal legislatore e dall’assenza di qualsiasi affidabile sistema istituzionale di assistenza amministrativa ed operativa a sostegno dei pur bisognevoli comuni interessati;

mancano nella normativa misure che, consentendo di superare le inevitabili rigidità organizzative e funzionali, favoriscano in qualche maniera la delicatissima e complicata fase di integrazione organizzativa tra i diversi uffici e strutture comunque già esistenti negli enti che dovranno aggregarsi;

mancano del tutto discipline legislative e contrattuali “di accompagnamento” che favoriscano questi impegnativi atti di integrazione organizzativa, in quanto quasi tutta la disciplina esistente – salvo sporadiche ma insufficienti eccezioni – è invece  fondata sull’autosufficienza organizzativa di ogni singolo ente e sulla tendenziale univocità dei rapporti di lavoro tra i dipendenti e l’ente di originaria appartenenza;

manca ogni disciplina speciale in grado di regolare eventuali esuberi di personale, così come manca ogni disciplina speciale in grado di assicurare la pacifica selezione del personale da preporre al vertice delle nuove strutture operative che verranno a formarsi a seguito dei processi aggregativi così come manca ogni accenno alla selezione, alla utile ricollocazione e reimpiego del personale eventualmente eccedentario, come invece avviene in analoghe ipotesi di riorganizzazione amministrativa;

manca, anche solo in via di principio, il riconoscimento normativo di una fase di “avvicinamento” e di necessario “coordinamento” tra le diverse strutture burocratiche da “integrare”;

manca, quindi, il riconoscimento della estrema complessità della manovra che si impone ai comuni minori, chiamati a fondere le proprie strutture senza alcuna rete di protezione, senza alcuna “copertura amministrativa” e senza nessun accenno al ruolo,     al radicamento storico, all’incardinamento ed             alla dignità  costituzionale che ai Comuni é assicurata dagli artt. 5 e 114 e ss. della nostra Carta Costituzionale;

Viene negato, in ogni caso, il riconoscimento dei comuni quali enti “naturali” che storicamente e sociologicamente pre-esistono allo Stato unitario e come tali degni di rispetto e tutela mentre la definizione delle “funzioni fondamentali”, lungi dal costituire, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, l’ambito precipuo ed indefettibile dell’autonomia comunale, rappresenta uno strumento per ridurre gli spazi di quella stessa autonomia attraverso forzosi ed innaturali obblighi associativi;

Viene, di fatto, rinnegato o comunque fortemente depotenziato il principio autonomistico che presiede all’impianto della nostra Carta Costituzionale;

Non si valutano minimamente gli effetti negativi che una manovra così rigidamente costrittiva determina a carico non soltanto delle strutture amministrative ma anche delle stesse comunità locali;

traspare dalla normativa in parola un pregiudizio “ideologico” secondo cui la migliore efficienza dei servizi comunali si persegue soltanto sulla base di una astratta riorganizzazione su base “demografica” a cifra tonda;

ignora la stessa normativa la peculiare specificità del territorio italiano, dei suoi più reconditi insediamenti abitativi;

ignora ancora la disciplina legislativa le ricadute negative che la riorganizzazione su base “accentrata” degli uffici e dei servizi locali, cui inesorabilmente tende il c.d. “esercizio” in forma “obbligatoriamente associata” delle funzioni fondamentali, comporta per le comunità più periferiche e marginali, spesso costituite dai segmenti più fragili del tessuto sociale e comunque da persone anziane quasi sempre incapaci di servirsi anche degli strumenti della c.d. I.C.T.;

assume la stessa normativa che dai processi di aggregazione obbligatoriamente imposti debbano derivare positivi effetti di razionalizzazione e di risparmio che invece appaiono concretamente indimostrati ed anzi smentiti dalle considerazioni che qui si vanno, sia pur solo sommariamente, svolgendo;

sembra sconfessare o comunque fortemente ridimensionare la normativa in discorso i principi solidaristici che sono alla base dello Stato sociale disegnato chiaramente dalla nostra Costituzione;

sembra ancora che la ridetta normativa non valuti minimamente tutte le implicazioni ed i riflessi negativi cha la forzosa riorganizzazione imposta in tempi contingentati alle amministrazioni locali minori in ciò contravvenendo al canone di “buon andamento” della P.A. che costituisce principio cardine della nostra Costituzione;

appare, a giudizio di questo Consiglio, che l’obbligo di gestione in forma associata delle funzioni fondamentali comunali si iscriva in un più generale e deprecabile disegno di spoliazione dei territori più periferici e di desertificazione istituzionale degli stessi;

 

tanto premesso ed attentamente considerato, dato atto che ila presente deliberazione è da intendersi quale mero atto d’indirizzo e pertanto non necessita di qualsivoglia parere

 

Con voti ……… espressi nelle forme di legge

DELIBERA

Di manifestare, per tutto quanto espresso in narrativa,- il proprio convinto e motivato dissenso rispetto agli obblighi imposti dall’art. 14, commi 27 e ss., del D.L. 31.05.2010, n. 78, convertito nella L.30.07.2010, n. 122 , come successivamente integrato e modificato, in ordine al c.d. “esercizio in forma obbligatoriamente associata” delle funzioni fondamentali comunali;

Di esprimere poi vive preoccupazioni per le modalità e la tempistica con cui tali obblighi sono imposti, atteso che esse non tengono conto delle enormi difficoltà operative che i comuni minori sono chiamati ad affrontare in tempi stretti e senza alcuna disposizione normativa ‘agevolativa;

Di manifestare il proprio fermo dissenso per una manovra che – contrariamente ai principi scritti in Costituzione – menoma l’autonomia locale;

Di dare atto che l’attuale normativa contraddice il principio di sussidiarietà verticale e pregiudica il buon andamento degli enti pubblici interessati, costringendoli -in tempi troppo stretti e secondo un disegno che appare eccessivamente astratto e costrittivo- a misure di riorganizzazione e di ristrutturazione che essi non sono in grado di assicurare senza gravi contraccolpi sulle comunità locali e sui lavoratori attualmente in servizio;

Di far voti perché il Parlamento ed il Governo rivalutino più attentamente la complessa materia che non ammette soluzioni tranchant, quale è quella attualmente imposta, ma richiede invece un approccio improntato alla massima flessibilità ed alla leale collaborazione tra i diversi soggetti e livelli istituzionali del nostro Paese.

Di DELEGARE l’ANPCI a proporre, in tutte le sedi istituzionali una radicale revisione della legislazione in tema di OBBLIGATORIETA’ della gestione delle funzioni fondamentali che sia rispettosa dell’autonomia costituzionale conferita ai comuni in quanto devono essere gli stessi comuni a disciplinare l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni loro attribuite come espressamente previsto dall’art. 117 della costituzione.

 

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